Come l'Urss di Lenin e Stalin si prodigava per l'integrazione e l'emancipazione delle popolazioni di lingua romané

Il problema del degrado materiale e sociale nel quale vivono le comunità rom e sinti è conseguenza dell'emarginazione forzata a cui sono costretti che finisce per renderli una sorta di sottoproletariato disperato costretto a vivere spesso di espedienti in mancanza di qualsiasi alternativa. Non era così nell'Urss socialista di Lenin e Stalin. Con la fondazione dell'URSS infatti uno dei primi problemi che affrontò il governo sovietico fu quello di favorire l'identità e la dignità nazionale a ogni gruppo etnico, compresi i rom, numerosi in Russia, Bielorussia e Ucraina, come ha pienamente messo in luce un recente volume della ricercatrice universitaria del Brooklyn College, Brigid O’Keeffe, intitolato “New Soviet Gypsies. Nationality, Performance and Selfhood in the Early Soviet Union” (University of Toronto Press, Toronto, 2013).
L'autrice mette in evidenza come la condizione dei rom migliorò fino a giungere nei decenni alla completa integrazione di tale gruppo all'interno della società sovietica: nel luglio 1925 si formò a Mosca, favorita dal governo sovietico, l’Unione Rom Panrussa (UZP) che subito aprì sedi a Leningrado, Černigov, Vladimir e Smolensk, nello stesso anno fu costituita a Rostov la prima fattoria collettiva rom dell’Unione Sovietica, mentre l’UZP continuava a lavorare insieme al Commissariato del Popolo all’Agricoltura e al Dipartimento delle Nazionalità del Comitato Esecutivo Centrale Panrusso per creare la Commissione per l’Insediamento dei Rom Lavoratori, con l'obiettivo di incoraggiare i rom ad abbandonare il nomadismo. Infatti le popolazioni romaní iniziarono presto a stabilirsi sulle terre a loro riservate da ciascuna Repubblica sovietica, tanto che si stima che tra il 1926 e il 1928 cinquemila appartenenti a tale gruppo nazionale si siano insediati nelle fattorie in Crimea, in Ucraina e nel Caucaso settentrionale.
Furono condotte campagne di alfabetizzazione, nel gennaio 1926 furono create a Mosca le prime classi in lingua romanes dell’Unione Sovietica, all’interno delle scuole elementari russe esistenti, dove si insegnavano varie materie inizialmente in russo e poi, con la creazione di un apposito alfabeto, furono stampati testi in tale lingua e formati insegnanti appartenenti a tale etnia, nel novembre 1927 fu avviata la pubblicazione di una rivista in romanes, Romany zorja (L’Alba rom), seguita dal Nevo drom (La nuova strada), un manuale di lettura destinato agli adulti. La prima grammatica romanes destinata alle classi rom, Tsyganskij jazik (La lingua rom), apparve nel 1931, mentre alla fine degli anni Trenta venne pubblicato un dizionario romanes-russo di diecimila vocaboli, e scuole in lingua romanes furono poi istituite anche nelle fattorie collettive in cui i Rom si erano stabiliti. Parallelamente alla battaglia per l’istruzione dei rom il governo fece ogni sforzo per aiutarli ad inserirsi nella società sovietica e anche nell'ambito della classe operaia, tanto che nel 1931 a Mosca c'erano già 28 cooperative che occupavano 1.350 operai rom che lavoravano insieme a colleghi di almeno altre undici nazionalità.
Fu Stalin in persona a promuovere in quello stesso anno la costruzione del Teatro Romen, il primo teatro professionale in lingua rom, che tuttora esiste, mai costruito altrove, dove venivano rappresentati drammi tradizionali di quel popolo che finalmente poteva metterli per iscritto, e tutto ciò diede diritti e dignità a un intero popolo, tanto che durante la seconda guerra mondiale molte decine di migliaia di appartenenti a questa nazionalità combatterono orgogliosamente nell'Armata Rossa per liberare l'Europa e nei campi di sterminio nazista perirono circa 35.000 rom sovietici. Finita la guerra il sistema di promozione e di integrazione di questa e altre minoranze nomadi fu accolto negli altri Stati socialisti dell'Europa orientale liberati dall'Armata Rossa, e il risultato fu la graduale eliminazione dell'analfabetismo e l'emancipazione e l'integrazione di questi popoli.
Tutto questo porta ad una sola conclusione: il degrado nel quale sono attualmente costrette a vivere queste minoranze nell'attuale Unione Europea e anche in Italia non dipende dalla loro inferiorità culturale o da una inesistente propensione a delinquere, come propaganda vergognosamente il fascioleghista Matteo Salvini e i suoi camerati di Forza Nuova e di Casapound, ma solo dalle politiche sociali discriminatorie imposte loro dalla dominante cultura borghese e dal sistema capitalista, e questo dimostra, come se fosse ancora necessario ribadirlo, l'indiscussa superiorità culturale e sociale del socialismo, che seppe a suo tempo, pur con tante difficoltà, rimboccarsi le maniche e garantire a quel popolo dignità e progresso, rispettandone nel contempo le tradizioni e la cultura che furono valorizzate pienamente.

27 maggio 2015