Sul modello di Mussolini e Gentile
IL PARLAMENTO NERO VARA LA SCUOLA DELLA SECONDA REPUBBLICA NEOFASCISTA
Separazione classista fra istruzione liceale riservata ai giovani delle famiglie più agiate e formazione professionale per i figli dei lavoratori. Completa parificazione fra scuola pubblica e privata. Abolizione dell'obbligo scolastico. Selezione classista e meritocratica a partire dal primo anno di scuola. Avviamento al lavoro a 15 anni. Reintroduzione della bocciatura annuale e del voto in condotta. Riduzione delle ore di insegnamento e istituzione di corsi extracurricolari a pagamento. Abolizione del tempo lungo e prolungato alle elementari. Scolarizzazione precoce dei bambini a 2 anni e mezzo e a 5 anni e mezzo. Esclusione dei nidi dal sistema scolastico. Tagli al personale, carrierismo e gerarchizzazione dei docenti
LA FORMAZIONE IN MANO AL PADRONATO, ALLE REGIONI E ALLA CHIESA CATTOLICA

Con 142 voti a favore, 101 contrari e 2 astenuti, il 12 marzo il Senato ha approvato in via definitiva la legge delega al governo per l'attuazione della controriforma scolastica neofascista, classista, meritocratica, aziendalista e federalista del neoduce Berlusconi e della Thatcher di viale Trastevere Letizia Moratti.
Nonostante la mobilitazione studentesca che l'ha accompagnata a suon di occupazioni e manifestazioni di massa, Berlusconi e Moratti hanno fatto ricorso alla legge delega per imporre al Paese la controriforma scolastica esautorando il parlamento e infischiandosi della volontà degli studenti, personale docente e non docente e famiglie.

Il carattere antipopolare della "riforma"
Si tratta di una controriforma funzionale alle nuove esigenze economiche, produttive e competitive a livello europeo dei capitalisti italiani, che non a caso, a cominciare dal presidente di Confindustria Antonio Amato, l'hanno salutata con grande soddisfazione, e pesantemente permeata dall'ideologia clericale.
Non che finora la scuola borghese aiutasse i figli del popolo e fosse un modello positivo per le masse giovanili, non che finora il padronato e la Chiesa non la influenzassero pesantemente. Solo che si trattava di un'influenza più indiretta che diretta, realizzata attraverso l'ideologia dominante che permea i programmi, le strutture e il personale docente.
Ora invece il padronato, il clero e le borghesie locali, attraverso la regionalizzazione, avranno mano libera e il controllo pieno e diretto sull'istruzione e l'Italia imperialista disporrà delle migliori condizioni per lanciarsi nella "competizione globale dei mercati". Si tratta di una controriforma che fa fare un salto all'indietro di mezzo secolo al sistema scolastico italiano peggiorando perfino la situazione antecedente la Grande Rivolta del Sessantotto e addirittura quella precedente al 1962, anno in cui venne istituita la scuola media unica, com'era ai tempi del fascismo e fino a tutti gli anni '50 quando la scuola era inequivocabilmente di classe, selettiva e meritocratica; trasforma la scuola in un servizio individuale a pagamento accessibile solo a chi ha i mezzi economici per permetterselo e cancella ogni riferimento a una scuola intesa come servizio pubblico; opera una odiosa separazione classista fra l'istruzione liceale, riservata ai figli dei più ricchi, e la formazione professionale, dove finiranno confinati i figli del proletariato e delle classi meno abbienti ai quali sarà negata ogni possibilità di successo scolastico e di fatto sarà impedito il raggiungimento dei livelli più alti dell'istruzione; impone la canalizzazione precoce degli studi per cui già a 12 anni lo studente deve scegliere tra licei e formazione professionale; sancisce la definitiva equiparazione fra scuola pubblica e scuola privata conferendo a quest'ultima "pari dignità" non solo sul piano finanziario ma anche e soprattutto sul piano legislativo e normativo; abolisce di fatto l'obbligo scolastico sostituendolo con un mero "diritto-dovere all'obbligo formativo" ; consegna la formazione professionale in mano al padronato e alle regioni; reintegra l'odiato voto di condotta influente nel profitto; introduce la scolarizzazione precoce dei bambini; cancella il tempo pieno alle elementari; taglia migliaia di cattedre e posti di lavoro per il personale Ata e rilancia in grande stile il carrierismo per i professori e la gerarchizzazione delle funzioni.

Le responsabilità del "centro-sinistra"
Sarà bene chiarire fin da subito che se nel giro di poco più di un anno il governo del neoduce Berlusconi ha potuto portare a compimento il suo nero progetto di totale smantellamento della scuola pubblica italiana per consegnarla nelle mani dei privati, della Confindustria e della Chiesa cattolica, lo deve in buona parte ai governi di "centro-sinistra" Prodi e D'Alema che di fatto gli hanno spianato la strada e preparato il terreno. Infatti sono proprio le leggi sull'autonomia delle istituzioni scolastiche (n.59 del 15/3/97 articolo 21 legge Bassanini e successivi regolamenti), la legge sulla parità fra scuola pubblica e privata (n.62 del marzo 2000), l'introduzione dell'obbligo formativo al posto dell'obbligo scolastico sancito dall'articolo 68 della legge 17 maggio 1999, n. 144 e la legge n.30 del 10 febbraio 2000 di Berlinguer-De Mauro (che ha introdotto il sistema dei cicli scolastici e istituito per la prima volta in Italia una netta separazione fra istruzione e formazione professionale) i principali capisaldi su cui poggia la controriforma Berlusconi-Moratti. Così come è stato sempre Berlinguer a introdurre per la prima volta l'automatismo della legge delega in materia di istruzione scolastica ora portato alle estreme conseguenze dal Mussolini di palazzo Chigi e dalla Thatcher di viale Trastevere. Del resto non è un mistero nemmeno il fatto che il professor Giuseppe Bertagna messo dalla Moratti a capo del "Gruppo ristretto di lavoro" che ha elaborato la bozza di riforma, era anche uno dei massimi responsabili della commissione di saggi istituita da Berlinguer.
Il piglio autoritario e ducesco con cui Berlusconi e Moratti hanno condotto in porto a tappe forzate l'approvazione della controriforma e ne hanno già tracciato l'iter per la sua immediata attuazione, lo si coglie fin dalle prime righe dall'articolo 1 della legge delega, che consta in tutto di 7 articoli rimasti pressoché identici al testo originario approvato dal Consiglio dei ministri il 1• febbraio 2002, e che ne definisce le norme generali.
La "Delega in materia di norme generali sull'istruzione e di livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale" infatti, al contrario di quanto affermato da Berlusconi e Moratti che avevano promesso "una riforma scolastica condivisa, non calata dall'alto", affida al governo, senza alcuna interferenza parlamentare o dibattito aperto alla collettività, il compito di emanare entro due anni dall'entrata in vigore della legge (presumibilmente entro il 2005) una serie di decreti e regolamenti attuativi che plasmeranno nei dettagli la scuola del regime neofascista Berlusconi-Moratti.
Al comma 1 del primo articolo è scritto infatti che: "il Governo è delegato ad emanare entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto delle competenze costituzionali delle regioni e di comuni e province, in relazione alle competenze conferite ai diversi soggetti istituzionali, e dell'autonomia delle istituzioni scolastiche, uno o più decreti legislativi per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale".
Mentre al comma 2 si precisa ulteriormente che: "i decreti legislativi di cui al comma 1 sono emanati su proposta del Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze e con il Ministro per la Funzione Pubblica e con il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, sentita la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 e previo parere delle competenti Commissioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica da rendere entro trenta giorni dalla data di trasmissione dei relativi schemi; decorso tale termine, i decreti legislativi possono essere comunque emanati".
A tal proposito il 30 marzo il senatore di AN Giuseppe Valditara ha annunciato che il ministero è già al lavoro per il varo del primo decreto delegato inerente la riorganizzazione del primo ciclo didattico (ex elementari e medie) e che la Moratti "mi ha personalmente assicurato che torneranno le bocciature annuali secondo quanto richiesto in un ordine del giorno presentato da AN che rivendica una scuola più seria ed evita il rischio di una deresponsabilizzazione dello studente".
Si tratta di un primo esempio eloquente di quanto sia piena di risvolti nefasti la legge delega appena approvata che all'articolo 3 paragrafo a) afferma: "la valutazione, periodica e annuale, degli apprendimenti e del comportamento degli allievi del sistema educativo di istruzione e di formazione, e la certificazione delle competenze da essi acquisite, sono affidate ai docenti delle istituzioni di istruzione e formazione frequentate; agli stessi docenti è affidata la valutazione dei periodi didattici ai fini del passaggio al periodo successivo". In teoria sembrava che la valutazione degli studenti ai fini della bocciatura o promozione al ciclo successivo dovesse avvenire alla fine di ogni periodo didattico, cioé ogni due anni, visto che il primo ciclo, a parte il primo anno che è di raccordo con la scuola dell'infanzia, e l'ultimo che è di orientamento, è suddiviso in 3 bienni. Ora invece sembra che la Moratti, dopo aver sostenuto che per "valutazione annuale" si intendeva quella fatta dai docenti settimanalmente, mensilmente o alla fine di ogni trimestre, e per "valutazione periodica" si intendeva quella effettuata alla fine di ogni biennio, che si poteva concludere con la bocciatura, ha cambiato idea e, interpretando in maniera del tutto arbitraria la norma, ha intenzione di reintrodurre la bocciatura annuale. Inoltre secondo quanto prescritto in questo stesso paragrafo della legge delega viene reintrodotto il voto di condotta con ricadute sul profitto degli studenti che penderà come una spada di Damocle sulla testa dei più "indisciplinati" per tutta la durata degli studi in quanto sarà valutabile anche ai fini della bocciatura e del conteggio dei "crediti formativi". Infatti all'articolo 2 comma b) la legge delega sottolinea che: "sono favorite la formazione spirituale e morale, lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale ed alla civiltà europea".
Sarà così, a colpi di decreti legge e regolamenti ministeriali, che sarà disciplinato il nuovo sistema educativo e i suoi cicli (art. 2), la valutazione del sistema scolastico e degli allievi (art. 3), l'alternanza scuola-lavoro (art. 4), la formazione e il reclutamento degli insegnanti (art. 5), le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano (art. 6) e tutte le altre Disposizioni finali e attuative contenute nell'articolo 7 a cominciare dalla determinazione del nucleo essenziale dei piani di studio (contenuti e obiettivi disciplinari, orari, ecc.), le modalità di valutazione dei crediti scolastici, i requisiti formativi minimi per conseguire una qualifica professionale e le modalità per passare dal sistema dell'istruzione a quello della formazione professionale.

L'istituzione dei cicli e il doppio sistema di istruzione e formazione professionale
Il cardine principale intorno al quale ruota la controriforma Berlusconi-Moratti è l'art. 2: "Sistema educativo di istruzione e di formazione".
Esso definisce la struttura dei cicli introducendo l'odioso sistema classista che separa nettamente i licei dall'istruzione professionale; abolisce il concetto stesso di obbligo scolastico e introduce la scolarizzazione precoce dei bambini.
Il sistema scolastico si articola nella scuola dell'infanzia (durata 3 anni), nel primo ciclo (durata 8 anni) e nel secondo ciclo (durata 4 o 5 anni).
L'inizio del percorso scolastico è fissato al compimento del terzo anno di età per la scuola dell'infanzia (ex materna) e a 6 anni per il primo ciclo.
Alla scuola dell'infanzia si può anticipare l'accesso a due anni e mezzo in quanto al paragrafo e) la legge specifica che: "alla scuola dell'infanzia possono iscriversi le bambine e i bambini che compiono i 3 anni di età entro il 30 aprile dell'anno scolastico di riferimento, anche in rapporto all'introduzione di nuove professionalità e modalità organizzative".
Abbassare l'età di iscrizione dei bambini per toglierli dai nidi per inserirli in sezioni della materna già sovraffollate (fino a 28 bambini con un'insegnante al mattino e una al pomeriggio) oltre a rispondere all'odiosa politica di contenimento dei costi inaugurata da Berlinguer col DM 331/98, costituisce anche una palese rinuncia alla costruzione di nuove strutture in grado di soddisfare la crescente domanda soprattutto da parte delle famiglie meno agiate. Senza considerare che fra l'altro le stesse strutture delle materne sono spesso inadeguate ad accogliere bambini più piccoli. In questo modo si vanifica qualsiasi contenuto educativo e si mette a repentaglio anche la pura assistenza a tutto vantaggio delle strutture private. Infatti non è certo un caso che degli Asili nido, nati negli anni '70 in seguito alle lotte delle masse popolari e che rappresentano una grande conquista per le donne, non c'è traccia nella riforma Berlusconi-Moratti e sono considerati un "servizio a domanda individuale"
Il primo ciclo è composto dalla scuola primaria (l'odierna elementare, durata 5 anni) e dalla scuola secondaria di primo grado (le attuali medie, durata 3 anni) e si conclude con un esame di stato. è strutturata in bienni secondo il modello 1+2+2 e 2+1: non c'è più l'esame di 5a elementare, ma una valutazione ogni due anni per stabilire se l'alunno può passare al biennio successivo; anche se la Moratti pare intenzionata a reintrodurre la bocciatura annuale. Insomma la scuola comincia un anno prima per i bambini, che vengono così strappati al gioco per essere troppo precocemente costretti a istruirsi secondo modalità e tempi che rispondono all'esigenza della borghesia di accorciare i tempi dell'istruzione e anticipare il loro ingresso nel mondo del lavoro.
Il primo anno del ciclo, a cui si può accedere anche a cinque anni e mezzo secondo quanto stabilito al paragrafo f) secondo cui: "possono iscriversi anche le bambine e i bambini che li compiono entro il 30 aprile dell'anno scolastico di riferimento", è di raccordo con la scuola dell'infanzia ed è finalizzato ad acquisire la strumentalità di base (leggere, scrivere, ecc.); mentre l'ultimo anno si conclude con un esame di stato e "assicura l'orientamento ed il raccordo con il secondo ciclo", che tradotto in soldoni vuol dire che, da un lato, incanalerà i più "bravi" verso il liceo e confinerà i "somari" nella palude dell'istruzione professionale; mentre, dall'altro lato, costringe precocemente i ragazzi a soli 12 anni di età a scegliere il percorso successivo.

La selezione classista e meritocratica degli studenti
Ma la cosa aberrante è che l'orientamento, ossia la selezione dei più "bravi" da mandare al liceo e dei "somari" da confinare invece nella palude dell'istruzione professionale e nei corsi di avviamento al lavoro come avveniva ai tempi del fascismo, comincia fin dal primo anno in base a una antiscientifica predisposizione naturale agli studi e alle attitudini, alle capacità e agli interessi sviluppati dagli allievi.
Insomma si mira a inquadrare gli alunni in base alla loro estrazione sociale per indirizzarli - con il supporto delle famiglie - in una determinata direzione culturale e professionale. Il figlio di un professionista ha a disposizione tutti i mezzi economici e le opportunità di frequentare corsi di studi anche extrascolastici e sarà "naturalmente" portato a pensare che il liceo sarà la sua scuola. Il figlio di un operaio o di un immigrato, in genere, non avendo niente di tutto ciò sarà "orientato" a pensare che il liceo oltre a costare molto è anche difficile, che lo studio stesso richiede fatica e impegno superiori alle sue forze, che costringe poi ad andare all'università dove i costi saranno ancora più elevati e sarà quindi "naturalmente" portato a ridurre le sue pretese culturali e a imboccare la strada della formazione professionale.
Il secondo ciclo "è costituito dal sistema dei licei e dal sistema dell'istruzione e della formazione professionale". Il primo, di competenza statale, dura 5 anni e comprende artistico, classico, scientifico, economico, linguistico, musicale, tecnologico, scienze umane; si conclude con un esame di stato che dà libero accesso all'università, all'accademia di Belle arti, al Conservatorio musicale. Il secondo, di competenza regionale grazie alla modifica del titolo V della costituzione e alla legge sulla devolution, dura "almeno" 4 anni e dà accesso al mondo del lavoro o alla formazione tecnica superiore, la cui gestione deve ancora essere riorganizzata e disciplinata. Mentre è ancora incerto il destino dell'attuale istruzione tecnica per cui si prevede che alcuni istituti tecnici saranno assorbiti nel sistema dei licei, mentre altri andranno, insieme agli istituti professionali, nel segmento della formazione professionale regionale.
La regionalizzazione dell'istruzione professionale è un doppio obbrobrio: in primo luogo perché discrimina gli studenti dei professionali considerati di serie B da quelli dei licei considerati di seria A; in secondo luogo perché penalizza ulteriormente gli studenti delle Regioni più povere e in particolare del Mezzogiorno rispetto al Centro Nord che non avendo né i mezzi né i soldi per organizzare adeguatamente i corsi finiranno per lasciare ancora di più mano libera ai privati anche per quanto riguarda l'articolazione dei piani di studio.
Non a caso all'articolo 2 comma l) il ddl Berlusconi-Moratti prevede che " i piani di studio, nel rispetto dell'autonomia delle istituzioni scolastiche, contengono un nucleo fondamentale, omogeneo su base nazionale, che rispecchia la cultura, le tradizioni e l'identità nazionale, e prevedono una quota, riservata alle regioni, relativa agli aspetti di interesse specifico delle stesse, anche collegata con le realtà locali".

L'alternanza scuola-lavoro
"Dal quindicesimo anno di età i diplomi e le qualifiche si possono conseguire in alternanza scuola/lavoro o attraverso l'apprendistato che comprende 730 ore di attività formativa, 400 a scuola e 330 in azienda con tutor, e 730 ore di attività pratica sorvegliata. Il sistema di alternanza scuola/lavoro prevede "periodi di tirocinio e stage presso le imprese", attraverso convenzioni "che non costituiscono rapporto individuale di lavoro" che, secondo Bertagna, è rivolto "ai giovani che desiderano incontrare al più presto il mondo del lavoro", e che quindi devono adattarsi alla "domanda di professionalità che emerge dal mercato del lavoro". Inoltre alle imprese e agli Enti viene riconosciuto il diritto di intervenire anche sulla politica didattica di ogni singola scuola, attraverso la riforma degli organi collegiali già al vaglio del governo. Infatti, la composizione del nuovo Consiglio di amministrazione (che, prende il posto del consiglio d'Istituto) prevede la partecipazione di un "esperto gestionale": è facile supporre che possa essere un dirigente dell'azienda, dell'impresa o dell'Ente interessati a organizzare stage per gli studenti della scuola stessa. Se a questo sommiamo la possibilità per la stessa impresa di finanziare la scuola attraverso contributi (sotto forma di borse di studio), arriviamo al risultato di una scuola pubblica in mano ai privati, i quali avranno in cambio un serbatoio di mano d'opera giovane e gratuita da sfruttare e plasmare secondo le proprie esigenze di mercato.
Vengono complessivamente proposti 5 diversi percorsi: (3 anni o 1+3 se in alternanza scuola-lavoro) per ottenere una qualifica; percorsi triennali polivalenti per una qualifica professionale più ampia per accedere a tutti i percorsi di specializzazione o al quarto anno di Diploma; percorsi annuali di specializzazione (1 anno o 2 se in alternanza scuola-lavoro); percorsi quadriennali di tecnico polivalente (2+2 ) per il diploma.
I titoli e le qualifiche costituiranno la condizione per l'accesso all'istruzione e formazione tecnica superiore; e quelli conseguiti al termine di percorsi di durata almeno quadriennale consentiranno di sostenere l'esame di Stato, utile anche ai fini degli accessi all'università previa frequenza di un anno integrativo.
è vero che in teoria all'interno di questo secondo ciclo sarebbe aperta e assistita una remota possibilità di cambiare indirizzo mediante apposite iniziative didattiche, finalizzate all'acquisizione di una preparazione adeguata alla nuova scelta (le famigerate passerelle di berlingueriana memoria o i Larsa, laboratori di recupero e di sviluppo degli apprendimenti, di Bertagna) ma in concreto una muraglia invalicabile separa in modo netto la formazione professionale dall'accesso all' Università. Infatti un allievo che ha già accumulato nel corso della sua carriera scolastica diverse lacune ed è stato "ghettizzato" nei corsi di formazione difficilmente riuscirà a superare i "Larsa" e acquisire i "crediti certificati" per passare al liceo. Mentre può succedere più facilmente il contrario ossia il passaggio di un liceale "svogliato" verso l'istruzione professionale.
Insomma gli istituti professionali saranno trasformati in scuole-azienda e le aule in reparti produttivi dove gli studenti figli dei lavoratori e delle famiglie più povere saranno fortemente penalizzati e saranno addestrati a diventare un esercito di soldatini docili e obbedienti pronti a garantire lauti profitti ai capitalisti e addestrati a svolgere al meglio le proprie mansioni. Mentre ai rampolli della borghesia sarà concesso il privilegio di raggiungere i gradi più alti dell'istruzione, formare i futuri quadri e dirigenti della classe dominante per perpetuare il dominio della borghesia.
Carrierismo e gerarchizzazione dei docenti
Il ddl Berlusconi-Moratti infine introduce anche il carrierismo e la gerarchizzazione per il corpo docente interferendo pesantemente anche su quelle parti del lavoro docente che è specifica materia contrattuale come testimonia il recente decreto che ha riportato l'orario cattedra a 18 ore e il prolungamento volontario fino a 24 con conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro specie per i precari e abbassamento del livello qualitativo dell'insegnamento. Il reclutamento (che non sarà più per concorso) e la formazione dei docenti (sia iniziale che in servizio) sarà affidata alle università di concerto con le direzioni scolastiche regionali. Le università cureranno e gestiranno le lauree specialistiche, le ammissioni ai corsi, le attività di tirocinio, le funzioni di tutoraggio dei nuovi docenti e di coordinamento delle attività scolastiche (figure di sistema). Il nuovo testo prevede che "la formazione degli insegnanti della scuola secondaria di primo grado e del secondo ciclo" avvenga "con preminenti finalità di approfondimento disciplinare". Poco importa che il docente sappia insegnare, che sia aggiornato sulla didattica, sui bisogni degli alunni, le pratiche di socializzazione, le caratteristiche psicologiche e cognitive connesse all'età, ecc... i contenuti disciplinari anzitutto.

Abolizione del tempo lungo e riduzione dell'orario obbligatorio
Già il documento Bertagna indicava in 25 ore settimanali il tempo scuola. Il decreto Moratti per la sperimentazione alle materne e alle elementari e soprattutto gli allegati, che contengono l'intero impianto del nuovo modello scolastico, fissano nella scuola primaria (elementari), "l'orario annuale obbligatorio delle lezioni, comprensivo della quota riservata alle Regioni, alle istituzioni scolastiche e all'insegnamento della Religione cattolica, a 891 ore in prima classe (990 nel caso della formula "a tempo pieno") e a 990 ore nel primo e nel secondo biennio". Per quel che riguarda l'orario del "maestro prevalente", che torna in auge e viene individuato come "docente tutor" o docente coordinatore, "fino al primo biennio, svolge attività in presenza con l'intero gruppo di allievi che gli è stato affidato per l'intero quinquennio, per un numero di ore che oscillano da 594 a 693 su 891 o 990 annuali". E ancora "Il docente tutor del team assicura in ciascun gruppo-classe una presenza temporale settimanale indicativamente individuata tra le 18 e le 21 ore di insegnamento frontale". Poiché in un anno scolastico le settimane di lezione sono 33, ciò significa l'orario settimanale per gli alunni sarà di 27 ore o di 30 ore nel caso del "tempo pieno". Oggi tale tempo è di 40 ore, poiché anche l'orario mensa è ritenuto un momento significativo nel processo educativo. Con la riforma non sarà più così: il tempo mensa non sarà più considerato momento didattico e la sua cura sarà affidata ai collaboratori scolastici (la finanziaria 2003 già lo prevede), che avranno il compito di sorvegliare centinaia di bimbi urlanti a tavola e negli spazi della ricreazione.
Analogo discorso va fatto per le medie, per le quali il ministero sta definendo discipline (in aumento) e modelli organizzativi. Il tempo scuola obbligatorio sarà di circa 900 ore annue (27 settimanali) con una possibile aggiunta di circa 200 ore facoltative (6 settimanali) per attività di recupero o di sviluppo d'intesa con alunni e famiglie. Forse saranno anche a carico delle famiglie; comunque, dato il loro carattere facoltativo, saranno contraddistinte dalla precarietà negli impieghi di personale docente.
In questo modo anche la conquista sociale del tempo pieno alle elementari e il tempo scuola obbligatorio alle medie vengo di fatto cancellati e fortemente ridotti e per chi li vuole bisogna che se li paghi.