Rapporto di Erne alla 5ª Sessione plenaria del 5° Comitato centrale del PMLI

 
LA SITUAZIONE INTERNAZIONALE E LA LOTTA ANTIMPERIALISTA DEL PMLI
- L'IMPERIALISMO E I POPOLI E NAZIONI OPPRESSI  - LE DIVISIONI TRA GLI ISLAMICI  - LE CONTRADDIZIONI INTERIMPERIALISTICHE   - UN MONDO DI FAME, POVERTA', MIGRANTI E PROFUGHI GENERATO DALL'IMPERIALISMO   - LA LOTTA ANTIMPERIALISTA DEL PMLI

Pubblichiamo qui di seguito il rapporto del compagno Erne sull'attuale situazione internazionale e la politica antimperialista del PMLI, presentato alla 5ª Sessione plenaria del 5° Comitato centrale del PMLI, tenuta a Firenze l'11 ottobre 2015.
Il “prezioso” rapporto, come l'ha definito il compagno Scuderi nelle conclusioni, è stato condiviso pienamente da tutti i membri del CC e dagli invitati.
“Ora il nostro compito principale – come ha detto il Segretario generale – è quello di lavorare affinché tutto il Partito si compatti sulla linea antimperialista del CC e si mobiliti per farla conoscere e condividere dalle masse proletarie, popolari e giovanili, a partire dai sinceri antimperialisti”.
 
Care compagne, cari compagni,
su incarico del Segretario generale del Partito vi presento questo Rapporto sulla situazione internazionale e la lotta antimperialista del PMLI. Sono trascorsi quasi 7 anni dal glorioso e storico 5° Congresso nazionale del nostro amato Partito. Nel frattempo sono emerse diverse novità nel mondo, alcune già individuate e anticipate dalle Tesi approvate dal suddetto Congresso e dal mirabile e lungimirante Rapporto tenuto dal compagno Giovanni Scuderi, altre che riguardano essenzialmente la lotta antimperialista di popoli e Stati manifestatesi con la nascita dello Stato islamico (IS). Una situazione per certi aspetti inedita e di difficile decifrazione anche da parte dei sinceri antimperialisti e dei compagni, senza la guida del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e del PMLI.
In questa sede è opportuno esaminare le principali novità internazionali, rendendo omaggio e gloria eterna alle Penne rosse de "Il Bolscevico", dirette dal compagno Achille con il supporto e l'ispirazione immancabile e fondamentale del Segretario generale, che settimanalmente ci illuminano sulla politica interna e estera, in particolare al compagno Alessandro che da anni regge l'urto maggiore sul fronte della politica estera. Seppur momentaneamente non più cartaceo ma on line, il nostro amato giornale sempre più colorato e più accattivante graficamente, fornisce settimanalmente la base imprenscindibile per capire e interpretare il mondo d'oggi. Tanto che, come è stato ben evidenziato, saltare la lettura de "il Bolscevico" è come saltare un pasto.
 
Care compagne e cari compagni, questo Rapporto farà la sua parte, voi dovrete fare la vostra intervenendo nel dibattito che seguirà, sulla base delle vostre esperienze e conoscenze, esprimendovi liberamente e senza remore.

L'IMPERIALISMO E I POPOLI E NAZIONI OPPRESSI
Fin da quando il capitalismo si è trasformato in imperialismo a cavallo tra l'ottocento e il novecento, come rileva Lenin nella magistrale opera del 1916 "L'imperialismo fase suprema del capitalismo", l'esportazione di capitali ha assunto una maggiore importanza rispetto all'esportazione delle merci, tanto che oggi la circolazione di capitali su scala mondiale, sfruttando internet e i nuovi mezzi telematici, è diventata vertiginosa e si attua in tempo reale. Questi flussi finanziari che circolano alla velocità della luce condizionano governi ed economie di interi paesi. I grandi finanzieri e le multinazionali hanno così in mano un enorme potere che usano unicamente per arricchirsi sempre più, per fare affari più lucrosi e per diventare ancora più potenti. Secondo una stima dell'Unctad, l'agenzia del commercio delle Nazioni Unite, nel 2012 la classifica delle prime cento potenze economiche mondiali in base al prodotto interno lordo vede la presenza di ben 55 società multinazionali contro 45 Stati sovrani. Sono 55 giganti mondiali più potenti economicamente di tanti Stati, che controllano la comunicazione, l'informazione, il web, l'alimentare. Il loro fatturato non è intaccato dalla crisi economica, i loro tentacoli sono estesi in tutto il mondo e permettono loro di compensare agevolmente il calo delle vendite in un continente con l'aumento in un altro. Come rilevava Lenin" Alcune decine di migliaia di grandi aziende sono tutto; milioni di piccole aziende, niente".
Ogni superpotenza per difendere l'espansione delle proprie multinazionali attacca in tutti i campi, finanziario, economico, commerciale, politico e militare. Attualmente nel mondo sono due le contraddizioni fondamentali. Quella tra l'imperialismo e i popoli e nazioni oppressi e quella interimperialistica. La prima contraddizione, che è antica quanto il capitalismo e l'imperialismo, è inevitabilmente destinata a svilupparsi e a sfociare in rivolte di massa, in lotte di liberazione nazionale e in rivoluzioni.
Oggi la lotta all'imperialismo si compie in tutt'altra condizione rispetto al secolo passato, quando ancora esistevano l'Unione Sovietica di Lenin e Stalin, la Cina di Mao e il campo socialista internazionale.
Il vuoto che si è venuto a creare nella lotta all'imperialismo, per il cedimento dei partiti comunisti storici e per il comportamento non coerente al marxismo-leninismo-pensiero di Mao dei partiti che si richiamano al comunismo presenti nei paesi in cui divampano i conflitti, ha consentito a diverse organizzazioni islamiche di prendere la testa dei movimenti di liberazione nazionale, usando metodi e mezzi diversi da quelli novecenteschi quando i popoli lottavano all'interno dei propri paesi contro l'aggressore esterno. Oggi le lotte di resistenza antimperialistiche islamiche escono dai rispettivi paesi per essere portate fin dentro i paesi imperialisti. Non a caso nell'importante Documento dell'Ufficio politico del PMLI del 10 gennaio di quest'anno all'indomani degli attentati di Parigi si rilevava questa novità: "Ormai dall'11 settembre di New York, - si legge - la guerra di resistenza all'imperialismo, sotto forma di azioni terroristiche, è portata fin dentro i Paesi imperialisti, ed è impensabile fermarla se gli imperialisti non si ritirano dai Paesi che occupano e che controllano. Per contro i governanti imperialisti invitano all'unità nazionale per difendere la libertà e i "valori" dell'Europa e dell'Occidente. In realtà invitano a difendere il capitalismo, la dittatura della borghesia, le loro istituzioni antipopolari e la loro politica imperialista e interventista. Un invito che va decisamente respinto per non essere coinvolti nelle guerre imperialiste e nei crimini che commettono gli imperialisti in nome della falsa democrazia e della falsa umanità. Tutti i popoli hanno diritto all'autodeterminazione e all'indipendenza e a risolvere da sé le loro contraddizioni interne. Bisogna lottare contro l'imperialismo, segnatamente contro l'Unione europea imperialista e contro il governo del Berlusconi democristiano Renzi, che è in prima linea sul fronte dell'interventismo militare imperialista".
Una sintesi marxista-leninista eccezionale, che squarcia il pensiero unico borghese capitalista e imperialista. A cui ha indirettamente risposto l'11 gennaio il ministro degli Esteri del governo Renzi il crociato Gentiloni intervistato da "la Repubblica": "Illudersi che questa minaccia possa essere fronteggiata senza intervenire, astenendosi, credendo di poterci rinchiudere nelle nostre frontiere è un'idea pericolosa... Noi dobbiamo colpire, sradicare, estirpare la minaccia nel luogo in cui è più radicata, quello dello Stato islamico... Il non intervento è illusorio e pericoloso, così come sarebbe ancora più pericoloso pensare che il tema non riguardi noi, ma che ci sia qualcun altro che lo faccia per noi... Tant'è che per battere lo Stato islamico c'è una coalizione di 60 paesi. E per questo il governo chiede unità al parlamento, non solo per rafforzare e riorganizzare il dispositivo che contrasta il terrorismo all'interno del Paese, ma per combatterlo fuori". Con l'elmetto anche il neo presidente della Repubblica Mattarella che gli ha fatto eco nel suo discorso di giuramento in parlamento, per cui la minaccia islamica "è molto più profonda e più vasta. L'attacco è ai fondamenti di libertà, di democrazia, di tolleranza e di convivenza. Per minacce globali servono risposte globali. Un fenomeno così grave non si può combattere nel fortino degli Stati nazionali".
Bisogna prendere atto che con gli attentati dell'11 settembre del 2001 è nato un nuovo tipo di resistenza all'imperialismo. Solo il nostro Partito, unico nello scenario nazionale, e fors'anche a livello mondiale, ha colto perfettamente questa novità.
Per portare il popolo a sposare la propria politica imperialista i guerrafondai devono giocoforza esaltare la superiorità del sistema politico e dei "valori" occidentali in contrapposizione alla "barbarie" dei combattenti islamici antimperialisti, devono demonizzarli come tagliagole assetati di sangue, responsabili dei più efferati e gratuiti crimini ai danni di bambini, donne e innocenti senza mai far emergere le loro ragioni, i loro programmi politici, i contenuti delle loro denunce. Devono insomma rovesciare verità e menzogna. Ecco perché non fanno mai chiarezza su chi sono gli aggressori e invasori e chi invece gli aggrediti e vittime. Nessuno deve sapere le ragioni vere della guerra in atto, qual è la contraddizione principale, che è tra imperialismo e paesi e popoli islamici oppressi.
Non dobbiamo avere nessun dubbio che quella in atto non è né una guerra di religione né una guerra di civiltà. E' una guerra tra imperialismo e popoli oppressi, dove in gioco è l'autodeterminazione o meno delle nazioni e dei popoli islamici. Una guerra che non cesserà finché l'imperialismo continuerà ad ingerirsi negli affari interni di quelle nazioni saccheggiandole, aggredendole, invadendole, bombardandole e imponendo loro governi e organizzazioni statali fantoccio, come hanno fatto gli USA coi governi da Kharzai in poi in Afghanistan o quello sciita in Iraq.
Noi marxisti-leninisti italiani dobbiamo gridare forte: lasciate in pace quei popoli, lasciateli decidere liberamente da soli il loro destino e lasciateli risolvere autonomamente le loro contraddizioni interne e, d'incanto, si dissolverà ogni nube di guerra.
Il carattere dell'antagonismo che contrappone l'imperialismo ai popoli e ai paesi islamici è esclusivamente di carattere politico, economico e militare. E in questo conflitto ognuno sceglie con chi stare. Noi stiamo dalla parte dei combattenti islamici antimperialisti e li sosteniamo fino in fondo nella loro lotta per l'indipendenza e la sovranità nazionali e per la liberazione da ogni forma di occupazione e rapina di tipo egemonico. Ma certo non ne abbracciamo l'intera concezione del mondo e la raccapricciante organizzazione sociale reazionaria e oscurantista di tipo feudale di cui sono portatori. Né accettiamo tutti gli atti dello Stato islamico, come l'aggressione al Kurdistan siriano, dove il popolo curdo locale chiede e reclama l'autonomia. Seppur impregnato dall'ideologia del “socialismo libertario”, dall'anarchismo, dal femminismo, dalla cosiddetta “ecologia sociale”, il fronte popolare di liberazione guidato dal PKK, il Partito dei lavoratori curdi inizialmente ispirato al marxismo-leninismo e dal 1999 condotto ufficialmente da Ocalan a sposare la teoria del cosiddetto “municipalismo libertario”, rappresenta le legittime ambizioni alla fondazione di uno Stato autonomo curdo, partendo dalla regione autonoma di Rojava. Dichiaratasi autonoma nel novembre 2013 Rojava, non riconosciuta dalla Siria di Assad, è costituita da 3 cantoni, Jazira, Kobane e Afrin, che stanno resistendo agli attacchi dell'IS. In questo quadro condanniamo la strage di Stato di ieri ad Ankara contro il popolo curdo.
Il nostro sostegno allo Stato islamico non è in nessun modo contraddetto dal nostro rifiuto della sua strategia di un mondo islamico e dei suoi principi religiosi, politici e sociali. L'abbiamo sempre detto, scritto e fatto. Abbiamo sostenuto e celebrato la rivoluzione antimperialista islamica di Khomeini in Iran, mandando a una Conferenza rituale a Teheran uno dei nostri massimi dirigenti nazionali, il compagno Dario Granito, rispondendo all'invito indiretto dell'allora governo di Teheran. Abbiamo sostenuto questo Paese fino alla presidenza antimperialista di Ahmadinejad, senza mai rinunciare ai nostri principi e alle nostre convinzioni marxiste-leniniste circa l'utilizzo della religione come oppio dei popoli e sull'organizzazione reazionaria e oscurantista della società, come non possiamo oggi sostenere l'attuale politica interna ed estera iraniana, che da un lato ha ceduto all'imperialismo occidentale limitando il suo programma nucleare e dall'altro mira, col suo interventismo politico, economico e militare, a svolgere un ruolo egemone nella regione, combattendo insieme all'imperialismo americano lo Stato islamico.
E' stato Stalin ad insegnarcelo nella sua opera "Principi del leninismo" ben 91 anni fa: "Nelle condizioni dell'oppressione imperialistica, il carattere rivoluzionario del movimento nazionale non implica affatto obbligatoriamente l'esistenza di elementi proletari nel movimento, l'esistenza di un programma rivoluzionario o repubblicano del movimento, l'esistenza di una base democratica del movimento. La lotta dell'emiro afghano per l'indipendenza dell'Afghanistan è oggettivamente una lotta rivoluzionaria, malgrado il carattere monarchico delle concezioni dell'emiro e dei suoi seguaci, poiché essa indebolisce, disgrega, scalza l'imperialismo...
La lotta dei mercanti e degli intellettuali borghesi egiziani per l'indipendenza dell'Egitto - continua Stalin -, è, per le stesse ragioni, una lotta oggettivamente rivoluzionaria, quantunque i capi del movimento nazionale egiziano siano borghesi per origine e appartenenza sociale e quantunque essi siano contro il socialismo... E non parlo del movimento nazionale degli altri paesi coloniali e dipendenti più grandi, come l'India e la Cina, ogni passo dei quali sulla via della loro liberazione, anche se contravviene alle esigenze della democrazia formale, è un colpo di maglio assestato all'imperialismo, ed è perciò incontestabilmente un passo rivoluzionario".
Queste frasi di Stalin ribadiscono e al tempo stesso attualizzano alla situazione odierna un principio fondamentale del marxismo-leninismo-pensiero di Mao che ci permette di orientarci correttamente nei confronti delle lotte antimperialiste, per quanto complesse, peculiari e diverse appaiono tra loro. Come in tutti i fenomeni si tratta sempre di individuare la contraddizione principale che è la lotta antimperialista, la lotta di popolo contro l'occupante militare oppressore, la lotta di liberazione nazionale dall'aggressore straniero. Ed è questa che va appoggiata senza tentennamenti e riserve, senza farsi condizionare dalla propaganda dell'imperialismo che taccia di terrorista qualsiasi forza o movimento osi impugnare le armi e combattere contro la sua rapacità e prepotenza. Che poi a ben guardare sono le stesse accuse che i nazisti rivolgevano ai partigiani nella guerra di resistenza al mostro nazifascista.
Un bivio è di fronte a noi e a tutti i veri e sinceri antimperialisti: o l'imperialismo o i popoli islamici antimperialisti, non esiste una terza scelta davanti a noi. Che ci piaccia o no i movimenti antimperialisti non potranno mai conformarsi ai nostri desideri e speranze soggettivi perché essi sono il frutto delle contraddizioni e della situazione internazionale attuale, dove l'ideologia e la politica comuniste, per i motivi già detti sopra, non riescono a esercitare alcuna influenza come invece avveniva in passato, quand'era vivo Mao ed esisteva un campo socialista.
Dopo anni, decenni di guerre imperialiste in Afghanistan, Iraq, Palestina, Libia e nell'intero Nordafrica, la rivolta dei popoli arabi ha al fine portato alla proclamazione dello Stato islamico che contrappone la guerra di liberazione alla guerra di occupazione, il terrorismo rivoluzionario al terrorismo controrivoluzionario. I primi terroristi sono stati gli eserciti imperialisti americani, israeliano e europei che si sono macchiati di crimini inenarrabili e incancellabili come il genocidio sionista ai danni del popolo palestinese, un popolo eroico di cui appoggiamo la terza Intifada in corso contro gli occupanti sionisti, nazisti e imperialisti israelian, l'invasione dell'Iraq e della Libia e le esecuzioni sommarie di Saddam, di Gheddafi e dei loro governi e sostenitori, le stragi nei villaggi, l'uso dei droni, i bombardamenti a tappeto contro civili, bambini e persino ospedali, gli stupri delle mogli e delle figlie dei combattenti antimperialisti, la tortura fisica esercitata sul posto e nelle carceri dei paesi imperialisti come quella statunitense di Guantanamo ai cosiddetti "terroristi islamici".
A questa guerra di dominio e di saccheggio degli imperialisti che ricorrono in modo sistematico al terrorismo, gli antimperialisti islamici contrappongono una propria guerra di resistenza che fa uso anche di azioni terroristiche fuori dai confini dei propri Paesi, fin dentro quei Paesi imperialisti aggressori affinché non si sentano al sicuro neppure nelle loro retrovie. Noi marxisti-leninisti non possiamo condividere gli atti terroristici indiscriminati contro incolpevoli o innocenti civili, il taglio delle teste e la distruzione dei siti archeologici. Al loro posto agiremmo in modo diverso, ma questo non ci impedisce di capire la loro rabbia e le ragioni che scatenano tale reazione. E in ogni caso dobbiamo prendere atto che non si sono piegati all'imperialismo e lo combattono con ogni mezzo godendo del consenso di consistenti fette delle popolazioni locali. Se costoro fossero semplicemente dei pazzi sanguinari, non riusciremmo mai a spiegare il loro successo nella guerra di resistenza all'imperialismo, né l'estensione dei territori da essi controllati in Iraq, Siria, Libia e laddove vivono popolazioni locali e etnie molto diverse fra loro, né l'arruolamento nel suo esercito di un numero sempre crescente di giovani provenienti da ogni parte del mondo, compresi gli USA, l'UE e la Russia.
Come dimostrano i fatti, lo Stato islamico è il nemico comune di tutti i paesi imperialisti. Da tempo esso è combattuto in armi, dal cielo, dalla coalizione internazionale di 60 paesi con alla testa gli USA. Di recente è bombardato autonomamente sia dalla Francia del socialista Hollande sia dalla Russia del nuovo zar Putin. Mentre è in corso una trattativa per creare una nuova coalizione internazionale che comprenda anche la Russia, ciascuno dei suoi membri lavora per il dominio della Siria, una volta eliminato l'IS.
Tutto questo dovrebbe far riflettere i sinceri antimperialisti italiani ancora perplessi o contrari a sostenere lo Stato islamico.
Tutti i popoli del mondo devono unirsi per combattere l'imperialismo sostenendosi l'un l'altro. Attaccare l'imperialismo da tutti i lati e in ogni parte del mondo, anche nelle sue roccaforti, vuol dire indebolirlo, fiaccarlo, demonizzarlo, dividerlo, disperderne le forze. Ciascun popolo deve mettere nel mirino in primo luogo il "proprio" imperialismo. La vittoria di un popolo è la vittoria di tutti gli altri popoli. Noi dobbiamo sostenere tutti i popoli che combattono l'imperialismo indipendentemente dalle forze che li dirigono. Noi appoggiamo i paesi che si oppongono ai ricatti, ai soprusi, all'ingerenza, alla sopraffazione, all'oppressione e all'aggressione dell'imperialismo, qualsiasi siano le forze che li governano, anche se siamo contrari alla loro politica interna e a certi loro atti di politica estera. Noi dobbiamo lottare affinché vengano cancellati i debiti ai paesi più poveri.
 

LE DIVISIONI TRA GLI ISLAMICI
Una gran confusione regna attualmente sul fronte dell'informazione riguardante gli islamici. Per l'imperialismo occidentale tutti i movimenti che gli si oppongono sono criminali e terroristi, quando nella realtà di volta in volta scelgono le alleanze a loro momentaneamente più favorevoli. La storia recente ha visto l'appoggio imperialista capitanato dagli USA ai mujahiddin afghani nella lotta di resistenza al socialimperialismo sovietico, per poi bombardare e invadere lo stesso paese dopo l'attacco subito l'11 settembre 2001, così è stato per l'Iraq di Saddam, armato e foraggiato nell'aggressione all'allora bastione antimperialista della Repubblica islamica dell'Iran di Khomeini per poi scaricarlo e raderlo al suolo anni dopo con il pretesto dell'esistenza delle fantomatiche "armi di distruzioni di massa", fino all'appoggio odierno al governo sciita di Al Abadi nella lotta contro lo Stato islamico, così come è stato con Gheddafi in Libia. L'imperialismo da sempre foraggia le monarchie reazionarie del Golfo a partire dall'Arabia Saudita e sfrutta ai propri fini le plurisecolari divisioni presenti nel mondo islamico, a partire dalla principale che divide sunniti da sciiti.
Le divisioni tra sunniti e sciiti risalgono alla morte del fondatore dell'Islam, il profeta Maometto, nel 632 d.c.: la maggioranza di coloro che credono nell'Islam, i sunniti, che attualmente sono più dell'80% di tutti i musulmani, pensavano che l'eredità religiosa e politica di Maometto potesse andare a qualunque musulmano eletto per buona moralità, dottrina e sano di corpo e di mente, mentre per gli sciiti invece il successore doveva essere esclusivamente un consanguigno del profeta. Tutti i musulmani sono d'accordo che Allah sia l'unico dio, che Maometto sia il suo messaggero, e che ci siano cinque pilastri rituali dell'Islam, tra cui il mese di digiuno, il Ramadam, e il Corano, libro sacro. Mentre i sunniti si basano sulla pratica del profeta e sui suoi insegnamenti la "sunna", che prevede la direzione di un califfo, gli sciiti vedono le figure religiose degli ayatollah come riflessi di dio in terra, l' Imam letteralmente "persona che sta davanti", colui che guida la comunità islamica negli affari spirituali, politici, materiali e sociali, immune dagli errori perché guidato dalla volontà divina e credono che il dodicesimo e ultimo imam discendente da Maometto sia nascosto e un giorno riapparirà per compiere la volontà divina.
La rivalità tra sciiti e sunniti è scoppiata a livello politico a partire dalla rivoluzione khomeinista in Iran nel 1979, che ha portato all'instaurazione di una teocrazia islamica sciita in forte contrapposizione con tutti i paesi del Golfo Persico governati dai sunniti. Quella che viene definita "mezzaluna sciita" oggi parte dall'Iran, passa dall'Iraq e dal regime di Assad in Siria e arriva fino a Hezbollah in Libano, in Kuwait e nello Yemen, e si oppone al blocco sunnita guidato dall'Arabia Saudita.
L'attuale bastione antimperialista islamico, lo Stato islamico proclamato il 29 giugno del 2014, è sunnita, come sunniti sono i miliziani di Al Qaeda.
Seppur gli avvenimenti dello scorso gennaio in Francia sembrerebbero dimostrare analogie e contatti tra i due gruppi, l'attacco alla rivista islamofobica “Charlie Hebdo” è stato rivendicato da Al Qaeda e compiuto da due miliziani dell'organizzazione dello Yemen, mentre l'attentatore del supermercato kosher parigino ha proclamato di aver giurato fedeltà al capo dei musulmani, il Califfo Abu Bakr al-Baghdadi.
Prioritario per Al Qaeda è sempre stato colpire il "nemico lontano" cioè l'occidente imperialista con azioni terroristiche, mentre l'IS mira a consolidare i propri successi a livello regionale e locale. Ogni provincia ha il suo emiro capo al tempo stesso politico e militare.
Già prima della fulminea avanzata dell'Is in Iraq era stato lo stesso capo di Al Qaeda Al Zawahiri a mandare segnali di avvicinamento al Califfo in nome di una lotta comune che allora era verso il regime di Assad in Siria e oggi contro la coalizione internazionale guidata dagli USA di Obama, ma i fatti recenti hanno dimostrato la temporanea impossibilità di fusione a livello di movimento e dirigenze.
Entrambi sono gruppi jihadisti sunniti. I loro obiettivi finali sono identici: eliminazione dell'influenza occidentale nel mondo islamico; unità dell'Umma sotto un Califfo, autorità sia politica che religiosa; eliminazione degli attuali regimi "apostati" e dei gruppi che non accettano l'interpretazione radicale dell'Islam, propria dello jidaismo; superiorità della sharia, la legge islamica, sulla "legge degli uomini". Entrambe le organizzazioni hanno tendenze universali e reclutano combattenti stranieri. Il maggior numero di questi ultimi proviene da paesi islamici, in prevalenza arabi, ma non mancano neppure gli europei.
Anche la loro origine e le loro priorità strategiche sono differenti. Al Qaeda, "la base", nasce dalla mobilitazione dei mujaiddin, reduci dalla lotta di liberazione contro l'occupazione del socialimperialismo sovietico dell'Afghanistan. Fu creata da Osama Bin Laden come un'organizzazione inizialmente molto centralizzata, appoggiata di fatto dal regime talebano di Kabul. La sua strategia dava e dà ancora priorità all'attacco contro il nemico esterno, cioè l'Occidente, in particolare contro gli USA definiti "il grande Satana". Solo dopo il loro ritiro sarebbe possibile la presa del potere da parte degli jihadisti. Le capacità operative, addestrative e logistiche di Al Qaeda sono state fortemente ridotte dagli attacchi militari americani dopo l'attacco dell'11 settembre, fino all'uccisione illegale di Bin Laden in Pakistan. Di fatto Al Qaeda non esiste più come organizzazione centralizzata. Le capacità operative sono state assorbite da vari gruppi regionali, che lottano per ragioni locali, con l'eccezione di quello della Penisola arabica che dallo Yemen adotta una strategia più globale. Il suo capo, l'egiziano Aymat al Zawahiri non possiede il carisma di Bin Laden e la direzione centrale ha perso la capacità di effettuare attacchi sofisticati e massicci. Gli affiliati di Al Qaeda agiscono in Occidente in piccoli gruppi, costituiti soprattutto su base familiare, difficilmente infiltrabili dai servizi segreti dell'imperialismo, o con singoli.
L'IS nasce invece con il nome di Al Qaeda in Iraq nelle province sunnite dell'Iraq (Anbar, Ninive e Kirkuk) per opporsi all'aggressione americana. Dopo l'11 settembre tra le montagne dell'Afghanistan nasceva l'alleanza tra il giordano Al Zarkawi e il saudita Bin Laden, malgrado le divergenze in termini di visioni ed obiettivi. Al Zarkawi puntava ad estendere l'influenza dell'Islam sunnita partendo dal Medio Oriente, da una base territoriale, Bin Laden aveva obiettivi territoriali meno concreti e una battaglia più idealista e globale: la lotta e l'odio per l'Occidente corrotto. Fu proprio l'odio per l'Occidente però il collante che spinse Al Qaeda nel 2004 a sostenere la lotta in Iraq di Al Zarkawi contro le truppe occidentali. Un sostegno sopravvissuto all'uccisione di Al Zarkawi in un raid aereo statunitense nel 2006, a cui subentrò prima Abu Omar al Qurashi al Baghdadi e poi nel 2010 l'attuale califfo. La sua rinascita fu dovuta soprattutto alla politica settaria dell'allora premier iracheno fantoccio degli USA Nouri Al Maliki, discriminatoria nei riguardi dei sunniti che fino a Saddam avevano dominato il paese. Fu sostenuto dall'appoggio crescente di masse locali e assunse prima il nome di Stato Islamico dell'Iraq (ISI) e quando scoppiò il conflitto in Siria, quello di ISIS (detto anche ISIL, in arabo Daesh), Stato Islamico dell'Iraq e della Siria o del Levante. Il suo leader, Abu Bakr Al Baghdadi inizialmente cooperò con altre formazioni al qaediste che operavano contro il regime di Damasco, in particolare con Jabhat al Nursa (Fronte della vittoria). Dopo le travolgenti vittorie conseguite nel Nord dell'Iraq Al Baghadi il 29 giugno 2014 ha proclamato lo Stato islamico transfrontaliero fra Iraq e Siria, di cui si è autoproclamato Califfo assumendo il nome di Ibrahim. Concentrò conseguentemente la lotta delle sue milizie contro il "nemico vicino" per allargare il proprio territorio. I rapidi successi nelle province sia occidentali sia settentrionali dell'Iraq furono resi possibili dall'appoggio delle milizie sunnite e di molti ex ufficiali di Saddam. L'IS ha sempre avuto una solida base finanziaria. Inizialmente i fondi provennero dai paesi del Golfo preoccupati dalla leadership sciita di Baghdad e dall'alleanza che si stava consolidando tra questa e l'Iran sciita. Successivamente si è accresciuto enormemente con il sequestro dei depositi bancari delle città conquistate in Iraq e in Siria, con la vendita di petrolio e di opere d'arte, con le tasse sui territori conquistati e con i proventi del pagamento dei riscatti.
A differenza di Al Qaeda dunque l'IS possiede un territorio, ha dimostrato eccellenti qualità non solo militari, ma anche amministrative e sofisticate capacità mediatiche. Militarmente dispone di comandanti capaci, la sua forza militare regolare è caratterizzata da estrema flessibilità tattica. E' in grado di impiegare gli armamenti pesanti strappati all'esercito iracheno o siriano in fuga da Mosul e dalle altre città conquistate. Il 17 maggio scorso la conquista della città irachena di Ramadi e il 21 maggio quella siriana di Palmira dopo diversi giorni di combattimento hanno dimostrato tutto ciò.
Al-Raqqa in Siria è di fatto la capitale dello Stato islamico. Le istituzioni, restaurate e ricostruite, stanno fornendo servizi. La diga della capitale continua a fornire acqua ed energia elettrica. La polizia e i soldati combattenti dello Stato islamico provenienti da qualsiasi parte del mondo ricevono alloggi confiscati ai musulmani non sunniti oppure abbandonati. Vengono forniti i servizi di welfare e viene praticato il controllo dei prezzi, ai benestanti vengono imposte tasse personali. Non esistono bollette dell'acqua e della luce fornite gratuitamente, ogni mese una fornitura alimentare completa viene data ai meno abbienti, le visite mediche e i farmaci sono gratuiti.
Lo Stato islamico non riconosce l'Onu, che ha "depredato la Palestina e istituito lo Stato d'Israele", non accetta il Fondo monetario internazionale che ha messo il cappio al collo alle nazioni musulmane con milioni di dollari di debito.
Lo Stato islamico ha abbattuto fisicamente il confine tra Siria e Iraq come definito dall'accordo Sykes-Picot, ufficialmente Accordo sull'Asia Minore, un accordo segreto siglato il 16 maggio 1916 tra i governi del Regno Unito e della Francia che definiva le rispettive sfere d'influenza nel Medioriente in seguito alla sconfitta dell'impero ottomano nella prima guerra mondiale imperialista. Attualmente occupa un territorio grande quanto il Regno Unito. Con le alleanze e le richieste di associazione al califfato lo Stato islamico ha messo piede anche in Africa a partire dalla Libia, dove la città di Derna, conquistata dai jihadisti libici di Ansar Al Sharia nell'aprile del 2014, ha aderito dall'ottobre dello stesso anno allo Stato islamico. Così come hanno fatto le città di Zuara e Sirte.
Etichettati anch'essi come una massa di terroristi e criminali sanguinari, in Africa la giuda dell'antimperialismo islamico è rappresentata da Boko Haram.
Dall'arabo "L'educazione occidentale è peccato", Boko Haram è stata fondata nel 2002 dal religioso Mohammed Yusuf per combattere il regime nigeriano al servizio dell'imperialismo. Con un esercito di 280mila uomini addestrati per la maggior parte dai talebani afghani, dopo aver giurato fedeltà a Al Qaeda ha ricevuto oltre 3 milioni di dollari da Bin Laden, il gruppo ha iniziato la sua lotta nella parte settentrionale del grande Paese africano dove i musulmani sono la maggioranza. Nel 2009 dopo l'uccisione di Yusuf in una operazione militare governativa, alla sua guida è arrivato l'attuale leader, Abubakar Shekau che ha giurato fedeltà allo Stato islamico.
Dalla parte dell'IS stanno anche le "Brigate di sunniti liberi di Baalbeck" in Libano, Ansar Beit Al Maqdis nel Sinai egiziano, Tehrik - e - Khilafat in Pakistan, Afghanistan, India, Turkmenistan e Uzbekistan, Biff (Bergsamaro Islamic Freedom Fighters) nelle Filippine. Mentre esistono una miriade di altri gruppi, in origine alleati di Al Quaeda, che si sono divisi sull'appoggio all'IS.
 

LE CONTRADDIZIONI INTERIMPERIALISTICHE
L'imperialismo non è, non lo è mai stato e mai lo sarà un blocco monolitico. Al suo interno esistono delle forti e ineliminabili contraddizioni dovute ai contrappposti interessi economici, finanziari, commerciali, politici e militari dei vari paesi imperialisti. Quest'ultimi sono uniti nel depredare le ricchezze dei paesi del mondo e nel soggiogare i rispettivi popoli, ma si dividono quando si tratta di spartirsi il bottino. Lo scontro maggiore avviene sempre tra i paesi imperialistici più potenti, soprattutto quando si rompono gli equilibri, a causa dello sviluppo ineguale dei paesi capitalisti, e qualcuno di loro mira ad avere sotto il proprio dominio una parte più grande del mondo. Dopo il prolungato conflitto per l'egemonia mondiale tra USA e socialimperialismo sovietico, abbiamo assistito all'ascesa dell'Unione europea e del Giappone. Oggi invece l'imperialismo presenta più di una potenza in grado di competere nell'arena per il dominio imperialista del mondo. Alle suddette superpotenze si affiancano minacciosamente la Cina e la Russia, mentre altri paesi premono a passi da gigante per contare di più, l'India è uno dei più accreditati.
Beneficiando di un modello di sviluppo capitalistico iniziato dalle “riforme” di Deng Xiaoping, basato sullo sfruttamento selvaggio dei lavoratori e dell'ambiente per alimentare il ciclo produzione-esportazione-capitalizzazione-investimenti di fatto oggi la Cina guidata dal presidente e segretario del Partito revisionista e fascista Xi Jinping, è già la prima economia del mondo, il primo attore del commercio internazionale, il primo detentore dei risparmi, il primo paese come investimenti esteri in entrata ed in uscita, il primo finanziatore dei progetti al di fuori dei confini nazionali, il primo mercato delle materie prime.
Nel 2014 la Cina ha investito 18 miliardi di dollari in Europa, più del doppio dell'anno precedente. Dal 2005 Pechino ha prestato 120 miliardi di dollari all'America Latina (56,3 al Venezuela, 19 all'Argentina, 7,5 all'Ecuador), in Africa 1 miliardo di dollari allo Zimbabwe, in Europa 30 concessi alla Russia e 18 all'Ucraina.
La Cina possiede già da tempo tre grandi banche specializzate nella promozione del commercio e degli investimenti internazionali nonché nell'assistenza allo sviluppo: la China Import-Export Bank, la China Development Bank e la Sinosure. Esse, prese insieme, svolgono un volume di finanziamenti che è superiore a quello delle analoghe strutture dei sette paesi occidentali più ricchi messi insieme. Ora, nell'ambito della messa a punto di una nuova politica imperialista, i responsabili del paese stanno varando cinque nuove istituzioni, tutte in collaborazione con altri Stati. Si tratta della Banca dei Brics, cui partecipano Cina, India, Brasile, Russia e Sud Africa, di una struttura parallela che consisterà in un fondo per la protezione degli stessi dalle oscillazioni dei cambi, di un fondo per i finanziamenti dei progetti della cosiddetta "Nuova Via della Seta", di un ulteriore fondo destinato a finanziare i progetti dei paesi partecipanti all'organizzazione per la cooperazione cosiddetta di Shangai (Sco development fund), della quale fanno parte alcuni paesi come osservatori oltre alla Cina, Russia, India, i paesi dell'Asia Centrale, Pakistan e Iran; infine della Asian international development bank (Aiib), la Banca asiatica per gli investimenti infrastrutturali, che è decollata nonostante l'opposizione degli Usa e che ha già calamitato l'interesse di alleati storici degli americani come il Regno Unito o l'Australia. Un sistema che sfida ormai apertamente l'egemonia statunitense per quanto riguarda il finanziamento delle politiche di "sviluppo del mondo".
Il sistema dell'imperialismo finanziario creato dall'occidente a Bretton Woods nel dopoguerra, che comprende Banca mondiale, FMI e Centro mondiale per il commercio è andato in frantumi. I paesi emergenti che oggi producono il 57% del Pil mondiale (dati 2014) sono fortemente sottorappresentati in tali organizzazioni. I tentativi di riformare il sistema dando più voce agli stessi, non hanno sortito alcun effetto.
Ad aprile di quest'anno la Cina ha firmato col Pakistan un pacchetto di 51 accordi per progetti che apriranno un "corridoio economico" tra i due paesi. Con questi accordi il socialimperialismo cinese rafforza gli scambi economici col Pakistan e contemporaneamente espande il suo spazio commerciale a spese del principale concorrente americano, aprendosi uno sbocco sul Mar Arabico e garantendosi una via più diretta verso Europa, Africa e Medioriente.
Nessuna superpotenza negli ultimi tre anni ha incrementato il budget militare quanto la Cina, impegnata in una corsa al riarmo senza precedenti. Ai primi di marzo il silenzio sulla corsa agli armamenti, mantenuto per un decennio da Hu Jintao, è stato rotto dalla portavoce dell'Assemblea nazionale del popolo, Fu Jing: "La Cina ormai è un grande Paese e ha bisogno di una forza militare capace di proteggere la sua sicurezza nazionale e il suo popolo". L'intelligence straniera è convinta che la spesa militare cinese, rispetto alle cifre ufficiali, ammonti ad oltre il doppio. La Cina nel 2014 è diventato il primo importatore mondiale di armi e il terzo esportatore. In cinque anni l'export bellico di Pechino è cresciuto del 143%. Nel 2014 Pechino ha investito in armi 132 miliardi di dollari, che quest'anno saliranno a 148, con un incremento annuo della spesa bellica del 12,2%. La Russia ha rivelato il 10 maggio che la Cina ha ordinato all'ex Urss il sistema di missili terra aria S-400, stanziando oltre tre miliardi di dollari. Al varo della prima portaerei atomica "Liaoning", acquistata quattro anni fa dall'Ucraina, ne è seguita una seconda, entro dicembre aumenterà di 50 navi la propria flotta costiera, passerà da 66 a 78 sottomarini di profondità, varerà più imbarcazioni e aerei da guerra di ogni altro paese.
Tuttavia negli ultimi tre mesi anche la superpotenza cinese ha constatato come il capitalismo provoca gli stessi effetti ovunque. La bolla speculativa scoppiata a giugno, come negli USA nel 2008, è stata fatta crescere incontrollatamente dalla cricca socialimperialista al governo, per forzare il paese nella corsa alla supremazia mondiale a scapito dei piccoli risparmiatori, milioni e milioni di persone a cui era stato prospettato l'Eldorado investendo tutti i propri risparmi nella Borsa. I ripetuti crolli della Borsa di Shangai in agosto hanno provocato l'ennesimo tsunami finanziario con ripercussioni planetarie. La sopravvalutazione della moneta nazionale, lo yuan, che faceva comodo a tutte le altre economie più forti, americana, europea, giapponese e dei Paesi emergenti, che contavano sull'immenso mercato cinese e la sua capacità di assorbimento di prodotti esteri per tirare la propria ripresa, non poteva durare stante la frenata della crescita del Pil cinese dalle abituali due cifre al 7% previsto ufficialmente per quest'anno.
Così per rilanciare le esportazioni e la competitività la Cina in crisi economica e finanziaria ha svalutato la moneta, una barbarie intrinseca al capitalismo che il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e la storia hanno già ampiamente dimostrato fallimentare. Anche perché tutte le altre superpotenze puntano sulle esportazioni per uscire dalla crisi e questa situazione non potrà portare altro che a moltiplicare le crisi di sovrapproduzione, le bolle speculative provocate dalla enorme massa di capitale finanziario accumulato che si sposta da un paese all'altro a caccia del massimo profitto e le guerre commerciali e valutarie tra le superpotenze imperialiste. Una situazione qualitativamente, anche se non quantitativamente, simile a quella anteriore alla prima guerra mondiale, e che nel tempo, come insegna Lenin, porta inevitabilmente alle guerre militari per stabilire chi tra di esse debba prevalere e chi soccombere.
Dal canto suo anche la Russia di Putin non scherza e accelera: spese militari cresciute dell'8,1% nel 2014, di un 15% nel 2015 se sanzioni e crisi economica non lo limiteranno. "Se volessimo potremo prendere Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia fino al confine tedesco in due settimane" ha affermato lo zar del Cremlino. Più armi, dai micidiali bombardieri Sukhoi 34 che insieme agli enormi vettori atomici Tupolev 95, hanno compiuto negli ultimi tempi oltre 100 incursioni in Europa, dai cieli finnici e svedesi fino al Portogallo.
Intanto ingenti forniture di armi e soldati russi sono giunte a settembre in Siria al fianco delle forze di Assad contro l'IS che avanza.
E' del 13 giugno l'annuncio degli Usa del prossimo invio di 250 tank pesanti M1 Abrams, blindati per trasporto truppe, artiglieria, intelligence elettronica, per affiancare il pre schieramento di 5mila soldati USA nei paesi Baltici, in Polonia, Ungheria, Romania e Bulgaria. Dall'altra parte del mondo nella guerra allo Stato islamico gli americani spendono 7,5 milioni di dollari al giorno.
Le contraddizioni USA-Russia sono esplose sulla questione dell'Ucraina. E' passato più di un anno dall'intervento imperialista realizzato da USA , NATO e UE nell'ex repubblica sovietica, nella loro competizione con la Russia per stabilire quali monopoli controlleranno le risorse energetiche della regione. Un caso lampante e tangibile che dimostra quanto siano reali i pericoli di una terza guerra mondiale. Le costanti violazioni da entrambe le parti del fragile accordo di cessate il fuoco raggiunto a Minsk, così come l'intensificazione delle sanzioni contro la Russia sono indicative di questa situazione. La regione del Donbass è intanto divenuta ostaggio delle contraddizioni interimperialiste. Noi marxisti-leninisti italiani dobbiamo sostenere gli interessi del popolo ucraino, intrappolato in logiche di divisione nazionalista, sulla base di particolarismi etnici, linguistici e religiosi e appoggiare l'indipendenza del paese. Dobbiamo denunciare tanto l'imperialismo russo che si è annesso la Crimea e reclamare che stia alla larga dalle repubbliche di Donesk e del Donbass che devono avere la loro autonomia nell'ambito della Federazione ucraina, quanto il governo fascista di Kiev, sponsorizzato dall'Unione europea e dagli USA, che ha equiparato il comunismo al nazismo e messo fuori legge i 3 Partiti che nominalmente si richiamano al comunismo.
Di fatto Cina, Russia e USA stanno ingaggiando una partita per il dominio del mondo. La Cina vuole essere considerata un protagonista politico, non più solo gigante economico e la forza trainante in Asia. La Russia di Putin dopo le umiliazioni degli anni gorbacioviani e eltsiniani, vuole riconquistare il rango di superpotenza, soprattutto nel versante occidentale europeo, nel nome del ritrovato panrussismo nazionalista. E gli USA di Obama devastati dai disastri morali, strategici e economici dell'era Bush, vogliono restare rilevanti ovunque e tornare ad essere il perno attorno al quale, dopo il collasso del socialimperialismo sovietico, il resto del mondo ruotava.
Attualmente l'iniziativa politica e militare è nelle mani della Russia per quanto riguarda la Siria e il Medioriente. Ciò potrebbe inasprire lo scontro con gli USA per l'egemonia in quel paese e in quella nevralgica regione arrivando fino al conflitto armato, provocando inevitabilmente una nuova guerra mondiale.
Noi non appoggiamo né l'una né l'altra superpotenza negli scontri in atto, in particolare in Siria e in Ucraina, che servono esclusivamente gli interessi della classe dominante borghese e dell'economia capitalistica dei rispettivi paesi, senza apportare un minimo beneficio ai loro popoli e ai popoli che vorrebbero dominare. Per questo riteniamo che sia un gravissimo errore da parte di certe forze politiche e movimenti italiani che si definiscono comunisti o di sinistra l'appoggio diretto o indiretto all'imperialismo russo contro l'imperialismo americano.
Dal canto suo l'Unione europea imperialista non ha ancora digerito la più pesante crisi economica, produttiva e finanziaria dal 1929, e si barcamena per ritagliarsi i suoi spazi nello scacchiere mondiale. Lo strangolamento della Grecia, favorito dalla capitolazione di Tsripas, ha messo a nudo tutta la sua politica antidemocratica e antipopolare, dettata da quei monopoli che l'hanno fortemente voluta. Attraverso l'euro, la BCE e i vincoli di Maastricht l'Unione europea fa pagare il costo della crisi e della concorrenza mondiale con gli USA e i Brics innanzitutto ai propri lavoratori e masse popolari, ma anche ai popoli dei paesi terzi in cui si è ingerita pesantemente negli ultimi anni. La riduzione della spesa pubblica, per rientrare nel il famigerato rapporto deficit/Pil imposto da Bruxelles, si è tradotta negli ultimi anni in tagli drastici ai servizi essenziali, quali pensioni, istruzione, sanità, trasporto pubblico, ricerca scientifica, infrastrutture necessarie allo sviluppo, assistenza e previdenza, mentre non sono state minimamente toccate le voci di spesa riguardanti, a vario titolo, dallo Stato alle grandi imprese e alle banche private, o le missioni di guerra imperialista in ogni parte del mondo, l'acquisto di nuove armi, o le “grandi opere” inutili.
L'interesse dell'imperialismo mondiale si sta concentrando oggi sul continente asiatico, che ospita due dei più grandi paesi popolati al mondo, Cina e India. 1 miliardo e 300mila i cinesi, 1 miliardo e 100mila gli indiani. Sommando anche i paesi asiatici destinati a diventarne satelliti, Giappone compreso, con 3,5 miliardi di persone il sud est asiatico conta 5 volte la popolazione del continente europeo, Russia compresa, 8 volte l'Unione europea, 13 volte gli abitanti degli Stati Uniti.
Delineando le priorità dell'imperialismo americano Obama ha dichiarato nel 2011 durante la sua visita in Australia: "Dopo un decennio in cui abbiamo combattuto due guerre che ci sono costate un caro prezzo, di sangue e economico, gli Stati Uniti stanno volgendo la loro attenzione verso il vasto potenziale della regione Asia-Pacifico. Come regione con più rapida crescita al mondo è fondamentale per raggiungere la mia massima priorità. Con la maggior parte della potenza nucleare del mondo e metà della popolazione umana, sarà l'Asia a definire se il secolo a venire sarà segnato da conflitti o dalla cooperazione, da inutili sofferenze o dal progresso umano. Ho quindi fatto una scelta deliberata e strategica, come nazione del Pacifico, gli Stati Uniti avranno un ruolo più ampio e a lungo termine nel plasmare questa regione e il suo futuro. Come programmiamo e preventiviamo per il futuro, destineremo le risorse necessarie per mantenere la nostra forte presenza militare in questa regione. I nostri interessi duraturi richiedono la nostra presenza duratura". Di fatto gli USA hanno deciso di riposizionare la propria marina militare in modo che il 60% delle loro navi da guerra verrà assegnato alla regione Asia-Pacifico entro il 2020.
In questo scenario si inquadra la disputa tra USA e Cina per il controllo degli arcipelaghi del Pacifico, le Spratly e le Paracel, una serie di isolotti del Mar Cinese Meridionale, nelle acque davanti al Vietnam, non abitate ma sempre più popolate da insediamenti militari costruiti dai paesi che si affacciano su quel mare e che le reclamano come proprie, dalla Cina al Vietnam, dalle Filippine alla Malesia. La loro importanza è data dal fatto che si trovano in un mare ricco di risorse energetiche e soprattutto lungo le vitali rotte marittime che portano merci e petrolio per tutto il Sudest asiatico. Lo scorso 30 maggio il ministro della Difesa americano Ash Carter ha intimato a Pechino che gli USA avrebbero inviato una flotta navale di superficie e dei sottomarini davanti alle installazioni cinesi in costruzione, una esibizione di muscoli per ribadire, sue parole, che “gli Stati Uniti intendono restare la principale potenza militare nell'Asia Orientale per decenni a venire”.
La crescente integrazione economica dell'Asia meridionale e dell'Asia orientale ha rafforzato l'importanza strategica degli Oceani Indiano e Pacifico come corridoio di scambio permanente per il commercio globale e l'energia. Gli USA intendono sviluppare i loro legami strategici con l'India in questo contesto. Questo spiega l'accordo nucleare indo-statunitense, gli accordi sulla difesa e in altri settori come l'agricoltura e l'istruzione. Altresì l'India può rivestire il ruolo di alleato decisivo nel contenimento della Cina. L'intera economia mondiale ha scoperto nell'elefante indiano una nuova locomotiva. Un'inchiesta del "New York Times" prevede che il 2016 sarà l'anno di un sorpasso storico: la velocità di crescita dell'economia indiana sarà superiore a quella cinese.
USA e Cina sono ai ferri corti anche sul piano commerciale. Per rompere i rapporti economici della Cina con i paesi di quest'area strategica e aprire i mercati di questi paesi ai beni e servizi americani, gli Stati Uniti si stanno muovendo verso l'obiettivo della Trans-Pacic Partnership (TPP), un accordo con 11 paesi del Pacifico per creare la più grande zona di libero scambio al mondo. Con il TTP gli USA hanno segnato un importante punto a loro favore contro la Cina.
Ed ancora USA e Unione Europea hanno risposto a Cina e Russia con il famigerato Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti per dominare il mondo, il TTIP, in sostanza un accordo di libero commercio tra le due aree, che cancelli ogni ostacolo ai grandi monopoli americani e europei di commerciare liberamente e battere l'agguerrita concorrenza delle altre potenze imperialiste per la leadership planetaria, una "Nato economica" come l'ha definito Hilary Clinton. Il TTIP è un mandato per il saccheggio mondiale da parte delle multinazionali, l'aggiramento delle procedure democratiche e l'erosione di tutti i diritti dei popoli e della sovranità nazionale degli Stati, un programma a favore delle privatizzazioni selvagge che sancisce i privilegi delle più potenti multinazionali del mondo a scapito dei popoli. Il PMLI e "Il Bolscevico" hanno aderito a "Stop TTIP Italia". E' un nostro dovere antimperialista partecipare attivamente al fronte unito mondiale per denunciare e combattere questo nuovo mostro della legislazione imperialista, che si sta definendo nel silenzio e nella segretezza fatti calare da USA e UE sulle spalle e all'insaputa dei popoli.
Con il TTIP insomma gli USA controlleranno da vicino i pruriti interventisti dell'UE mentre scavano un solco tra l'Europa e la Russia per evitare un progressivo avvicinamento economico tra i due. Con la crisi ucraina e le sanzioni alla Russia l'UE non può che guardare e abbracciare totalmente il TTIP, che diventa una parte importante della più vasta strategia americana per indebolire l'Europa occidentale e dividere il continente europeo emarginando la Russia, dall'altro lato è evidente che questo Trattato ha una smaccata funzione anticinese, che dall'altra parte del globo sta chiudendo una serie di trattati e accordi che escludono di fatto l'imperialismo americano da vaste aree del pianeta.
Intanto il Giappone, uscito con le gambe rotte dalle ultime crisi economiche e finanziarie, ha revisionato la costituzione per garantirsi un esercito e dispositivi militari in grado di supportare i suoi monopoli nel mondo, cancellandone di fatto il divieto di azioni militari all'estero. Ad inizio di quest'anno il governo di destra di Shinzo Abe ha varato un aumento record per il bilancio militare, destinando all'esercito 36 miliardi di euro, necessario ad affiancare l'alleato USA nel Pacifico, contro il socialimperialismo cinese.
Anche in Medioriente, come in parte abbiamo già visto, scenari e rapporti di forza stanno mutando. L'Iran del presidente Hassan Rohani, capitolato all'imperialismo mondiale sul nucleare con l'accordo siglato a Vienna il 14 luglio, punta all'egemonia nella Regione contro lo Stato islamico. Con la progressiva caduta delle sanzioni internazionali, che hanno penalizzato per anni la borghesia iraniana, l'Iran potrà riavere a disposizione le centinaia di miliardi di dollari congelati all'estero e potrà riprendere la piena cooperazione economica con tutti i paesi. Ma soprattutto potrà sedere al tavolo quantomeno delle potenze locali, con le sue posizioni e puntare all'egemonia sulla base della sua forza economica. Non a caso l'accordo sul nucleare è stato voluto e ideato soprattutto dagli USA di Obama che in questo momento ha bisogno di un alleato come Teheran per uscire dall'impasse in cui si trova la politica imperialista americana nella Regione una volta emersa la forza dello Stato islamico.
Con la Turchia che aspetta quantomeno che cada Assad in Siria per far valere le ambizioni egemoniche locali dell'imperialismo turco e per dispiegare tutta la sua forza militare contro l'IS, i bombardamenti del 24 luglio scorso contro postazioni dell'IS in Siria e la concessione agli USA della strategica base militare di Incirlik sono solo l'antipasto, mentre condanniamo la strage di Stato di ieri ad Ankara contro il popolo curdo l'Arabia Saudita che non ha truppe di terra da schierare e finanzia gruppi della resistenza siriani in attesa che cada l'asse sciita Teheran-Damasco-Hezbollah e pensa a fronteggiare l'espansionismo dell'Iran in Yemen, con il governo fantoccio iracheno debolissimo, chi può dare un contributo importante nella lotta all'IS è l'Iran che diventa un nuovo decisivo alleato dell'imperialismo americano nella regione, affiancando e in concorrenza con gli storici alleati Israele e Arabia Saudita.
Alla luce di tutto ciò i pericoli di guerra imperialista sono oggi i più gravi dalla fine degli anni '80. Altro che mondo di pace! Finché esisterà l'imperialismo la pace nel mondo sarà sempre in pericolo. La rivalità tra le superpotenze conduce inevitabilmente alla guerra imperialista, è stato così nel passato, non può che essere così nel futuro. Nessun paese imperialista può sottrarsi alla legge economica fondamentale del capitalismo che è quella della ricerca del massimo profitto, in patria e all'estero. E' questa la legge che spinge inesorabilmente l'imperialismo al dominio economico mondiale e quindi alla guerra imperialista. "La supremazia mondiale - rilevava Lenin - è in sintesi il contenuto della politica imperialista, che viene continuata dalla guerra imperialista". Per Mao "la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. Quando la politica raggiunge un certo stadio del suo sviluppo che non può essere superato con altri mezzi abituali, scoppia la guerra per spazzare via gli ostacoli che impediscono il cammino".

UN MONDO DI FAME, POVERTA', MIGRANTI E PROFUGHI GENERATO DALL'IMPERIALISMO
L'imperialismo è presente dappertutto con i suoi capitali, le sue banche, le sue multinazionali, le sue fabbriche, le sue merci, la sua tecnologia, la sua cultura borghese e reazionaria, le sue armate. Il suo mercato non ha più confini. Il risultato è che tutt'oggi oltre 963 milioni di persone nel mondo vivono in condizioni di povertà. Ogni 5 secondi un bambino muore di fame. Sono oltre 700 milioni i lavoratori che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno e circa 1 miliardo e 200 milioni con meno di due dollari al giorno. Senza contratto di lavoro né tutele sociali, nel 2020, stando così le cose, due terzi della popolazione attiva mondiale si troverà a lavorare in queste condizioni.
Un miliardo e trecento milioni è il numero di persone che non ha accesso a fonti d'acqua potabile. L'85% dell'acqua disponibile sul pianeta è usata dal 12% della popolazione mondiale. 790 milioni di persone dei paesi poveri soffrono di sottoalimentazione cronica, di esse i due terzi risiedono in Asia e nell'area del Pacifico. Ogni anno 30 milioni di persone muoiono di fame, eppure le derrate alimentari crescono ad un tasso superiore a quello della popolazione e non sono mai state così abbondanti come oggi. Un quinto dei bambini del mondo non assume una quantità sufficiente di calorie o di proteine. Due miliardi di persone soffrono di anemia. Ancora due miliardi di persone non hanno accesso all'elettricità. Quasi un miliardo di persone non sa leggere, né scrivere il proprio nome. La spesa annuale per la lotta all'AIDS, una malattia che miete ancora 3 milioni di vite all'anno, equivale alla spesa di 3 giorni in armamenti. Ogni anno il mondo spende 1 trilione di dollari in difesa, circa 325 miliardi in agricoltura e solo 60 miliardi in aiuti allo sviluppo. Per ogni dollaro speso in cooperazione allo sviluppo, 10 dollari sono spesi per gli armamenti.
Per ogni dollaro di sussidio ricevuto i paesi in via di sviluppo spendono 13 dollari per ripagare il debito. Sette milioni di bambini muoiono ogni anno a causa della crisi del debito pubblico del loro paese.
Secondo le più recenti stime dell'Onu il soddisfacimento universale dei bisogni sanitari e nutrizionali costerebbe 13 miliardi di dollari, quanto all'incirca viene speso ogni anno dai ricchi negli Stati Uniti e nell'Unione europea in profumi. Per assicurare a tutta la popolazione mondiale l'accesso al soddisfacimento dei bisogni di base, cibo, acqua potabile, istruzione e assistenza sanitaria, basterebbe prelevare meno del 4% del patrimonio dei 225 individui più ricchi del mondo. Le tre persone più ricche del mondo hanno una ricchezza complessiva superiore al Prodotto interno lordo dei 48 paesi più poveri. Il reddito complessivo dei 50 milioni di persone più ricche del mondo (solo l'1% della popolazione mondiale) è equivalente a quello dei 2 miliardi e 700 milioni di persone più povere (il 57% della popolazione mondiale). Tra il 2013 e il 2014 le 85 persone più ricche del mondo, che hanno la stessa ricchezza della metà della popolazione più povera del mondo, hanno collettivamente aumentato la loro ricchezza di 668 milioni di dollari al giorno.
La fame e la miseria hanno causato una emigrazione biblica, che si riversa nei paesi capitalisti e imperialisti dove gli immigrati trovano una vita da bestie. Questa situazione è assolutamente intollerabile. Noi chiediamo ai governi di spalancare le porte agli immigrati e ai profughi e di dire basta al traffico di vite umane. Frontiere aperte per i migranti. Uguali diritti per indigeni e migranti. Chiudere i luoghi di concentramento e detenzione dei migranti. Asilo politico per tutti i profughi.
La politica dei respingimenti e non dell'accoglienza resta invece il cardine dell'azione dell'UE. Il governo fascista ungherese di Viktor Orban ha addirittura blindato il paese costruendo muri di filo spinato lungo il confine con Serbia e Romania ed usato il manganello contro i profughi.
Gli eserciti dei paesi imperialisti devono essere immediatamente ritirati dai paesi dove non solo hanno peggiorato le condizioni economiche e sociali, aumentato le sofferenze della popolazione civile, ma hanno fatto lievitare in maniera impressionante il numero dei rifugiati e di migranti che tentano disperatamente di approdare sull'altra sponda del Mediterraneo e trovando spesso una terribile morte.
Alla 2ª Sessione plenaria del 5° Comitato centrale del PMLI, tenutasi a Firenze il 7 febbraio 2010, il compagno Scuderi disse che per il PMLI non esistono migranti clandestini e regolari, ma una sola categoria quella dei migranti. Ed aggiunse: "Per noi il razzismo è insopportabile e inammissibile alla pari del fascismo e del nazismo". La nostra posizione su questo tema è quella classica sempre sostenuta e insegnata dai grandi maestri del proletariato internazionale, Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao, e che si fonda su tre chiari principi, che non si possono eludere e a cui bisogna rimanere saldamente ancorati, se non si vuole scivolare anche senza rendersene conto nell'ideologia borghese, con tutti i suoi corollari del nazionalismo, del fascismo e del razzismo: l'internazionalismo proletario deve essere alla base dei rapporti tra i popoli dei paesi imperialistici e quelli dei paesi sfruttati e oppressi, in particolare i primi devono rifiutare di farsi strumento di questo sfruttamento e oppressione nelle mani dei propri governi neofascisti, razzisti, xenofobi, interventisti e imperialisti.
La solidarietà di classe deve essere alla base dei rapporti tra lavoratori nativi e lavoratori immigrati, che da un punto di vista non miope ed individualista ma lungimirante e collettivo hanno gli stessi interessi di fondo e lo stesso nemico di classe contro cui unire le forze per migliorare e progredire tutti insieme.
La responsabilità delle migrazioni di massa è dell'imperialismo, compreso quello italiano, che sfrutta, affama e fomenta guerre nei paesi poveri per depredarne le ricchezze e tenerli sottomessi.
E' il padronato che approfitta dei migranti, facilmente ricattabili e schiavizzabili, come serbatoio di manodopera a basso prezzo, e fomentando anche la rivalità e l'odio razziale con gli altri lavoratori per dividere le masse e dominarle meglio. La stessa sorte del resto già vissuta dai nostri stessi immigrati nelle Americhe, in Svizzera, Germania, Belgio, Francia. E' quello che fa la Lega neofascista di Salvini, seminando razzismo e xenofobia tra i lavoratori e la popolazione che riesce a influenzare approfittando della desertificazione ideologica, culturale e politica lasciata dai partiti della "sinistra" borghese nella loro inarrestabile deriva a destra. Ma proprio per questo occorre rifiutare questa logica perversa e puntare invece sulla solidarietà di classe con i lavoratori migranti, sulla loro sindacalizzazione e conquista all'unità di lotta con gli altri lavoratori, in modo da non lasciarli soli come carne da macello nelle mani degli schiavisti, dei razzisti e della criminalità organizzata.
Un mondo di fame e povertà dunque, che acuisce le differenze tra ricchi e poveri in maniera inesorabile ad ogni crisi ciclica del capitalismo e dell'imperialismo, come quella ancora in atto in gran parte del mondo. Ormai dovrebbe essere chiaro anche ai sassi che esse potranno essere eliminate solo nel socialismo e con la distruzione del capitalismo e dell'imperialismo.

LA LOTTA ANTIMPERIALISTA DEL PMLI
Il contributo più grande, più concreto e più efficace che noi marxisti-leninisti italiani possiamo dare alla lotta contro l'imperialismo è quello di combattere con tutte le nostre forze contro l'imperialismo italiano e il governo di Renzi, questo nuovo duce erede di Mussolini, Craxi e Berlusconi, che ne regge le sorti, fino alla loro caduta e distruzione.
Sin dal suo insediamento abbiamo smascherato l'attivismo imperialista in politica estera, orientato ad assicurarsi, neppure in modo sottinteso, un posto al sole ad ogni costo nello scenario internazionale. Ecco alcuni di questi atti. L'appoggio con voto al democristiano Juncker alla guida della Commissione UE e l'austerità "flessibile"di Bruxelles; l'operazione "Mare sicuro" con il dispiegamento di navi e droni per proteggere le vie del gas e del petrolio davanti alle coste del Nord Africa; dall'incontro con Putin per ribadire l'unità di lotta italo-russo contro lo Stato islamico; le cariche della polizia contro gli immigrati rifugiati nel nostro Paese, ultime quelle dello sgombero di Ventimiglia; l'esaltazione e l'ispirazione al capofila degli imperialisti americani nell'incontro con Obama; il pompaggio dell'UE imperialista nel suo semestre di presidenza; l'invio di 4 Tornado in Kuwait per la guerra allo Stato islamico; la riconferma della presenza di forze armate italiane in tanti paesi esteri, in particolare in Iraq e Afghanistan, dove addestrano i soldati per combattere rispettivamente l'IS e i talebani; le operazioni di vigilantes sui cieli dei confini orientali dell'UE; la reiterata richiesta a guidare un'operazione militare internazionale contro la Libia per "stroncare" l'immigrazione e le basi dello Stato islamico; il ruolo di prima fila nello strangolamento del popolo greco da parte dell'UE.
Significativamente sul primo numero della risorta "Unità" del PD di Renzi del 30 giugno scorso, il ministro degli Esteri Gentiloni ha tracciato il "nuovo ordine Mediterraneo" imperialista, con al primo posto la lotta allo Stato islamico. In sostanza per l'Italia il Mediterraneo è il "nostro spazio vitale" dove sono in gioco gli interessi economici, energetici e di sicurezza dell'Italia. In questo quadro vanno collocati gli incontri con il golpista egiziano Al Sisi e col duce nazista sionista Netanyahu. Se da un lato Renzi ha legato e schierato ancor più strettamente e senza condizioni il nostro Paese a fianco di Egitto e Israele per combattere lo Stato islamico e contro le aspirazioni alla libertà del popolo palestinese e dei popoli arabi e islamici della Regione, dall'altro ha reclamato a chiare lettere il ruolo imperialista dell'Italia. Se l'imperialismo USA cerca l'alleanza con Teheran l'Italia del neoduce Renzi vuole percorrere una strada propria.
L'attentato dell'11 luglio al Consolato italiano al Cairo è stato solo un avvertimento lanciato al governo nostrano. Al contrario di quello che sostengono i guerrafondai Renzi e Gentiloni, per evitare che altri attacchi possano provocare nuovi lutti e distruzioni ai danni del popolo italiano, è necessario che l'Italia si ritiri senza indugi dalla guerra allo Stato islamico. Non possiamo accettare che i Tornado italiani portino altre morte e distruzione in Iraq come paventato il 7 ottobre dal ministro della Difesa Pinotti. Il governo del neoduce Renzi non avrà mai l'appoggio dei marxisti-leninisti in caso di coinvolgimento diretto dell'Italia.
Battersi contro l'imperialismo italiano vuol dire anche lottare risolutamente contro tutte le alleanze imperialiste a cui partecipa il nostro Paese, partendo dalla richiesta di uscita dell'Italia fino allo scioglimento dell'alleanze stesse. Sottovalutare o ignorare questa battaglia, accettare anche una sola delle organizzazioni imperialiste o fare la "sinistra" di esse significa fare il gioco dell'imperialismo e tradire le aspirazioni e le lotte dei popoli e delle nazioni alla libertà, all'emancipazione e al benessere.
Per questo il PMLI chiede di sciogliere l'Unione europea, un'organizzazione monopolistica e imperialistica, una superpotenza mondiale. Essa non è affatto una conquista dei popoli del vecchio continente, come amano presentarla la borghesia di destra e di "sinistra". Tutto è stato compiuto e si compirà al di sopra delle loro teste dai circoli borghesi dominanti europei conformemente ai loro interessi di classe e alle loro aspirazioni egemoniche, regionali e mondiali. Anzi quelle pochissime volte che i popoli sono stati chiamati al referendum su specifici punti, hanno sonoramente bocciato l'Europa imperialista, come dimostrano gli ultimi quattro referendum popolari (Francia e Olanda che dicono no alla Costituzione Ue nel 2005, l'Irlanda che dice no al Trattato di Lisbona nel 2008, fino a quello greco del giugno scorso).
Il caso della Grecia e il tradimento del suo premier Tsipras che ha accettato il diktat e il programma di lacrime e sangue di Bruxelles, svendendo la grande vittoria del referendum del 5 luglio scorso, hanno dimostrato ancora una volta che da un lato bisogna distruggerla, cominciando a tirarne fuori l'Italia, dall'altro che è andato in fumo il modello governativo e dell'”Altra Europa” di Syriza sostenuto dagli imbroglioni politici di “sinistra” italiani ed europei.
Il PMLI chiede di sciogliere la Nato, quest'alleanza militare dell'imperialismo occidentale nata col collante dell'anticomunismo ed oggi operante nella cosiddetta "lotta al terrorismo" su scala planetaria. Il suo "nuovo concetto strategico" ha decretato che può intervenire dentro e fuori i suoi confini dove e tutte le volte che ritenga minacciate la stabilità e la sicurezza degli alleati, in tutti i campi e settori, in maniera unilaterale e insindacabile. In questo scenario non c'è una ragione una che giustifichi la sua esistenza. Nell'immediato occorre battersi affinché l'Italia esca da questa alleanza imperialista, iniziando dallo smantellamento delle sue basi, logistiche e militari, presenti nel nostro Paese, che già più di una volta sono servite da trampolino per aggressioni militari a popoli e Stati sovrani.
Siamo nettamente contrari alla esercitazione Nato, la più grande dalla caduta del muro di Berlino, denominata Trident Juncture 2015, in corso in Italia, Spagna e Portogallo, e condanniamo il governo Renzi per averle messo a disposizione le basi e i porti della Sardegna. Al contempo diamo il nostro appoggio e la nostra adesione alla manifestazione che si svolgerà a Napoli il 24 ottobre contro tale esercitazione militare foriera di guerre imperialiste.
Il PMLI chiede di sciogliere l'Onu, che non risponde più all'esigenza della sua costituzione. L'imperialismo ha riscritto il diritto internazionale a suo uso e consumo, partendo dalla cancellazione dell'impedimento all'ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano, sancito dall'articolo 2 della Carta istitutiva dell'Onu e la sua sostituzione con la teoria del "diritto-dovere di ingerenza umanitaria" per giustificare le aggressioni imperialiste nel mondo. E' giunto il momento di farla finita con questa organizzazione imperialista campione della politica dei due pesi e delle due misure. Occorre una nuova Organizzazione mondiale, senza membri permanenti e privilegiati, senza diritti di veto, con uguali diritti e doveri, fondata sui principi del rispetto reciproco, della sovranità e dell'integrità territoriali, di non aggressione, di non ingerenza nei rispettivi affari interni, di uguaglianza e di reciproco vantaggio.
L'imperialismo in ultima analisi non è così potente e invincibile come appare. Può essere sconfitto anche da un piccolo popolo purché questo sia unito, determinato, deciso a impugnare le armi e a proseguire la lotta fino alla vittoria. Tanti sono i fatti storici che lo comprovano, come la strepitosa vittoria di questi giorni dei talebani che hanno conquistato Kunduz, una delle più importanti città dell'Afghanistan, nonostante il contrasto armato delle forze Nato e USA e i bombardamenti aerei di quest'ultimi, che nella notte tra il 2 e 3 ottobre si sono macchiati dell'ennesimo crimine di guerra, bombardando un ospedale di Medici senza frontiere e provocando oltre venti morti, tra cui tre bambini.
Seguendo questi esempi della resistenza dei popoli all'imperialismo, il nostro popolo, che ha una grande esperienza di lotta armata antinazista e antifascista, qualora fosse coinvolto da Renzi o da un suo successore in una guerra mondiale deve infuocare le piazze fino a impugnare con forza le armi per impedirlo.
ABBASSO L'IMPERIALISMO E LA GUERRA IMPERIALISTA!
VIVA LA GUERRA DI LIBERAZIONE DEI POPOLI E DELLE NAZIONI OPPRESSI! APPOGGIAMO I MOVIMENTI ISLAMICI ANTIMPERIALISTI!
VIVA L'INTERNAZIONALISMO PROLETARIO!
VIVA LA POLITICA ANTIMPERIALISTA DEL PMLI!
CACCIAMO IL GOVERNO INTERVENTISTA E IMPERIALISTA DEL NUOVO DUCE RENZI!
COI MAESTRI E IL PMLI VINCEREMO!

14 ottobre 2015