Uccide l'università pubblica e instaura l'università del regime neofascista (Le tappe della controriforma. Le responsabilità della "sinistra" del regime)
Affossiamo il ddl Gelmini

Il famigerato disegno di legge (ddl) n. 1905, approvato dal Consiglio dei ministri nel novembre 2009 e che ha ottenuto in luglio il via libera del Senato nero (152 voti a favore, 94 contrari e un astenuto), è giunto ora all'esame della Camera. La gerarca Gelmini di Viale Trastevere con la solita arroganza ha ribadito che se ne frega della piazza, sottolineando significativamente quanto il suo dicastero consideri: "importante che una parte dell'opposizione, come Rutelli e l'Api, abbia votato a favore del provvedimento, a dimostrazione che, sui grandi temi del riformismo, maggioranza e opposizione possono lavorare insieme per modernizzare il Paese''. Per contro il 12 ottobre è stata convocata una manifestazione a Roma che si preannuncia molto partecipata da studenti e lavoratori per affossare questo provvedimento che inizia in quella data la "discussione" in Parlamento e a cui potrebbe seguire, a breve, il solito voto di fiducia blindato al governo della macelleria sociale del neoduce Berlusconi. Il PMLI, che si batte da sempre per "Scuola e università pubbliche, gratuite e governate dalle studentesse e dagli studenti", appoggia con forza questa lotta unitaria degli studenti, degli insegnanti precari, dei ricercatori, dei lavoratori ATA e dei docenti per fermare la demolizione dell'istruzione pubblica e rivendicare più fondi per studenti e atenei, a cominciare proprio dal massacrato Mezzogiorno, che ha l'urgenza di fermare la nuova ondata di emigrazione in massa dei disoccupati, e la "fuga di cervelli", ossia l'emigrazione della parte più giovane e qualificata professionalmente della popolazione costretta ad abbandonare la propria terra e il proprio ruolo pubblico, per ricercare lavoro nei grandi monopoli internazionali e nazionali, concentrati all'estero e nel Nord del Paese.

Realizzazione del piano piduista
Questa "riforma" va affossata subito perché costituisce il pezzo grosso della piattaforma piduista nel campo dell'istruzione universitaria, l'ultima, la più grave ed incisiva delle tante controriforme universitarie che si sono abbattute, senza soluzione di continuità, sull'università pubblica a partire dalla legge Ruberti del 1990, allo scopo di demolirne le fondamenta, privatizzarla e fascistizzarla. Come hanno evidenziato le grandi mobilitazioni di protesta degli ultimi due anni, essa va a braccetto con quella altrettanto infame che intende instaurare la scuola classista, aziendalista, gerarchizzata, meritocratica, federale e razzista del regime neofascista (ddl n° 953 detta anche "legge Aprea"). In nome dell'autonomia e del federalismo fiscale, esse: 1) demoliscono l'unitarietà del sistema d'istruzione del nostro Paese; 2) trasformano le scuole e le università in aziende e fondazioni private; 3) cancellano i finanziamenti statali; 4) riducono al minimo la contrattazione sindacale; 5) mettono tutto il potere nelle mani dei Consigli di amministrazione; 6) escludono gli studenti, gli Ata, i ricercatori e tutti gli insegnanti e docenti non asserviti dagli organi di governo; 7) introducono le assunzioni per chiamata diretta, come nelle imprese private; 8) gerarchizzano e precarizzano al massimo il corpo docenti; 9) trasformano anche gli spazi pubblici di formazione e aggregazione in caserme, senza diritto di parola e di sciopero.
In sostanza impongono all'Italia di dire addio all'istruzione pubblica. Al suo posto verrà imposto il modello piduista e gentiliano di scuole ed università meritocratica e manageriale che estromette i figli della classe operaia e delle masse mentre assicura larga presenza e pieni poteri ai privati nei Consigli di amministrazione (Cda), prendendo a prestito il modello di governance vigente nelle scuole ed università private e cattoliche, alle quali non a caso non sono stati lesinati, in barba alla Costituzione, lauti finanziamenti pubblici.
Ormai è chiaro qual è il grimaldello maggiormente utilizzato dal governo per attuare questo antico progetto di scardinare il sistema nazionale dell'università pubblica: concentrare le scarse risorse in pochi atenei ritenuti eccellenti e ridimensionare il ruolo di tutti gli altri. Per questo motivo la lotta degli studenti si è concentrata in particolar modo contro i tagli, in parte già attuati (con la stangata contenuta nella legge 133 del 2008) e in parte da attuare nel prossimo biennio, che compromettono fortemente il diritto allo studio, la qualità di didattica e ricerca e la sicurezza lavorativa di precari ed esternalizzati, e spingono soprattutto le università più povere e del Sud, se non proprio a "chiudere bottega", ad inasprire gli sbarramenti e ad aumentare quell'insieme intollerabile di tasse e balzelli che viene definita "contribuzione studentesca".
Un altro obiettivo non dichiarato di queste micidiali controriforme è infatti proprio quello di declassare e sfoltire drasticamente l'attuale sistema dell'istruzione del Mezzogiorno come prescrivono i fascio-leghisti del carroccio. Non a caso i nuovi criteri di valutazione delle università sono stati assegnati ad una agenzia filogovernativa (l'Anvur) che ha stilato una "lista nera delle università non virtuose" nella quale sono stati inclusi tutti gli atenei già dissestati e poveri del Sud a cui sono stati ulteriormente taglieggiate risorse, personale, corsi di laurea e facoltà. Per effetto di questi provvedimenti tanti atenei sono già al collasso finanziario e altri sono già dovuti ricorrere all'esercizio provvisorio.

Il governo degli atenei nelle mani dei Cda al servizio dei privati
C'è poi la "riforma" della governance, che, dando tutto il potere di governo nelle mani dei Consigli di amministrazione, rappresenta un tassello decisivo della strategia privatizzatrice del governo.
Nell'art. 2 del ddl Gelmini è prevista infatti una netta distinzione di compiti e un'altrettanto netta subordinazione del "Senato accademico elettivo" nei confronti dei Cda. Il primo infatti avrà il solo compito di "avanzare pareri e proposte in materia di didattica e di ricerca" mentre sarà il Cda, non elettivo e in carica per 4 anni, ad avere la prima e l'ultima parola sulle spese, sulle assunzioni e sugli indirizzi didattici. Sono attribuite infatti al consiglio di amministrazione: "le funzioni di indirizzo strategico, di approvazione della programmazione finanziaria annuale e triennale e del personale, nonché di vigilanza sulla sostenibilità finanziaria delle attività, della competenza a deliberare l'attivazione o la soppressione di corsi e sedi; della competenza ad adottare il regolamento di amministrazione e contabilità, il bilancio di previsione annuale e triennale e il conto consuntivo nonché, su proposta del rettore il documento di programmazione strategica". In capo al Cda è anche il "conferimento, su proposta del Rettore, dell'incarico di direttore generale (che sostituisce il direttore amministrativo), regolato con contratto di lavoro a tempo determinato di diritto privato di durata non superiore a quattro anni rinnovabile". Sempre l'art.2 stabilisce la composizione dei Cda di Ateneo "nel numero massimo di undici componenti, inclusi il rettore, componente di diritto, ed una rappresentanza elettiva degli studenti" e la "designazione o scelta degli altri componenti secondo modalità previste dallo statuto, anche mediante avvisi pubblici, tra personalità italiane o straniere in possesso di comprovata competenza in campo gestionale e di un'esperienza professionale di alto livello", la "non appartenenza di almeno il quaranta per cento dei consiglieri ai ruoli dell'ateneo a decorrere dai tre anni precedenti alla designazione e per tutta la durata dell'incarico" e la "elezione del presidente del consiglio di amministrazione (che si sottolinea può essere anch'esso "esterno"!) tra i componenti dello stesso". Cambiano anche le modalità di elezione del Rettore, a cui peraltro restano funzioni di mera "rappresentanza legale" rispetto allo strapotere conferito al presidente del Cda, che avverranno comunque, per garantirsene il pieno asservimento: "con voto ponderato tra i (soli) professori ordinari in servizio presso università italiane in possesso di comprovata competenza ed esperienza di gestione, anche a livello internazionale, nel settore universitario, della ricerca o delle istituzioni culturali". Spicca dunque l'esclusione totale dei ricercatori e del personale tecnico-amministrativo da ogni forma di partecipazione agli organi di governo, mentre l'"attribuzione dell'elettorato passivo agli iscritti per la prima volta e non oltre il primo anno fuori corso ai corsi di laurea, laurea magistrale e dottorato di ricerca dell'università" è il classico specchietto per le allodole in quanto i cosiddetti "rappresentanti degli studenti" restano in assoluta minoranza e privi di reale potere decisionale. Piegata agli interessi privati anche la composizione del "nucleo di valutazione interno" costituito da "soggetti... in prevalenza esterni all'ateneo". Infine il premio alle università virtuose selezionate dall'Anvur che potranno sperimentare: "una governance flessibile, con propri modelli organizzativi".

Accorpamenti, fusioni, chiusura di sedi e commissariamenti
In attuazione del federalismo, che prescrive il taglio e in prospettiva la cancellazione definitiva del fondo di finanziamento ordinario, le facoltà potranno essere "al massimo 12 per ateneo", i settori scientifico-disciplinari, attualmente 370, dovranno essere dimezzati, e gli atenei potranno "federarsi o fondersi con università vicine (di norma in ambito regionale) per abbattere i costi" (art.3).
In questo contesto l'art. 5 delega il governo entro 12 mesi dall'entrata in vigore della legge, e senza oneri per lo Stato, ad introdurre i criteri per "l'accreditamento di sedi, corsi di studio e dottorati di ricerca", per la "determinazione di un limite massimo all'incidenza complessiva delle spese per l'indebitamento e delle spese per il personale di ruolo e a tempo determinato, inclusi gli oneri per la contrattazione integrativa, sulle entrate complessive dell'ateneo", per la definizione del "costo standard unitario di formazione per studente in corso", nonché per la "previsione della declaratoria di dissesto finanziario nelle ipotesi in cui l'università non può garantire l'assolvimento delle proprie funzioni indispensabili, nell'ipotesi in cui l'ateneo non può fare fronte ai debiti liquidi ed esigibili nei confronti dei terzi", fino alla "previsione, per i casi di mancata predisposizione ovvero di mancata approvazione ovvero omessa o incompleta attuazione del piano, del commissariamento dell'ateneo". Dulcis in fundo la delega sul diritto allo studio "il cui riconoscimento deve essere effettuato esclusivamente sulla base delle competenze dimostrate da ciascuno studente" e per cui "Sono escluse forme di riconoscimento attribuite collettivamente".

Cancellata la figura del ricercatore a tempo indeterminato, via libera alle assunzioni per chiamata diretta
"L'abilitazione nazionale per l'accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori" sarà stabilita per ogni settore da quattro commissari scelti "all'interno di una lista di professori ordinari e sorteggio di un commissario all'interno di una lista, curata dall'ANVUR, di studiosi e di esperti di pari livello in servizio presso università di un Paese aderente all'Ocse". Per chi ha ottenuto l'abilitazione: "Le università procedono alla copertura di posti di professore di prima e seconda fascia e all'attribuzione dei contratti di ricercatori a tempo determinato mediante procedure di selezione pubblica basate sulla valutazione delle pubblicazioni scientifiche e del curriculum complessivo dei candidati". Le commissioni per assunzioni e progressioni di carriera restano quindi in mano al baronato visto che sono composte da almeno "cinque membri tutti professori ordinari della struttura". Al governo è invece delegata la "disciplina delle modalità per la selezione dei candidati da invitare a tenere una lezione pubblica nella sede dell'ateneo che ha indetto la procedura con esclusione di prove scritte o orali". Addio quindi sia ai concorsi pubblici che alle "prove oggettive", resta la "facoltà per gli istituti a ordinamento speciale e le università non statali di disciplinare autonomamente la composizione della commissione, nonché le procedure".
Il nuovo modello con due fasce di docenza prevede quindi la cancellazione del ruolo nevralgico di ricercatore universitario stipendiato a tempo pieno e con contratto a tempo indeterminato per fare spazio alla separazione tra didattica e ricerca ed alla conseguente selvaggia deregulation in tema di reclutamento e progressioni di carriera attuata attraverso la legalizzazione del precariato e la procedura privatistica della "chiamata diretta" (art. 9). In sostanza i ricercatori non solo non ottengono neanche il riconoscimento, più che dovuto, della terza fascia della docenza, ma vengono zittiti sotto il costante ricatto dei "contratti a termine". Accanto alla conferma del blocco del turn-over e alla "trasformazione della progressione biennale per classi e scatti di stipendio in progressione triennale con invarianza complessiva della medesima"; per gli attuali ricercatori e precari della ricerca sono previsti infatti soltanto contratti a tempo determinato (minimo 4 - massimo 5 anni) seguiti da eventuali contratti triennali, al termine dei quali se il ricercatore sarà ritenuto valido dall'ateneo sarà confermato a tempo indeterminato, come professore associato. In caso contrario, l'eventualità più plausibile, il ricercatore sarà licenziato, maturando solo "titoli utili per i concorsi pubblici" (quali?). Inoltre si specifica che sia gli assegni di ricerca che "i contratti triennali per svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti", sia quelli a tempo pieno che determinato: "non danno luogo a diritti in ordine all'accesso ai ruoli".

Gli altri obiettivi del ddl Gelmini
Questi provvedimenti servono con tutta evidenza a sfoltire il personale più produttivo ed attivo delle università e degli enti di ricerca pubblica, a selezionare quelli ritenuti più utili alle esigenze delle imprese per spingerli ad emigrare verso le università d'élite e quelle private e cattoliche. Una politica, quella dell'arruolamento dei "migliori scienziati delle università pubbliche" che è già in atto da tempo, ad esempio da parte del campus biomedico dell'Opus Dei di Roma e dalle università private telematiche. In questo senso va letto il passaggio che dà alle università la "facoltà di prevedere la copertura degli oneri derivanti dal reclutamento di professori e ricercatori a carico totale o parziale di soggetti pubblici e privati, previa stipula di apposite convenzioni di durata almeno decennale".
Al medesimo scopo di cui sopra il governo è delegato anche: 1) alla "predisposizione di un piano triennale diretto a riequilibrare, entro percentuali definite dal Ministero, e secondo criteri di piena sostenibilità finanziaria, la consistenza del personale docente, ricercatore e tecnico-amministrativo, ed il numero dei professori e ricercatori" e "la mancata adozione, parziale o totale, del predetto piano, comporta la non erogazione delle quote di finanziamento ordinario relative alle unità di personale che eccedono i limiti previsti"; 2) alla "determinazione di un limite massimo all'incidenza complessiva delle spese per l'indebitamento e delle spese per il personale di ruolo e a tempo determinato, inclusi gli oneri per la contrattazione integrativa, sulle entrate complessive dell'ateneo"; 3) alla deregolamentazione che permetta "l'assunzione di incarichi anche retribuiti di studio, di insegnamento, di ricerca, gestionali, di consulenza e di collaborazione scientifica per conto di enti pubblici o di soggetti privati"; 4) alla "previsione di procedure di mobilità professionale dei professori e ricercatori per lo svolgimento di attività, previo collocamento in aspettativa, presso soggetti e organismi pubblici o privati anche a scopo di lucro".
In sostanza tutto ciò significa allineare la controriforma della governance con le controriforme del "mercato del lavoro" (leggi Treu e Biagi) e con il nuovo modello contrattuale padronale e corporativo frutto dell'accordo separato tra governo, Confindustria e vertici sindacali collaborazionisti, prevedendo di fatto che l'insieme dei rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici delle università ed enti di ricerca venga privatizzato ed equiparato a quello dei dipendenti privati. Significa che il reclutamento universitario sarà sostanzialmente fondato sulla "chiamata diretta", fonte del più sfacciato clientelismo e nepotismo non solo di stampo baronale, ma anche mafioso. Non è da dimenticare infatti che, oltre a quello dei monopoli privati, c'è un interesse preciso delle holding criminali locali e nazionali, protette dal governo e dalle cosche dei partiti del regime neofascista, a fare parte dei nuovi organi di governo universitari per accaparrarsi anche le proprie schiere di quadri tecnici e di docenti per dare un avvenire certo a quella che anche il procuratore antimafia Grasso ha definito "la borghesia mafiosa".

29 settembre 2010