Lo afferma la motivazione della sentenza di assoluzione della Corte d'appello
"FINO AL 1980 ANDREOTTI PARTECIPAVA ALL'ASSOCIAZIONE MAFIOSA''
Quand'era presidente del Consiglio, nel '79, incontrò l'esponente di "Cosa nostra'' Bontade

Il processo al senatore Andreotti per associazione a delinquere e concorso in associazione mafiosa iniziato il 27 marzo 1993, allorché la procura di Palermo emanò un avviso di garanzia, si è concluso il 2 maggio di quest'anno con la sentenza della Corte di appello che conferma l'assoluzione di Andreotti già decretata in prima istanza, per "insufficienza di prove'' il 23 ottobre 1999 dalla quinta sezione del tribunale di Palermo. Eppure tale assoluzione suona come una beffa alla luce della pubblicazione delle motivazioni della sentenza avvenuta il 25 luglio.
Dalle 1.520 pagine delle motivazioni, divise in 6 volumi e 45 capitoli, emerge infatti che l'ex presidente del Consiglio democristiano almeno fino al 1980 ebbe rapporti con la mafia. Successivamente la sua condotta mutò. Risultato giudiziario: le accuse fino al 1980 (associazione a delinquere, perché quella di stampo mafioso fu introdotta solo nel 1982) devono essere prescritte. Per le altre subentra l'assoluzione nel merito.
Un passaggio su tutti delle motivazioni dei giudici la dice lunga: prima dell'80 il rapporto tra Andreotti e "Cosa nostra'' non fu "una semplice manifestazione di un comportamento solo moralmente scorretto e di una vicinanza penalmente irrilevante''. No. Si trattò di "una vera e propria partecipazione alla associazione mafiosa, apprezzabilmente protrattasi nel tempo''. Che si manifestò anche con "amichevoli ed anche dirette relazioni del senatore Andreotti con gli esponenti di spicco della così detta ala moderata di Cosa nostra, Stefano Bontade e Gaetano Badalamenti, propiziate dal legame del predetto con l'onorevole Salvo Lima ma anche con i cugini Antonino ed Ignazio Salvo, essi pure, peraltro, organicamente inseriti in Cosa nostra''. Tra l'altro, per la Corte d'appello, è provato un incontro che Andreotti ebbe con il boss mafioso Stefano Bontade nella primavera del 1980 nonché uno precedente nell'estate del '79. Ossia a cavallo dell'assassinio del presidente della Regione, Piersanti Mattarella (6 gennaio 1980). Dopo questo avvenimento secondo i giudici, Andreotti cercò di gestire la situazione, ma ci fu un "drammatico fallimento del disegno di mettere sotto il suo autorevole controllo l'azione dei suoi interlocutori ovvero, dopo la scelta sanguinaria di costoro, di tentare di recuperarne il controllo, promuovendo un definitivo, duro chiarimento, rimasto infruttuoso per l'atteggiamento arrogante assunto dal Bontade''.
Sul perché dei contatti di Andreotti con la mafia la Corte elenca l'appoggio elettorale alla corrente andreottiana nonché "il solerte attivarsi dei mafiosi per soddisfare, ricorrendo ai loro metodi, talora anche cruenti, possibili esigenze dell'imputato o di amici del medesimo; la palesata disponibilità ed il manifestato buon apprezzamento del ruolo dei mafiosi da parte dell'imputato, frutto'' anche "di un autentico interesse personale a mantenere buone relazioni con essi''. Insomma come ha ribadito anche Gioacchino Natoli, uno dei pubblici ministeri che incriminò il senatore a vita, in un'intervista apparsa su "l'Unità'' del 31 luglio, "Cosa nostra'' ebbe da Andreotti "una dignità che non meritava'' e "si rafforzò enormemente per il contributo di amichevole disponibilità mostrato dal presidente Andreotti verso di essa''.
Come uomo delle istituzioni, è scritto nella sentenza, il senatore avrebbe dovuto denunciare i boss e fornire poi tutti gli elementi di cui era a conoscenza ma "di questi fatti, comunque si opini sulla configurabilità del reato, il senatore Andreotti risponde, in ogni caso, dinanzi alla Storia''. E la storia dice che costui non è stato affatto un perseguitato politico, come affermano il neoduce Berlusconi e gli altri esponenti dell'attuale regime neofascista, ma per anni, un referente attivo della mafia. E per questo crimine doveva pagare.