Con l'operazione “Mare sicuro”
L'Italia di Mattarella e Renzi schiera navi e droni per proteggere le vie del gas e del petrolio

Un migliaio di uomini armati di tutto punto tra cui i reparti degli incursori della Marina militare, compagnie di fucilieri del San Marco, quattro navi da guerra (una nave da sbarco della classe San Marco o San Giusto, una o più fregate e cacciatorpedinieri) dotate di elicotteri, aerei senza pilota i famigerati droni “Predator” dell'Aeronautica per la sorveglianza dal cielo e possibilità di ricorrere all'impiego delle unità già impegnate nell'esercitazione Triton "Mare Aperto 2015" nelle settimane scorse al largo delle coste libiche: uno schieramento di uomini e mezzi che fanno parte della cosiddetta operazione “Mare Sicuro” annunciata in parlamento dalla ministra della guerra Roberta Pinotti all'indomani dell'attentato terroristico da parte dei combattenti islamici antimperialisti al museo del Bardo di Tunisi che di fatto rappresenta un vero e proprio blocco navale del Mediterraneo centrale.
"A seguito dell'aggravarsi della minaccia terroristica, resa di drammatica evidenza anche dagli eventi di ieri in Tunisia - ha affermato la Pinotti - si è reso necessario un potenziamento del dispositivo aeronavale e l'invio di ulteriori unità navali, team di protezione marittima, aeromobili ad ala fissa e rotante, velivoli a pilotaggio remoto e da ricognizione elettronica" in aggiunta a quanto ordinariamente fatto, "tanto per la protezione delle linee di comunicazione, dei natanti commerciali e delle piattaforme off-shore nazionali, quanto per la sorveglianza delle formazioni jihadiste. Il tutto è integrato nell'Operazione alla quale è stato dato il nome di 'Mare Sicuro', anche per analogia semantica con quanto avviene sul territorio nazionale ('Strade Sicure')".
Altro che “missione operativa” per la “sorveglianza davanti alle coste del Nord Africa”. Il blocco navale ordinato da Mattarella e Renzi rappresenta di fatto un'aggressione imperialista dell'Italia tesa ad assicurare un intervento rapido a protezione degli interessi nazionale nella regione, in particolare in Libia, a cominciare dalle infrastrutture, aziende e soprattutto le piattaforme petrolifere e i gasdotti dell'Eni con alla testa il Gas & Oil complex di Mellitah da cui parte Greenstream, il gasdotto più lungo d'Europa, che ogni anno trasporta otto miliardi di metri cubi di gas dalla spiaggia a sud di Zuwara, a 70 chilometri dal confine tunisino, fino a Gela e poi li distribuisce in mezza Europa.
Poi c'è il petrolio, un tesoro di oro nero pari a 48 miliardi di barili da estrarre. Per il momento l'Eni ha ritirato interamente il personale italiano, concentrando il resto sulle basi offshore di Bouri, per il petrolio, e di Bahr Essalam per il gas. La produzione però non si è mai fermata. Pompano i pozzi di Wafa (petrolio e gas) ed Elephant, al confine con l'Algeria, mentre resta chiuso da un anno e mezzo quello di Abu Attifel in Cirenaica. L'intera produzione "italiana" confluisce nel complesso di Mellitah, da dove viene caricato sulle petroliere e spedito alle raffinerie di mezzo mondo.
Accanto a ciò ci sono poi le preziose banche dati digitali da proteggere a tutti i costi. Si tratta delle quattro dorsali di cavi sottomarini per le telecomunicazioni che passano dalle coste libiche e tunisine e permettono il collegamento tra l'America e l'Oriente e si estendono poi a maglia in tutta l'Europa e l'Africa. Il nodo italiano più importante, in cui l'autostrada digitale europea converge con quelle della grande dorsale Est-Ovest, è a Mazara del Vallo, dove i cavi si immergono con dentro le nostre voci e i nostri contenuti digitalizzati, le chat e le telefonate via Skype, le email di lavoro e i messaggi di WhatsApp. Il nodo libico, connesso con le stesse reti, è a Tripoli: metterci le mani vuol dire avere un accesso diretto e incensurabile alle telecomunicazioni mondiali, e poter intercettare quegli stessi dati sensibili che i servizi americani rubavano a nostra insaputa.
Non a caso, la Pinotti ha precisato che lo schieramento aeronavale italiano si occuperà “tanto della protezione delle linee di comunicazione, dei natanti commerciali e delle piattaforme off-shore nazionali quanto della sorveglianza delle formazioni jihadiste”. Del resto "Mare sicuro" è il primo passo, non l'unico messo in cantiere dal governo. “L'Italia - ha avvertito ancora il ministro - è pronta a tornare a giocare un ruolo di rilievo in un'eventuale iniziativa internazionale di stabilizzazione e ricostruzione della Libia”, un passo che affronteremmo quanto prima “in un quadro di legittimità internazionale sancito dall'Onu”.
Insomma l'Italia di Renzi mentre continua a pretendere la guida dell'intervento imperialista in Libia targato Onu ha già cominciato a schierare il suo apparato bellico davanti al Nord Africa per proteggere i suoi interessi e i profitti che trae dal saccheggio delle risorse petrolifere ed energetiche in quei Paesi.

9 aprile 2015