Votato all'unanimità, con 395 sì, l'astensione di Sel-SI e solo 5 contrari, l'emendamento che dà al premier il potere di utilizzare le forze speciali inviate all'estero con le stesse immunità dei servizi segreti
Il governo Renzi aumenta finanziamenti e truppe delle missioni militari all'estero
Approvati dalla Camera 301 milioni di euro per l'ultimo trimestre, che portano a quasi un miliardo la spesa nel 2015. Di cui 200 in Iraq, 185 in Afghanistan e 147 per lo schieramento nel Mediterraneo. Il contingente operante in Iraq contro lo Stato islamico aumenterà da 525 a 750 militari, quello operante in Afghanistan contro talebani e Is salirà da 630 a 834 unità. Solo 38 milioni per la cooperazione internazionale
Una conferma che l'Italia è in guerra, anche se Renzi lo nega

Il 19 novembre, a tambur battente, ovvero in pieno clima consociativo da stato di guerra, la Camera ha convertito in legge con 319 sì, 103 no e 13 astensioni, il decreto di rifinanziamento delle missioni militari all'estero per l'ultimo trimestre 2015, varato lo scorso ottobre dal Consiglio dei ministri. Si tratta di uno stanziamento di 301 milioni di euro che si vanno a sommare ai 695 già spesi per i primi 9 mesi di quest'anno, portando a quasi un miliardo di euro la spesa complessiva per le missioni di guerra nel 2015.
Rispetto all'andamento previsto dal precedente decreto di finanziamento, perciò, lo stanziamento per l'ultimo trimestre ha avuto un'impennata di ben il 30 % rispetto ai 9 mesi precedenti, dato che se la spesa fosse stata proporzionale avrebbe dovuto essere di 231 milioni (695 milioni divisi per 3 trimestri = 231 milioni a trimestre), mentre è stata portata a 301 milioni di euro, con un aumento appunto del 30%. Aumento che è andato infatti a coprire un crescente impegno bellico deciso dal governo nei tre teatri di guerra in cui l'Italia imperialista è maggiormente impegnata.
Si tratta dell'Afghanistan, con la recente decisione di Renzi di aderire all'appello di Obama per non ritirare le truppe della missione Nato “Resolute support”, anzi aumentando gli effettivi da 630 a 834 uomini, con una spesa di 58,617 milioni di euro (+39%), che si aggiungono ai 126,406 già spesi nei primi 9 mesi dell'anno, per un totale di 185 milioni di euro. Seguito dalla più recente missione di guerra in Iraq contro lo Stato islamico (la cosiddetta coalizione anti Daesh, in cui per adesso i militari italiani svolgono funzioni di addestramento di truppe locali anti Is), con una spesa di 64,987 milioni, corrispondente ad un aumento di ben il 44,4%, che aggiunti ai 135 milioni degli altri tre trimestri fanno 200 milioni in tutto il 2015. E con un aumento di truppe dagli attuali 525 a 750 effettivi, quasi un raddoppio.
E c'è poi l'impegno nella recentissima missione aeronavale europea a guida italiana Eunavfor Med nel sud del Mediterraneo e davanti alle coste libiche, che sommato a quello per il rafforzamento del dispositivo aeronavale nel Mediterraneo centrale, ha avuto uno stanziamento complessivo di quasi 58 milioni, che aggiunti agli oltre 66 già spesi fanno altri 124 milioni di euro. Insieme questi tre soli teatri di guerra assorbono circa la metà delle spese di tutte le missioni di guerra (509 milioni) e quasi la metà del personale militare: 2.615 uomini su un totale di 5.434, di cui la metà, circa 2.700, sono impegnati all'estero. Una forza militare seconda come consistenza in Europa solo a quella francese, che conta 3.300 uomini, mentre ci seguono ben distaccati la Germania con 1.700 uomini e il Regno unito con 395.
 
Una legge per condurre la guerra all'Is
Ciò non toglie che anche quasi tutte le altre missioni di guerra in teatri “meno caldi” siano state ampiamente riforaggiate, e quasi sempre con aumenti consistenti, come per esempio la missione nei Balcani (25,602 milioni pari a +30%), quella Unifil nel sud del Libano (42,820 milioni pari a +7,5%), la missione europea Atalanta contro la pirateria, quella in Somalia-Corno d'Africa-Gibuti, e così via. Ma anche da questa legge di rifinanziamento e da come questo è stato ripartito tra le varie missioni appare chiaro che le mire imperialiste del governo del nuovo duce Renzi e i relativi sforzi interventisti si stanno concentrando sui tre teatri principali suddetti, la Libia, l'Iraq e l'Afghanistan, e su un nemico principale presente in tutte e tre queste regioni, lo Stato islamico; oltre naturalmente ai talebani contro cui l'Italia combatte fin dall'inizio dell'invasione dell'Afghanistan.
E' questa la conferma più evidente che l'Italia è in guerra, anche se Renzi lo nega per tranquillizzare le masse, sapendo che esse sono in maggioranza nettamente contrarie al coinvolgimento in una guerra, e per non suscitare troppo allarme di fronte all'escalation interventista e bellicista che sta facendo fare un passo alla volta alla sua politica estera e militare, ma anche interna. Lo dimostra, a questo proposito, l'inserimento all'ultimo momento nel decreto missioni, e l'approvazione in fretta e furia a stragrande maggioranza, di un emendamento che conferisce al premier il potere di impiegare i corpi militari speciali per operazioni all'estero, protetti da speciali immunità riservate finora solo agli operatori dei servizi segreti.
Esso infatti trasferisce dal ministero della Difesa direttamente nelle mani del presidente del Consiglio, acquisito il parere (puramente consultivo) del Comitato parlamentare per la sicurezza (Copasir), di emanare “disposizioni per l'adozione di misure di intelligence di contrasto, in situazioni di crisi o emergenza all'estero che coinvolgano aspetti della sicurezza nazionale o per la protezione di cittadini italiani all'estero, con la cooperazione di assetti della difesa”.
In sostanza vuol dire che il premier potrà disporre per le operazioni speciali all'estero di una catena di comando affidata ai servizi segreti del Dis (cioè a se stesso), che a loro volta potranno ordinare, saltando il ministero della Difesa, operazioni di corpi speciali come i paracadutisti del Col Moschin, gli incursori del Comsubin e i Gis dei carabinieri. I suddetti corpi speciali, e tutto il personale coinvolto nelle operazioni, godranno inoltre delle speciali immunità concesse ai servizi segreti, comprese quelle di compiere azioni “previste dalla legge come reato, legittimamente autorizzate di volta in volta”. Solo dopo 24 mesi il premier ha l'obbligo di informare il Copasir delle azioni segrete che ha ordinato in base ai nuovi poteri.
 
Il “senso di responsabilità” di M5S e SEL-SI
Questo emendamento, soprannominato “emendamento Parigi” perché approvato approfittando del clima favorevole a misure “eccezionali” instaurato in Italia come in tutta Europa dopo gli attentati di Parigi, era stato proposto e fatto approvare dal presidente della commissione Difesa Nicola Latorre, l'ex esponente dei “D'Alema Boys” portati a Palazzo Chigi dal rinnegato D'Alema al tempo del suo governo e ora passati quasi tutti al servizio di Renzi. Faceva parte della nuova legge quadro sulle missioni internazionali ancora in discussione in parlamento, ma vista l'occasione favorevole del clima da stato di guerra, Latorre, su ordine evidentemente di Renzi, ne ha proposto lo stralcio per un'approvazione rapida inserendolo nel decreto missioni.
E la sua approvazione è stata fulminea e a stragrande maggioranza, a testimoniare del clima di “unità nazionale” contro il “terrorismo islamico” che regna tra le forze politiche parlamenari, con il Movimento 5 Stelle, inizialmente orientato per il no, che si è spaccato finendo poi per votare sì assieme ai partiti della maggioranza e a Forza Italia, Lega e Fratelli d'Italia; con la sola foglia di fico di aver ottenuto un paio di modifiche del tutto marginali dopo una concitata trattativa col governo, come l'informazione al Copasir dopo 24 mesi e la specificazione dei corpi speciali da impiegare. I sì sono stati quindi 395, contro solo 5 no, mentre il gruppo SEL-Sinistra italiana si è vergognosamente astenuto.
Quest'ultimo, sulla votazione finale dell'intero provvedimento, ha poi votato no, ma solo per salvare la faccia e non senza rimarcare, con la dichiarazione finale del suo rappresemtante Erasmo Palazzotto, “il grande senso di responsabilità che ci guida”, insieme ad “un apprezzamento per l'atteggiamento, la cautela e la compostezza che il Governo italiano sta avendo nella reazione immediatamente successiva agli attentati di Parigi”. Ma comunque senza chiedere il ritiro delle truppe italiane dall'Afghanistan, dall'Iraq e dalle altre missioni di guerra.
Anche il M5S ha votato no al decreto di rifinanziamento, e a differenza di SEL-SI ha chiesto esplicitamente il ritiro dall'Afghanistan (che del resto avrebbe già dovuto avvenire entro l'anno). Ma non da tutti gli altri teatri di guerra, a cominciare dall'Iraq che, come si è visto, è in questo momento al primo posto nell'impegno finanziario e militare del governo imperialista di Renzi. Mentre per la cooperazione internazionale il decreto, che ora passa al Senato per la conversione definitiva in legge, stanzia solo 38 milioni, che poi in gran parte finiscono in Iraq, Afghanistan e in altri paesi dove operano le missioni militari italiane, come ulteriori finanziamenti alla guerra mascherati da aiuti alla popolazione.
 
 

25 novembre 2015