Arrestato per tangenti il ministro russo allo sviluppo economico

 
Nell'ottobre scorso la società petrolifera statale russa Rosfnet ha acquistato il 50% di un'altra azienda petrolifera statale, la Bashneft, per 330 miliardi di rubli (circa 5 miliardi di dollari). Il via libera all'operazione era venuto dal ministro allo sviluppo economico Alexey Ulyukayev ma, secondo la procura di Mosca, solo dopo che aveva intascato una tangente da 2 milioni di dollari estorta al colosso energetico statale Rosneft, guidato dall'alleato di ferro del presidente Vladimir Putin e suo ex collega nel Kgb, Igor Sechin.
Ulyukayev, che il 14 novembre era messo agli arresti domiciliari e rischia 15 anni di galera, si dichiarava innocente e vittima di una “provocazione”. In effetti la vicenda che ha incastrato il sessantenne Ulyukayev, già capo della banca centrale di Mosca, definito un “liberale” e ministro dello Sviluppo economico della Federazione russa nel governo Medvedev dal giugno 2013, presenta diversi aspetti controversi.
Ulyukayev si era detto contrario all'operazione tra le due società petrolifere statali ritenendo che Bashneft doveva essere privatizzata e non finire sotto un'altra azienda di Stato, tanto più che tra i possibili acquirenti vi era in corsa anche la società petrolifera privata Lukoil. L'accusa sostiene che era una tattica per poter estorcere una tangente alla Rosneft e che non conta nulla il fatto che Ulyukayev avesse già presentato le sue dimissioni dal governo una volta definita l'operazione di acquisto. Sta di fatto che il ministro è stato licenziato ufficialmente solo dopo che sono scattate le manette ai polsi.
All'interno della compagine governativa l'ex ministro non era il solo contrario all'operazione ma è quello che sembra destinato per ora a pagare la colpa di essersi messo di traverso alle operazioni della Rosneft, la società controllata direttamente dal Cremlino e nata nel 2003 dalla requisizione della società privata Yukos di Mikhail Khodorkovsky da parte dello Stato.
La Rosneft è ora sotto la gestione dell'amico di Putin, Igor Sechin, che nell'agosto scorso ha nominato capo della sicurezza un dirigente dei servizi segreti che per una strana coincidenza era fino ad allora responsabile della sezione che per circa un anno ha seguito e monitorato le attività di Ulyukayev; normalmente tale attività di controllo delle persone sotto indagine sono affidate al Comitato investigativo e non ai servizi.
Che sia colpevole o innocente, resta il fatto che il ministro allo sviluppo economico è il più alto esponente politico del governo russo finito in carcere dalla caduta del regime revisionista nel 1991; resta il fatto che la corruzione dilaga nelle istituzioni capitalistiche russe, non negata neanche dal presidente Putin che da tempo ha lanciato una campagna anti corruzione. Una campagna che a diversi osservatori è sembrata principalmente uno strumento per intervenire nella battaglia scatenata al vertice delle istituzioni federali russe dalle diverse cordate della borghesia russa che si contendono il controllo delle risorse finanziarie e industriali legate alle risorse energetiche; la vendita di gas e petrolio, nonostante oltre due anni di prezzi petroliferi bassi e di recessione, copre ancora il 50% delle entrate del bilancio statale.
Non la procura di Mosca ma fonti governative rivelavano al giornale economico russo Vedemosti che tra gli indagati ci sarebbero anche il vice premier Arkady Dvorkovich, l'assistente alla presidenza Alexey Belousov e due funzionari. Come dire che nel mirino della procura è finito il governo del primo ministro Dimitri Medvedev e la sua politica che cerca di puntellare il traballante bilancio statale con una gestione delle previste privatizzazioni e risparmi nel bilancio militare non condivisi dal Cremlino. Dove Putin è impegnato a consolidare il potere economico e finanziario della corrente borghese che rappresenta e il proprio potere personale in vista delle elezioni presidenziali del 2018.
 

30 novembre 2016