L'Inno dell'Urss promosso da Stalin L'Inno della Russia del nuovo zar Putin

Un abisso tra l'inno dell'Urss di Stalin e quello della Russia di Putin

La Duma, il parlamento russo, ha approvato a stragrande maggioranza l'8 dicembre scorso la proposta di Putin di ripristinare il vecchio inno nazionale sovietico, ma con un nuovo testo più "confacente'' al nuovo regime "postcomunista''. L'inno dell'Urss era stato abolito nel 1991 da Eltsin, che l'aveva sostituito con una musica di Glinka, senza parole. Ma dai sondaggi la scelta non era risultata gradita al Paese, e ben il 49 per cento dei russi continuavano a preferire il vecchio inno sovietico. Furbescamente il nuovo zar russo, Putin, ha pensato bene di prendere due piccioni con una fava, assecondando l'opinione pubblica e la forte componente revisionista della Duma col ripristino dell'inno sovietico, ma solo la musica, mentre il testo verrà completamente stravolto.
In compenso ha ottenuto dai revisionisti di Djuganov l'accettazione della bandiera tricolore e dell'aquila bicipite zariste. La bandiera dell'esercito rimarrà quella rossa, ma senza la falce e il martello. I revisionisti, che non avevano mai accettato formalmente la sostituzione delle insegne dell'ex Unione Sovietica con quelle della Russia dei nuovi zar, hanno firmato di buon grado, accontendandosi della reintroduzione della sola musica del vecchio inno nazionale. Una dimostrazione ulteriore dell'inguaribile opportunismo dei revisionisti di ogni tempo e paese, sempre pronti a venire a patti con la destra e servirla pur di mantenere qualche briciola di potere.
L'inno sovietico fu commissionato da Stalin nel 1943, e fu eseguito per la prima volta il primo gennaio 1944. Fino ad allora l'Urss aveva adottato come inno ufficiale l'Internazionale. Il rinnegato Krusciov ne fece prima cambiare due versi cancellando ogni riferimento a Stalin, per poi imporre che nelle occasioni ufficiali venisse suonata solo la musica senza testo cantato. Così è rimasto per tutto il periodo del regime revisionista, fino alla sua sostituzione da parte del nuovo zar Eltsin nel '91.
Ora il suo degno successore, Putin, ha operato questo finto ritorno al passato, ma solo per abbindolare il popolo russo ancora legato al glorioso ricordo dell'Urss di Lenin e di Stalin, e per farsi in realtà il proprio inno nazionalista e zarista. Sì, perché basta confrontare i due testi, quello del 1943 e quello commissionato da Putin allo stesso autore di allora, l'ultraottantenne Mikhalkov (quando si dice l'opportunismo!), per rendersi facilmente conto di che abisso ci corra tra l'uno e l'altro.
Infatti, il primo è pieno di fiducia nell'avvenire e nella grandiosa, esaltante ed eroica opera di trasformazione socialista avviata dal partito di Lenin e di Stalin, il secondo trasuda nazionalismo grande russo e oscurantismo religioso, richiamo nostalgico al passato zarista al fine di scacciare i fantasmi di un presente dominato dalla decadenza capitalistica, dalla disgregazione sociale e dall'immiserimento della stragrande maggioranza della popolazione a fronte di una piccolissima minoranza di ricchi sfruttatori. Nel primo si parla di "patria'' sovietica, ma come roccaforte dell'amicizia tra i popoli, di lotta per il trionfo del comunismo, degli insegnamenti di Lenin e di Stalin, di lavoro e di eroismo, di fedeltà alla bandiera rossa, nel secondo trionfano solo gli odiati simboli nazionalisti e imperialisti riesumati dal nuovo zarismo putiniano: "l'aquila russa'' (un rapace, non a caso), il "tricolore'', la "vittoria'' (su chi?), la "patria'' benedetta da Dio, e altre simili icone reazionarie, scioviniste e imperialiste.
Che poi è lo stesso abisso che corre tra l'Urss socialista, internazionalista e proletaria di Lenin e di Stalin, e la Russia capitalista, nazionalista, mafiosa e corrotta del nuovo zarismo di Putin.