Lo certifica il rapporto Censis sulla situazione sociale in Italia
Giovani poveri, precari e senza futuro
11 milioni di italiani hanno rinunciato a curarsi per i costi sempre più alti

Anni di massacro sistematico dei diritti del lavoro e dei servizi pubblici per salvare il capitalismo in crisi presentano il conto. Così si potrebbero riassumere i dati contenuti nel 50° Rapporto sulla situazione sociale del Paese, presentato dal Censis (Centro studi investimenti sociali) il 2 dicembre scorso.

Giovani più poveri e precari
Il primo dato che emerge lampante è che i giovani di oggi sono più poveri e vivono e lavorano in condizioni ben più precarie dei loro genitori: le famiglie con persone di riferimento al di sotto dei 35 anni hanno un reddito più basso del 15,1% e una ricchezza inferiore del 41,1% rispetto alla media nazionale.
Non si tratta, com'è ovvio, di uno “scontro generazionale”: semplicemente chi entrava nel mondo del lavoro negli anni '70 ha vissuto, lavorato e risparmiato in un periodo diversissimo da quello attuale, quando il capitalismo era costretto dalle grandi lotte operaie – e da sindacati ancora relativamente combattivi, non succubi al padronati come oggi – a fare concessioni che favorissero le masse lavoratrici. Chi oggi ha fra 20 e 35 anni, invece, è cresciuto nell'epoca del neoliberismo, della compressione dei salari e della precarietà lavorativa. Lo stesso Rapporto infatti evidenzia che le crescenti “flessibilità” sul lavoro stanno “alimentando l'area delle professioni non qualificate e del mercato dei 'lavoretti', imprigionando uno strato crescente dell'occupazione (soprattutto giovanile) nel limbo del 'quasi regolare'”.
Cala, di conseguenza, l'aumento demografico e la natalità è ai minimi storici: nel 2015 le nascite sono state 485.780, la cifra più bassa dall'Unità d'Italia. Con buona pace della campagna mussoliniana per la natalità della Lorenzin, che non tiene conto che i giovani non riescono a formarsi una famiglia propria soprattutto perché mancano della stabilità lavorativa e finanziaria necessaria.

Tagli alla spesa medica e alimentare
“Gli effetti socialmente regressivi delle manovre di contenimento del governo”, continua il Rapporto, “si traducono in un crescente numero di italiani (11 milioni circa) che nel 2016 hanno dichiarato di aver dovuto rinunciare o rinviare alcune prestazioni sanitarie”. In altre parole la crescente povertà impedisce addirittura alle masse di ricorrere a servizi più che essenziali come le cure mediche.
A ciò va aggiunto il calo delle infrastrutture ospedaliere pubbliche. Chi può passa alla sanità privata, che è cresciuta del 2,4% dal 2014 al 2015, disegnando prospettive tutt'altro che rosee per la sanità pubblica e aperta a tutti, con la criminale complicità dei governi succedutisi negli ultimi anni. I privati inghiottono quasi il 24% della spesa medica totale. Queste sono anche alcune delle denunce dei medici in sciopero generale il 16 dicembre.
Ben il 51,7% dei censiti dal Censis dichiarava che avrebbe tagliato ulteriormente la spesa per la casa e l'alimentazione. Il Rapporto aggiunge che è presente una notevole tendenza al risparmio di liquidità, che tradisce una forte preoccupazione per il futuro.
A fronte della compressione dei consumi generali, aumentano invece gli acquisti di smartphone e computer. Questo dato apparentemente assurdo può essere spiegato con la pubblicità martellante, esplicita e non, per inculcare nei giovani e non solo la triste e vuota passione per la tecnologia all'ultimo grido, veicolando le loro attenzioni esclusivamente al consumo e deviandole dall'impegno politico e culturale.
Tirano l'export e il turismo di alto livello, cioè della ricca borghesia: aumentano gli arrivi negli hotel a 5 stelle, mentre crollano le categorie inferiori. Tutto ciò è indice di quanto si stia accentuando la polarizzazione sociale, con una fascia sempre più ristretta di ricchi sempre più ricchi e una massa di poveri in espansione.

Bocciati banche e partiti parlamentari
Sempre il Rapporto, attraverso sondaggi, rileva che i partiti sono all'ultimo posto nella graduatoria dei soggetti a cui gli italiani danno fiducia. All'ultimo posto le banche. Cresce anche la sfiducia verso l'Ue: il 22,6% degli italiani è favorevole all'uscita del nostro Paese, il 10,4% è indeciso. Certo pesa ancora il terrorismo mediatico sugli effetti “apocalittici” della Brexit, ma sembra maturare una certa presa di coscienza sul vero volto dell'Ue.
Dopo aver letto questi dati stupisce ancora meno che la botta più micidiale a Renzi, per il referendum, sia venuta dai giovani, dai disoccupati e da chi vive nelle periferie. È stata anche una punizione per le sue politiche economiche e in materia di lavoro tutte a favore del grande capitale industriale e finanziario. Ormai è sempre più chiaro che urge uscire dalla miseria socio-economica seminata dal capitalismo e dalla sua classe dominante borghese che cercano di salvare se stessi.

14 dicembre 2016