Il lavorio del nuovo duce e di Nardella con il generale Adinolfi
Renzi tramava per liquidare Letta
Napolitano ha uno scheletro nell'armadio?

“Quelle telefonate dimostrano solo che io in privato parlo come faccio in pubblico. Non nascondo quello che penso”: così, secondo la ricostruzione del suo megafono ufficioso La Repubblica , Matteo Renzi ha liquidato con un'alzata di spalle le intercettazioni rivelate da Il Fatto Quotidiano del 10 luglio sulle confidenze fatte al telefono al suo amico comandante in seconda della Guardia di finanza, il generale Michele Adinolfi, dalle quali emergono inquietanti retroscena sul suo lavorio, insieme all'amico Nardella e al fido Luca Lotti, per defenestrare Enrico Letta da Palazzo Chigi, nonché sulla ricattabilità dell'ex presidente Napolitano per via del figlio Giulio.
Renzi poteva sfoggiare tanta sicumera prevedendo che, mentre in un qualsiasi Paese normale un simile scandalo sarebbe bastato e avanzato per provocare la sua caduta, o quantomeno una grave crisi politica, in Italia invece, vaccinata da vent'anni di berlusconismo e già da quasi due di renzismo, il caso sarebbe sparito dalle cronache della stampa di regime compiacente nel giro di un paio di giorni, sostituito dalle notizie trionfali sulla presunta ripresa economica e del premier che annuncia l'abolizione dell'Imu e il taglio delle tasse. Eppure la vicenda è molto grave ed emblematica degli intrecci politico-affaristico-massonici intorno al nuovo duce e che spiegano la sua fulminante ascesa al potere e i suoi disegni di stampo piduista.
Le intercettazioni in questione sul generale Adinolfi, già indagato e archiviato per l'inchiesta sulla P4, amico di Berlusconi e di Gianni Letta, erano state disposte dalla procura di Napoli in ordine all'inchiesta sulla cooperativa Concordia per una sospetta fuga di notizie, e poi archiviate. Una di esse si riferisce ad una telefonata del 10 gennaio 2014 con Matteo Renzi, da poco salito alla segreteria del PD vincendo le primarie e già al lavoro per ordire il colpo di palazzo che lo porterà a Palazzo Chigi, silurando Letta e previo via libera di Napolitano. Renzi e Adinolfi sono molto amici, come anche con i fedelissimi Carrai e Lotti, fin dai tempi in cui Renzi era alla Provincia di Firenze e il generale comandava la Gdf di Toscana ed Emilia Romagna. Tanto amico, lui che teoricamente era un controllore di Renzi, da poter dare affettuosamente dello “stronzo” al futuro premier alla fine del colloquio. Da lui sono dipese guarda caso le indagini sulla segretaria di Bersani e l'indagine per truffa aggravata alla ex ministra Josefa Idem, costretta a dimettersi dal governo Letta. Mentre si è ben guardato dall'indagare sull'assunzione di Renzi nell'azienda di famiglia per prendere i contributi pensionistici pagati da Provincia e comune di Firenze.

La telefonata tra Renzi e Adinolfi
In questa telefonata, fatta nel giorno del suo 39° compleanno da un'utenza intestata alla fondazione “Big bang”, Renzi gli confida tutto sui suoi giudizi su Letta e sui suoi colloqui con Napolitano e Berlusconi per arrivare a un cambiamento di governo. Il giorno precedente, accompagnato da Delrio, si era incontrato con Letta a Palazzo Chigi, dove presumibilmente lo aveva invitato inutilmente a farsi da parte con la prospettiva di appoggiare una sua futura candidatura al Quirinale. Ad Adinolfi confida perciò che lo aspetta una “settimana decisiva”, e di essere indeciso tra un “rimpastino” di governo, o meglio un “rimpastone”, per mettere dentro qualcuno dei suoi “a sminestrare un po' di roba”, oppure “buttare all'aria tutto” (cioè far cadere il governo Letta e prendere il suo posto), il che “alla lunga sarebbe meglio per il Paese, perché lui è proprio incapace”.
“Lui non è capace, non è cattivo, non è proprio capace”, precisa a questo punto Renzi, aggiungendo che altrimenti “l’alternativa è governarlo da fuori…”. All'osservazione di Adinolfi che forse Letta sarebbe più adatto a fare il presidente della Repubblica che governare, Renzi ne conviene rivelando che proprio quella era l'offerta che gli aveva fatto: “Lui sarebbe perfetto, gliel'ho anche detto ieri”. Ma c'è il problema dell'età, bisognerebbe aspettare agosto 2016, e “quell'altro (Napolitano, ndr) non ci arriva, capito? Me l'ha già detto”. Gli ha detto cioè che vuole andare via nel 2015.
Quindi si ritorna punto e a capo: rimpasto o defenestrazione? La seconda ipotesi, ammette Renzi, sarebbe la più gradita anche a Berlusconi, con cui evidentemente il nuovo duce tramava per l'appoggio esterno ad un suo governo ancor prima dell'incontro del Nazareno. Ma Napolitano è contrario a far cadere Letta, perché ha paura di destabilizzare ulteriormente il quadro economico: “Non ci sono alternative (al rimpasto, ndr), perché quello, il numero uno, non molla e quindi che fai?”. E poi, aggiunge Renzi, anche se mollasse “il numero uno ce l'ha a morte con Berlusconi per cui... e Berlusconi sarebbe più sensibile a fare un ragionamento diverso. Vediamo, via, mi sembra complicata la vicenda”.
Ora sappiamo come andò a finire: Berlusconi, che poco dopo siglò il patto del Nazareno con Renzi, tramite Il Giornale e le sue tv lanciò una campagna di stampa contro Napolitano sfruttando le rivelazioni di un libro del giornalista americano Friedman sul golpe bianco del 2011 che lo sostituì con Monti, e come per miracolo il veto del capo dello Stato su Letta cadde e Renzi ebbe via libera per sostituirlo con un altro golpe bianco del tutto analogo.

“Napolitano è ricattabile, ce l'hanno per le palle”
Ma c'è un'altra intercettazione, ambientale stavolta, che riguarda proprio Napolitano. E' il 5 febbraio 2014, il colpo di palazzo sta maturando, quando alla Taverna Flavia di Roma pranzano in quattro: l'allora vicesindaco (oggi sindaco) di Firenze Dario Nardella, il solito Adinolfi, il presidente dei medici sportivi Maurizio Casasco e l’ex capo di gabinetto del ministro Tremonti, Vincenzo Fortunato. Adinolfi si lamenta della conferma a comandante generale della Gdf di Saverio Capolupo, appena nominato da Letta nella carica alla quale anche lui aspirava, e che, come si deduce da un'altra telefonata con il braccio destro di Renzi e sottosegretario con delega ai servizi segreti, Lotti, gli era stata in qualche modo promessa dai suoi amici renziani.
Adinolfi attribuisce la nomina a pressioni di Letta su Napolitano, che sarebbe ricattabile a causa del figlio Giulio: “Giulio oggi a Roma è potente, è tutto, o comunque è molto. Giusto?”, dice il generale. E Fortunato aggiunge: “Comunque lui è un uomo, c’ha studi professionali, interessi. Comunque tutti sanno che lui ha un’influenza col padre”. Anche Nardella concorda: “È fortissimo!”. Adinolfi insiste: “Non è normale che tutti sappiano che bisogna passare da lui per arrivare...”. E Nardella sembra accennare a un possibile conflitto di interesse: “Consulenze, per dire consulenze dalla pubblica amministrazione”. Per finire Adinolfi adombra che il capo dello Stato sarebbe ricattabile perché “l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro e Letta (probabilmente Gianni, ndr) ce l’hanno per le palle, pur sapendo qualche cosa di Giulio”. Nardella non sembra stupirsi, anzi rivela che “a me è venuta la Santanché pensa, che dice tanto tutti sanno qual è la considerazione di Giulio Napolitano. Prima o poi uscirà fuori... e se lo sa la Santanché, vabbé ragazzi”.
Ci sono anche altre intercettazioni dei carabinieri che confermerebbero che la ricattabilità di Napolitano era cosa nota negli ambienti politici. In particolare una telefonata del giorno seguente ad Adinolfi da parte di Antonello Montante, presidente di Confindustria Sicilia e delegato per la legalità, ora indagato per associazione mafiosa. Mentre aspetta di parlare col generale, Montante si confida con un amico sulla nomina di Capolupo attribuendola ad un suo ricatto su Napolitano: “Perché è stato prorogato… chissà perché… figlio di puttana ha beccato ha in mano tutto del figlio di Napolitano, tutto… me l’ha detto Michele (Adinolfi, ndr)… ha tutto in mano sul figlio di Napolitano”.
In un'altra intercettazione si allude più specificamente a cosa sarebbe dovuta la ricattabilità di Napolitano per coprire il figlio: il 5 febbraio 2014 Fortunato parla al telefono con Fabrizio Ravoni, già a Il Giornale e poi a Palazzo Chigi con Berlusconi e Fortunato. Quest'ultimo esterna a Ravoni i suoi giudizi sul presidente della Repubblica, che avrebbe favorito provvedimenti utili al figlio Giulio imponendo invece il rigore su altri: “Guarda è un uomo di merda io so’ convinto da tempo… prima ha fatto cadere questo poi ha sposato il rigore a parole perché tra l’altro quando si trattava di far passare i provvedimenti per l’Università che gli stavano a cuore al figlio era il primo a imporci le norme di spesa ma comunque poi ha imposto a tutto il paese un anno di governo Monti al grido rigore, rigore, rigore…’”. E nel verbale i carabinieri annotano che Napolitano jr. è professore ordinario a Roma Tre.

Accelerare la legge sulle intercettazioni
Come c'era da spettarsi, le reazioni di Napolitano padre e figlio a queste rivelazioni sono state a dir poco furenti. Ma non contro i vari Renzi, Nardella, Adinolfi e compagnia bella, bensì contro Il Fatto Quotidiano che le ha pubblicate del tutto lecitamente, essendo atti depositati. E ciò attraverso due lettere di fuoco al quotidiano di Travaglio in cui si minacciano vie legali a tutela degli interessati. Particolarmente velenosa quella dell'ex capo dello Stato, che definisce quella del Fatto “una grossolana, ignobile montatura” (sic)... facendo leva sul testo di alcune intercettazioni giudiziarie acquisite e pubblicate in modi di assai dubbia legittimità”.
Come abbiamo già detto Renzi ha invece incassato tutto ciò come se fosse normale amministrazione. Non ha neanche preso in considerazione l'idea di rimuovere dai loro posti, o almeno sottoporre a inchiesta i due più alti generali della Gdf, i quali d'altronde hanno fatto finta di niente come lui. Non si è nemmeno degnato di andare in parlamento a rispondere all'interrogazione presentata dal M5S, inviando in sua vece alla Camera la fedelissima ministra Boschi.
La quale, ben ammaestrata dal suo duce, ha risposto con altrettanta indifferenza e arroganza alla richiesta di spiegazioni: “Il governo deve rispondere sui fatti, non su illazioni o ipotesi che non hanno alcun legame con l'azione dell'esecutivo e che possono appassionare solo gli amanti dei romanzi fantasy”, ha sentenziato infatti la ministra delle Riforme. “Nessuno ha mai parlato di sostituire Letta. Con Adinolfi si discusse di rimpasto, un argomento di cui in quei giorni si parlava sui giornali e in tv”. Annunciando anzi che sarebbero state fatte verifiche sulle intercettazioni “per accertare eventuali responsabilità. Il ministero della Giustizia (Orlando, ndr) ha disposto i primi accertamenti e il procuratore presso la Corte di cassazione ha aperto un fascicolo. Purtroppo non è la prima volta e speriamo sia l'ultima”.
Chiara la minaccia implicita nelle parole di Boschi di accelerare la legge bavaglio sulle intercettazioni, come confermato anche dal neo capogruppo PD alla Camera
Ettore Rosato. “Nessun bavaglio alla stampa”, ha rassicurato ipocritamente costui, aggiungendo subito dopo: “Andiamo avanti come ci siamo impegnati a fare sulla riforma del processo penale, nell'ambito del quale c'è la delega alle intercettazioni. E, come da programma, entro fine luglio il provvedimento sarà in aula alla Camera”.
Del resto Renzi lo aveva promesso a marzo: “Entro la fine del 2015 faremo una legge per regolare le intercettazioni”. E ora questa vergognosa vicenda, lungi dal metterlo minimamente in imbarazzo, gli ha dato la motivazione per realizzare al più presto la promessa.

29 luglio 2015