L'uomo-ombra di D'Alema è accusato di corruzione e abuso d'ufficio
Arrestato Fasano (PD), ex sindaco di Gallipoli
Agli arresti anche l'imprenditore Lagioia, cugino del ministro Fitto

Meno di due mesi dopo l'arresto di Sandro Frisullo, (l'uomo forte di D'Alema in Puglia piazzato da Vendola nella prima giunta regionale di "centro-sinistra" sulla poltrona di vice governatore e finito in manette il 19 marzo scorso con l'accusa di associazione per delinquere, corruzione e turbativa d'asta), il 17 maggio un altro dalemiano doc è finito in carcere: si tratta di Flavio Fasano, ex sindaco PD di Gallipoli e ex assessore ai lavori pubblici della provincia di Lecce, accusato di corruzione e abuso d'ufficio nell'ambito di un'ichiesta partita dall'omicidio di un boss della Sacra Corona Unita.
Secondo gli inquirenti, il braccio destro di D'Alema nel leccese è stato il protagonista di conclamate irregolarità nella gestione degli appalti (cartellonistica pubblicitaria, costruzione del nuovo istituto nautico e del campus universitario), nella nomina di dirigenti di enti locali, nell'assunzione di personale da inserire nelle ditte vincitrici delle gare, nell'ottenere denaro per il PD come corrispettivo ai favori prestati.
Storico esponente dei DS, legato da antica amicizia a Massimo D'Alema, suo testimone di nozze, Fasano è stato il grande artefice della scalata di D'Alema nel collegio elettorale di Gallipoli. La tegola giudiziaria lo ha colpito a gennaio scorso, alle vigilia delle elezioni regionali, quando, in seguito al ricevimento dall'avviso di conclusione delle indagini preliminari, fu costretto a dimettersi da tutte le cariche del PD e a rinunciare alla sua candidatura alle regionali sponsorizzata dal sindaco di Bari Michele Emiliano.
Il filone di indagini che riguarda Fasano è nato da una costola dell'inchiesta "Galatea" collegata all'omicidio del capo clan della Sacra Corona Unita, Salvatore Padovano.
Insieme a Fasano ci sono altri quattro coindagati tutti accusati a vario titolo di turbata libertà degli incanti, violazione del segreto d'ufficio, falso per induzione in errore determinato dall'altrui inganno, corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio e abuso d'ufficio. Si tratta di Gino Siciliano, storico caporione fascista leccese nonché amministratore delegato della Lupiae servizi, società partecipata dal comune di Lecce; Giovanni Lagioia, imprenditore leccese presidente della sezione comunicazione di Confindustria Lecce, cugino del ministro Raffaele Fitto, e Stefano Zampino, responsabile del Servizio Strade della provincia di Lecce. La richiesta di arresto a loro carico risale a cinque mesi fa.
Insieme agli arresti sono stati notificati anche sette avvisi di conclusione delle indagini nei confronti di altrettante persone, indagate, a vario titolo, per corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio e abuso d'ufficio.
Intercettazioni ambientali e telefoniche hanno permesso di ricostruire il meccanismo ben oliato attraverso il quale Lagioia e Siciliano hanno partecipato a una gara pubblica di quasi tre milioni di euro per l'aggiudicazione della gestione della cartellonistica pubblicitaria provinciale, disegnata da Fasano e Zampino su misura dell'ati (associazione temporanea d'impresa) Five-Cotup (amministratore unico e socio della Five erano rispettivamente Siciliano e Lagioia) che l'avrebbe vinta sebbene in mancanza di requisiti indispensabili per legge, come ad esempio un fatturato pari a dieci milioni, cifra per cui avrebbe garantito il Monte dei Paschi di Siena. La gara fu esperita nel 2008, quando assessore provinciale ai lavori pubblici era Fasano e presidente il senatore Giovanni Pellegrino (PD).
Un procedimento tutt'altro che trasparente, così come opaco appare un secondo appalto, quello per la realizzazione del nuovo Istituto Nautico di Gallipoli, portato a termine sempre sotto l'assessorato di Fasano e anche questo contestato dalla Procura.
Per il Giudice delle indagini preliminari (Gip) Andrea Lisi, che ha firmato l'ordinanza di 200 pagine, Flavio Fasano avrebbe "una capacità di persuasione e di coinvolgimento notevoli" ed "ha dato inoltre dimostrazione di una gestione disinvolta della cosa pubblica, caratterizzata dall'intreccio illecito fra interessi pubblici e privati. Pur non rivestendo attualmente la carica pubblica - scrive il Gip - c'è la possibilità che torni a commettere reati contro la pubblica amministrazione, anche in virtù dell'esperienza accumulata". Il rischio di reiterazione del reato, dunque, giustifica i domiciliari.
Insomma, dopo le dimissioni dell'indagato segretario organizzativo del PD, Michele Mazzarano, suo fedelissimo nel Salento (coinvolto nella "sanitopoli" pugliese e in rapporti con l'imprenditore Tarantini, quello della D'Addario a Palazzo Grazioli); dopo il coinvolgimento nelle inchieste baresi del suo amico-factotum Roberto De Angelis (quello degli incontri fra D'Alema e Tarantini); dopo l'iscrizione sul registro degli indagati dell'imprenditore Enrico Intini, suo intimo amico (nel medesimo filone sesso-sanitario); quasi tutto il clan pugliese del rinnegato D'Alema è finito nelle maglie della giustizia per vergognose storie di tangenti e corruzione.

26 maggio 2010