Nel Mezzogiorno più poveri e più emigrati per lavoro
L'1% di persone possiede il 23,4% della ricchezza nazionale

Nonostante gli indicatori economici abbiano fatto registrare una crescita del Pil dell'1% nel 2015, al Sud la situazione economica e sociale resta drammatica: gli indici sulla povertà sono in costante ascesa, masse di giovani sempre più numerose sono costrette a emigrare in cerca di lavoro e il divario fra ricchi e poveri continua ad allargarsi.
È quanto emerge dal Rapporto Svimez 2016 sull’economia del Mezzogiorno in cui fra l'altro si sottolinea anche un “rischio desertificazione” diventato concreto negli ultimi 20 anni, con l’emigrazione di 1,113 milioni di persone, la maggior parte concentrate nelle fasce d’età 25-29 e 30-34 anni.
Lo Svimez da un lato evidenzia: “Il Sud torna a crescere dopo sette anni con segno meno e avanza di 0,3 punti percentuali anche la crescita del Centro-Nord, attestandosi a +1% nel 2015 rispetto al +0,7% della restante parte d’Italia”. Dall'altro lato sottolinea: “Il dato favorevole è stato originato da una serie di eventi concomitanti, che però non evidenziano un mutamento strutturale delle singole componenti economiche. In particolare hanno contribuito la buona annata del settore agricolo e l’ottima prestazione di quello turistico, in conseguenza alla crisi di altre zone del Mediterraneo colpite da instabilità politiche. La chiusura della programmazione dei Fondi Strutturali 2007-2013 ha inoltre stimolato un’accelerazione della spesa per evitare la perdita di una parte dei Fondi. Il gap con il resto del Paese, tuttavia, rimane ancora strutturale e profondo, in particolar modo in alcuni settori economici, come quello manifatturiero”.
Dunque si tratta della classica goccia in mezzo al mare specie se si pensa che questo “picco” di crescita arriva dopo anni in cui il Meridione è rimasto indietro rispetto al resto d’Italia: dal 2007, spiega tra l'altro lo Svimez, “il Pil in quest’area è calato del -12,3%, quasi il doppio della flessione registrata nel Centro-Nord (-7,1%)”.
Inoltre dal Rapporto emerge che al Sud il 60% degli individui in famiglie giovani è a rischio povertà e “le risorse stanziate dal governo per la lotta alla povertà sono ancora troppo poche”, appena sufficienti per raggiungere al massimo un terzo dei 4,5 milioni di persone in povertà assoluta, di cui circa 2,1 milioni vivono nel Mezzogiorno.
“Dal 2008 al 2015 – si legge nel rapporto - le persone che vivono in condizioni di povertà assoluta sono aumentate da 2,1 a 4,6 milioni. Nel 2015 i poveri assoluti nel Mezzogiorno sono aumentati di 218 mila unità, superando i 2 milioni, 10 meridionali su 100 risultano in condizione di povertà assoluta contro poco più di 6 nel Centro-Nord. La recessione ha peggiorato notevolmente gli squilibri del mercato del lavoro all'interno. L'aumento della povertà assoluta nel Mezzogiorno nel 2015 si è verificato soprattutto nei Comuni di più grande dimensione, dove nel 2014 il 18,5% dei residenti è a rischio di povertà. Nel 2014 il rischio di povertà è aumentato in quattro delle otto regioni meridionali, peggiorando in maniera evidente in Campania, Abruzzo e Sardegna; migliorano la Puglia e la Basilicata. Differenze evidenti esistono anche all'interno del Mezzogiorno: in Sicilia e Campania i cittadini a rischio povertà superano il 39%, mentre in Abruzzo sono di poco superiori al 20%. Crescono anche le disparità interne alle aree geografiche: fra il 2007 e il 2014 è aumentata in particolare la forbice fra i redditi del 10% più ricco della popolazione e quelli del 10% più povero. Maggiormente a rischio nel Mezzogiorno sono le famiglie con un solo genitore con minori a carico (52%) e le coppie con figli minori (41%). Le famiglie più colpite sono in generale quelle composte da numerosi componenti o da coppie con figli. Particolarmente significativa, infine, è l'incidenza della povertà tra le famiglie in cui la persona di riferimento è un lavoratore autonomo a tempo pieno o un lavoratore dipendente a tempo parziale”.
Ecco quali sono le “delizie” prodotte dalla globalizzazione capitalista e imperialista e dalle politiche del governo Renzi. Secondo un recente sondaggio condotto dall'istituto nazionale di ricerca Demopolis per l'organizzazione Oxfam contro la povertà, nel mondo 62 paperoni possiedono la stessa ricchezza della metà più povera del mondo, vale a dire 3,6 miliardi di persone. E in Italia, l’1% più ricco è in possesso del 23,4% della ricchezza nazionale netta.
“Si tratta di una disuguaglianza preoccupante e insana – ha commentato Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam Italia - sia da un punto di vista economico, che da uno animato da considerazioni più etiche. Dall’indagine emerge la netta percezione della disuguaglianza e delle dispari opportunità. La classe politica non può più permettersi di ritardare l’adozione di rimedi ambiziosi in materia di giustizia fiscale, contrastando gli abusi fiscali in Italia e a livello internazionale che alimentano la grande disuguaglianza dei nostri tempi”.
Dunque, altro che “crescita e Industria 4.0” di cui ciancia il nuovo duce Renzi. La verità, per dirla con le parole del del presidente Svimez Adriano Giannola, è che manca “una politica industriale dedicata ai problemi specifici del Mezzogiorno”. Le chiacchere del governo stanno a zero e “Il piano Industria 4.0 che dovrebbe tenere conto in modo incisivo delle esigenze delle regioni del Sud, in realtà non è così”.

30 novembre 2016