31 agosto 2005
Approvata dalla Casa del fascio col voto di fiducia e subito promulgata da Vittorio Emanuele III - Ciampi
La controriforma piduista della giustizia è legge
Via libera all'assoggettamento dei magistrati al governo
Com'era largamente prevedibile, e come avevamo infatti previsto, la controriforma dell'ordinamento giudiziario che sottomette la magistratura al governo è diventata definitivamente legge con pochi ritocchi di facciata per aggirare i rilievi di incostituzionalità mossi da Ciampi.
L'ha approvata il 20 luglio scorso la Camera con il voto di fiducia della Casa del fascio, e Ciampi l'ha controfirmata, stavolta senza fiatare, neanche una settimana dopo, tra gli applausi del ministro fascioleghista Roberto Calderoli perché, ha detto trionfante, "lo hanno tirato per la giacca in tutte le direzioni, ma lui ha tirato dritto e in pochi giorni ha firmato la promulgazione".
A nulla sono valsi ben 4 scioperi dei magistrati, negli oltre tre anni di tempo occorsi per la sua approvazione, le critiche e i pronunciamenti di ex magistrati, illustri giuristi e presidenti emeriti della Corte costituzionale. Hanno vinto il neoduce Berlusconi, i suoi tirapiedi leghisti, fascisti e democristiani e la P2, che aveva già scritto molti anni prima questa controriforma neofascista, fin nei dettagli, nel famigerato "piano di rinascita democratica" di Gelli. E tutto ciò grazie anche all'opposizione di cartone della "sinistra" parlamentare, che ha sostanzialmente rinunciato a dare battaglia in parlamento e nelle piazze a questo mostruoso provvedimento, cercando viceversa fino all'ultimo il "dialogo" con la maggioranza sui singoli capitoli della controriforma. Ora Prodi annuncia che il "centro-sinistra" la rimetterà "in discussione" se andrà al governo, ma è come chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati. Senza contare che non mancano, nell'Unione guidata (si fa per dire) dal professore democristiano, le voci in dissenso da questo preannuncio e che preferiscono parlare solo di eventuali "modifiche" alla legge, come i rutelliani della Margherita e i democristiani dell'Udeur.
Come avevamo già denunciato, i rilievi di incostituzionalità che Ciampi eccepì rinviando la legge alle Camere dopo che era stata approvata definitivamente il 1° dicembre scorso, erano solo uno specchietto per le allodole, congegnati in modo da non mettere in discussione l'impianto generale della legge e consentire la sua riproposizione sostanzialmente immutata con qualche modifica marginale. Sullo stesso modello adottato per la legge Gasparri che ha sancito il monopolio di Berlusconi sui media con la copertura e la sostanziale complicità del capo dello Stato.
Non per nulla il ministro fascioleghista della Giustizia Castelli, firmatario della controriforma, si disse molto soddisfatto dell'intervento di Ciampi, perché non aveva toccato il cuore della sua controriforma. La quale era così palesemente anticostituzionale, anche a detta della stragrande maggioranza dei magistrati, dei professori di diritto, dei costituzionalisti, ecc., che Ciampi fu praticamente costretto a rinviarla alle Camere per non suscitare uno scandalo. Avrebbe potuto rinviarla per manifesta incostituzionalità della legge nel suo complesso, così che il provvedimento non potesse essere ripresentato, in pratica affossandolo. Avrebbe potuto, se avesse dato ascolto all'indignazione della parte sana e democratica del Paese. Invece ha scelto di fare delle critiche solo su alcuni punti specifici del provvedimento, salvandone così l'impianto principale e dando alla Casa del fascio la possibilità di approvarlo di nuovo, solo con il fastidio di qualche mese di ritardo.
Oltretutto, come ha rilevato anche Livio Pepino, consigliere di Corte di Cassazione e presidente di Magistratura democratica, delle quattro modifiche richieste da Ciampi, riguardanti aspetti importanti ma non certo fondamentali della legge, solo una è stata accolta, e le altre tre sostanzialmente eluse dalla Casa del fascio. Si tratta dell'"ufficio di monitoraggio" sull'operato dei giudici, che è stato cassato, mentre per quanto riguarda la possibilità per il ministro Guardasigilli di relazionare a inizio anno in parlamento dando le direttive alle procure, la facoltà del ministro di ricorrere contro le delibere del Csm riguardanti incarichi direttivi adottati in contrasto col suo parere, e l'esautoramento del Csm dei suoi poteri in tema di assegnazioni, trasferimenti e promozioni di magistrati, per attribuirli invece alla Scuola superiore di magistratura e ad apposite commissioni esterne, sono state operate solo modifiche formali che non cambiano la sostanza delle suddette norme.
Per il resto si è avverato in pieno quel che il ministro Castelli aveva dichiarato il 16 dicembre scorso, dopo aver letto la lettera con cui Ciampi rinviò la legge alle Camere: "La cosa più rilevante - disse il Guardasigilli - è che il tronco della riforma è rimasto intatto. Ciampi ha tagliato soltanto alcuni rami, senza i quali la pianta non muore". E infatti sono rimasti intatti i capisaldi centrali della controriforma, a cominciare dalla separazione delle carriere tra giudicante e requirente, come chiedeva Licio Gelli nel suo "piano", compresi i famigerati test psico-attitudinali per i candidati giudici; la progressione delle carriere non più basata sull'anzianità e titoli ma su tutta una serie di sbarramenti da superare con esami, tale da costringere i magistrati più a studiare per fare carriera che ad occuparsi dell'amministrazione della giustizia e delle inchieste; la gerarchizzazione della magistratura, affidando tutto il potere ai procuratori capo di decidere quali inchieste seguire o non seguire e a chi affidarle, con la facoltà di avocare a sé i procedimenti più importanti; l'imbavagliamento dei magistrati, attraverso la "tipizzazione delle ipotesi di illecito dei magistrtati" e il divieto di iscrizione o partecipazione a partiti politici, manifestazioni e ogni altra attività che possa "appannare l'immagine del magistrato", nonché di rilasciare dichiarazioni e interviste, ecc.
Sono cioè rimaste intatte, anche perché Vittorio Emanuele III Ciampi non le aveva neanche sfiorate nella sua lettera, quelle norme che più direttamente mirano all'assoggettamento della magistratura al governo: quelle non a caso presenti nel "piano di rinascita democratica" della P2 di Gelli, Craxi e dello stesso Berlusconi (tessera P2 n. 1816). Se a tutto ciò aggiungiamo la legge Cirielli, più propriamente detta salva-Previti, che dimezza i termini della prescrizione per mafiosi e corrotti e che sta per essere approvata anch'essa col voto di fiducia dalla Casa del fascio, il quadro di una giustizia completamente asservita al potere politico non potrebbe essere più completo e sfacciato, tale da rimandare direttamente al nero ventennio mussoliniano.

31 agosto 2005