Con l'approvazione alla Camera proprio alla vigilia delle elezioni
Varata la finta legge anticorruzione di Renzi
Asse PD-Forza Italia per bocciare tutti gli emendamenti delle opposizioni e impedire il rinvio della legge al Senato

Il 21 maggio, a pochi giorni dalle elezioni regionali parziali, la Camera ha approvato in via definitiva con 280 sì, 53 no e 11 astensioni la legge cosiddetta anticorruzione. Una legge che in occasione della sua prima approvazione, il 1° aprile al Senato, non avevamo esitato a definire una farsa, e tale si conferma essere e a maggior ragione dopo il via libera definitivo della Camera, dato che è stata approvata esattamente nello stesso testo uscito dal Senato e respingendo tutti gli emendamenti presentati, pur di permettere a Renzi di fare in tempo a incassarla prima delle elezioni, per cercare di bilanciare l'effetto negativo degli ultimi devastanti scandali come quelli dell'Expo, del Mose, di “Mafia capitale”, delle “grandi opere”, delle cooperative, e altri. Anche se poi, come si è visto, ciò non è bastato lo stesso a evitare la frana elettorale e politica che ha severamente punito il suo partito.
Comunque questa era la sua intenzione, e anche il vero motivo che stava alla base dell'improvvisa fretta che aveva preso il capo del governo e il suo ministro della Giustizia Orlando nell'accelerare l'approvazione di un disegno di legge anticorruzione che era stato presentato più di due anni fa, ad inizio di legislatura, dal presidente del Senato Grasso, e che il governo aveva fatto suo proprio per bloccarne l'iter parlamentare e poterlo rimaneggiare in peggio, in omaggio al patto del Nazareno con Berlusconi. E ciò attraverso un'interminabile quanto sconcia trattativa al ribasso con Alfano, in cui entravano anche il disegno di legge (ddl) sulla “riforma” della prescrizione e la legge bavaglio sulle intercettazioni, trattativa che aveva tenuto fermo il ddl anticorruzione praticamente per tutto il primo anno di governo Renzi. Tanto che solo i suddetti scandali, in combinazione con l'approssimarsi delle elezioni, hanno indotto il premier a chiudere la partita, in tempo per farsi l'ennesimo spot elettorale vantandosi via Twitter di aver fatto una legge che ripristina il reato di falso in bilancio e aumenta le pene per i corrotti, i quali non potranno più avvalersi della prescrizione.

Misure insufficienti e di facciata
Come al solito quello di Renzi è tutto fumo negli occhi, buono solo per imbeccare i titolisti ruffiani dei giornali al suo servizio permanente effettivo. Il tanto strombazzato ripristino del reato di falso in bilancio, sostanzialmente abrogato da Berlusconi nel 2002, è per esempio solo un ripristino a metà, privo di reale efficacia deterrente e pieno di scappatoie giuridiche a beneficio dei falsificatori di bilanci: per essere considerata reato perseguibile d'ufficio, infatti, la falsificazione dei bilanci deve essere fatta “consapevolmente”, i “fatti materiali” non rispondenti al vero od omessi devono essere “rilevanti” e la loro comunicazione deve essere effettuata “in modo concretamente idoneo a indurre altri in errore”. Materia in abbondanza, dunque, per gli staff legali delle grandi società quotate in Borsa, che anche se ora rischiano fino a 8 anni per le false comunicazioni, hanno a disposizione diversi pretesti legali per farla franca. Comunque, siccome la pena minima è di 3 anni, e quindi le pene finali medie si aggireranno intorno ai 4-5 anni, per effetto delle ultime leggi svuota carceri, che prevedono il carcere solo per pene superiori ai 5 anni, è molto probabile che la maggior parte dei (già pochi) condannati se la cavi senza fare un giorno di galera.
Inoltre le società non quotate in Borsa rischiano solo fino a cinque anni, e questo limite non è stato scelto a caso, perché per reati punibili fino a cinque anni, oltre ai suddetti vantaggi, la magistratura non può chiedere le intercettazioni. Se poi le società sono piccole e i fatti sono di “lieve entità”, per i quali le condanne vanno dai sei mesi ai tre anni, niente cambia rispetto alla depenalizzazione berlusconiana.
Ed è vero, poi, che la legge Orlando aumenta le pene, sia massime che minime in varia misura, per l'associazione mafiosa e tutta una serie di reati di corruzione, come il peculato, la corruzione semplice, corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, corruzione in atti giudiziari, corruzione di magistrato e corruzione per induzione (non però per la concussione, la corruzione internazionale e l'autoriciclaggio). Ma è anche vero che il tanto vantato aumento della prescrizione che ne deriva, e che dovrebbe scongiurare il principale motivo di impunità per i reati di corruzione, si riduce alla fin fine, nei casi di corruzione più gravi, a solo 2 anni in più: un po' poco per consentire a Renzi di twittare pomposamente che d'ora in poi “la prescrizione per i reati di corruzione non sarà più possibile”.

Già ipotecata la “riforma” della prescrizione
Inoltre, fatta la legge trovato l'inganno: questi 2 anni di allungamento dei termini della prescrizione sono proprio il pretesto, la merce di scambio, per giustificare il rinvio a dopo le elezioni della legge che dovrebbe “riformare” la ex Cirielli sulla prescrizione breve, che la stessa Corte europea ci impone di cambiare perché fa cadere sistematicamente in prescrizione tutti i processi per corruzione. Il trucco è – come ha garantito Orlando ad Alfano in cambio del via libera all'anticorruzione - che siccome l'aumento delle pene ha già prodotto un aumento della prescrizione, ci sarà un corrispondente riaccorciamento della stessa quando si tratterà di riprendere in mano il ddl sulla prescrizione che “riforma” la ex Cirielli.
Anche la commissione per le Riforme del Consiglio superiore della magistratura (Csm) aveva espresso un parere fortemente critico sul provvedimento prima della sua approvazione alla Camera, parere che però è stato completamente ignorato dal governo: “sporadici”, “frammentari”, “disorganici e insufficienti” sono stati gli aggettivi usati dalla commissione del Csm per definire gli interventi inseriti in questa legge. In particolare i magistrati scrivono che il governo “si limita a proporre l'aumento della pena edittale (da 8 a 10 anni, ndr), misura che dal punto di vista della strategia complessiva di repressione del fenomeno, pare insufficiente, inidonea a colmare le lacune e le incertezze della legge Severino”; mentre sarebbero state necessarie misure ben più efficaci, dall'interdizione obbligatoria e perpetua per ogni reato di corruzione, alla tutela dei “pentiti”. Anche il ripristino del reato di falso in bilancio, secondo i magistrati, è fortemente indebolito dalla lieve entità delle pene per le società non quotate che rende tale reato “difficilmente intercettabile”.
La natura truffaldina e da spot elettorale della legge anticorruzione emerge chiaramente anche dal modo con cui il governo l'ha fatta passare alla Camera: rifiutando qualsiasi “dialogo” con le opposizioni e respingendo sistematicamente tutti i loro emendamenti, perché altrimenti il ddl sarebbe dovuto tornare al Senato e Renzi non l'avrebbe potuta avere prima delle elezioni. Anzi, dove c'era anche il rischio che il ddl venisse bocciato, visti i numeri risicati del governo al Senato, come aveva ammesso candidamente il ministro Orlando per giustificare la blindatura del provvedimento. Al Movimento 5 stelle, che pure aveva rinunciato all'ostruzionismo offrendo al governo di approvare il provvedimento alla quarta lettura anche con i suoi voti, sull'esempio della legge sugli ecoreati, in cambio dell'accoglimento almeno di alcuni suoi emendamenti migliorativi, Orlando e gli altri oratori del PD avevano risposto picche, con la motivazione che non si poteva ritardare ulteriormente un provvedimento “tanto atteso a lungo” dall'opinione pubblica, quando proprio loro lo avevano ritardato di oltre due anni perché inviso a Berlusconi e Alfano.

Il gioco di squadra PD-Forza Italia
A questo proposito non deve trarre in inganno che la legge sia passata solo con i voti del PD e dei centristi (del resto più che sufficienti alla Camera), e che il partito di Berlusconi abbia votato contro come il M5S (mentre la Lega si è astenuta). In realtà il no finale di Forza Italia è solo un no di facciata, utile sia a Berlusconi che a Renzi per ricompattare i rispettivi elettorati in vista delle regionali. In realtà sotto sotto ha lavorato invece a pieno ritmo il mai veramente decaduto patto del Nazareno, con i voti di Forza Italia che si sono uniti invariabilmente a quelli del PD per bocciare uno ad uno gli emendamenti dei 5 stelle. Ma spesso anche con i voti della Lega, e in qualche caso perfino con quelli di SEL, contraria per principio a qualsiasi inasprimento delle pene ai corrotti.
Così è stato fra l'altro sul Daspo ai corrotti, ossia l'interdizione perpetua dai pubblici uffici per i condannati per corruzione, misura respinta anche se era stata invocata dallo stesso Renzi in una delle sue tante sparate mediatiche; e così è stato anche per il Daspo ai corruttori, sul licenziamento dei pubblici dipendenti corrotti, sulla proposta di infiltrare “agenti provocatori” sul modello Usa per mettere alla prova l'onestà dei funzionari pubblici, sulla fattispecie di corruzione anche per il settore privato, sull'estensione del falso in bilancio anche alle fondazioni bancarie e alle fondazioni politiche dietro cui si nascondono i finanziamenti ai partiti, sul voto di scambio che era stato depotenziato da un precedente accordo PD-Forza Italia (art. 416-ter ), e così via. Tutti emendamenti, questi, tendenti a rinforzare questa legge all'acqua di rose e che sono stati seccamente respinti al mittente con i voti di PD e FI; senza per la verità che il mittente, ossia il M5S, abbia protestato più di tanto, limitandosi più che altro a denunciare la legge farsa di Renzi e Orlando come “una manovra di marketing elettorale”.
In realtà è molto più di questo: in particolare, ora che le elezioni sono alle spalle, è un alibi politico per mettere finalmente mano alla legge sulle intercettazioni, che il nuovo Mussolini aveva già annunciato come il passo immediatamente successivo alla legge contro la corruzione e quella di “riforma” della prescrizione.

17 giugno 2015