La moneta del socialimperialismo cinese entra nel paniere FMI

 
La moneta cinese, lo yuan o renminbi, è entrata l'1 ottobre scorso nello Special Drawing Rights (SDR), il paniere dei diritti speciali di prelievo del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), il club monetario esclusivo che fino ad oggi comprendeva il dollaro Usa, l'euro, lo yen giapponese e la sterlina inglese. Si tratta di una promozione da lungo tempo cercata dal vertice di Pechino, dopo l'ingresso nel Wto, l'organizzazione mondiale del commercio, per sancire l'entrata definitiva del socialimperialismo cinese al vertice della scena finanziaria e economica mondiale.
La decisione sulla promozione dello yuan nel paniere delle valute di riferimento utilizzato per definire gli interventi del Fmi e le riserve dei singoli paesi era del novembre del 2015. La data di ingresso ufficiale è stata concordata dal Fmi col presidente cinese Xi Jinping per lo scorso 1 ottobre in modo che coincidesse con la ricorrenza della Repubblica popolare, fondata nel 1949 da Mao, una accoppiata che doveva dare più enfasi a un avvenimento storico, di segno certamente opposto. Allora, come sottolineò Mao, era il momento che registrava il fatto storico del popolo cinese che si era levato in piedi e aveva preso in mano il proprio destino sotto la guida del Partito comunista; nel 2016 è la borghesia cinese che ha preso il potere nel partito revisionista e si è messa a sedere al tavolo delle altre maggiori potenze economiche e finanziarie capitaliste. Quella del socialimperialismo cinese è la seconda nel mondo e lavora per essere la prima.
Il riallineamento del peso delle cinque principali monete nel paniere del Fmi diventa perciò una rappresentazione abbastanza realistica dei rapporti di forza tra le potenze imperialiste, una registrazione di chi sale e di chi scende. Il peso dello yuan nel paniere è del 10,92%, una percentuale che lo colloca al terzo posto; superiore a quella di yen che scende dal 9,4% all'8,33% e della sterlina che scende dall'11,3 all'8,09%. Al primo posto resta il dollaro, seppur con un peso un capello inferiore dato che passa dal 41,9% al 41,73% mentre pur restando al secondo posto è l'euro che cala di brutto dal 37,4% al 30,93%.
Lo yuan sconta il fatto che il governo di Pechino mantiene ancora un determinante controllo sul suo tasso di cambio col dollaro Usa, invece di essere maggiormente dipendente dai principi della cosiddetta economia di mercato come vorrebbero le concorrenti imperialiste. E che al momento costituisce solo l’1,1% delle riserve di cambio delle banche centrali rispetto al 63,7% del dollaro.
La francese Christine Lagarde, direttore del Fmi, ha definito “una importante e storica pietra miliare” l’inclusione dello yuan quale quinta valuta nel paniere, poiché rappresenta il riconoscimento dei progressi fatti dalla Cina nella riforma dei suoi assetti finanziari e monetari, nel senso capitalistico, una pietra miliare “nell'integrazione dell'economia cinese nel sistema finanziario globale". Un posto alla pari coi colleghi imperialisti.
 
 
 
 
 
 

7 dicembre 2016