Per gli appalti di Expo
Indagato il sindaco PD di Milano Sala
L'ipotesi di reato è falso materiale e concorso in falso ideologico
Sala deve dimettersi non “autosospendersi”

Redazione di Milano
La vittoria del NO al referendum costituzionale ha fatto cadere la speranza del sindaco renziano milanese Giuseppe Sala di poter diventare senatore e perciò godere dell’agognata immunità parlamentare che lo avrebbe preservato dagli inevitabili guai giudiziari dovuti all’essere stato amministratore delegato (Ad) di EXPO 2015 dove numerosi appalti sono stati aggiudicati sotto la sua gestione, in modo a dir poco irregolare. In particolare tra i tre filoni di indagine ( i primi due sono quello su Infrastrutture Lombarde, e quello sulla “Cupola degli appalti”) quello sulla realizzazione della Piastra a base dell’Esposizione (l’infrastruttura realizzata nel sito di Rho Pero dalla Mantovani l’aggiudicataria illegittima dell’appalto) risulta essere il più scottante per l'allora Ad di EXPO. Fu proprio quell’indagine al centro dello scontro tra l'allora procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati e il suo aggiunto Alfredo Robledo il quale, su decisione del primo, nel 2014 era stato estromesso dagli interrogatori principali dell’inchiesta e poi dall’inchiesta stessa perché trasferito a Torino. Da allora l’inchiesta si era arenata tanto che la Procura ne ha chiesto l’archiviazione. Ma il giudice per le indagini preliminari Andrea Ghinetti si è decisamente opposto a questo ennesimo e definitivo insabbiamento del caso “Piastra” disponendo finalmente nuove indagini. Da qui l’iscrizione nel registro degli indagati del sindaco Giuseppe Sala con l’ipotesi di reato di falso materiale e di concorso in falso ideologico.
Secondo il sostituto procuratore generale Felice Isnardi, che ha chiesto una proroga di sei mesi per approfondire le indagini dopo aver avocato a sé l’inchiesta, ci sono state “numerose anomalie e irregolarità amministrative” nella fase di “scelta del contraente”, l’impresa Mantovani, che vinse l’appalto con un ribasso del 42% sulla base d’asta di 272 milioni. Un ammontare “non idoneo neppure a coprire i costi“. Per finire i lavori entro aprile 2015, come previsto, ci si piegò a una “deregulation dettata dall’emergenza”. E anche dopo, durante la fase esecutiva, all’appaltatore “fu consentito di entrare in una anomala trattativa al rialzo con il committente, ponendo come contropartita la cessazione dei lavori, la cancellazione dell’evento e la credibilità del Paese”.
L’altra ipotesi di falso riguarda la sostituzione, decisa nel 2012, di un componente della commissione aggiudicatrice dell’appalto: per accelerare i tempi e non far slittare l’avvio dei lavori il sostituto fu scelto con una procedura accelerata e il provvedimento di annullamento della nomina fu retrodatato. Due verbali relativi riporterebbero “circostanze non rispondenti alla realtà” e, in particolare, sarebbero stati retrodatati con “l’intento di evitare di dover annullare la procedura fin lì svolta” anche per il “ritardo” sui “cronoprogrammi” dell’EXPO, scrive la Guardia di finanza di Milano in un’informativa del maggio 2013.
C’è da chiarire come mai Sala non abbia fatto eseguire le opportune verifiche di congruità sull’offerta ricevuta dalla Manotovani alla luce anche di quanto raccontato due anni fa ai pm da Antonio Rognoni, ex numero uno di Infrastrutture Lombarde: “Sala mi rispose che non avevamo tempo”. Ci sono gli extra costi che la Mantovani si è fatta riconoscere in seguito e grazie a cui è arrivato quel profitto altrimenti impossibile con un maxi-ribasso del genere. C’è poi l’appalto per 6mila alberi da piantare nel sito. La fornitura venne affidata senza gara alla Manotovani nel luglio del 2013 per 4,3 milioni, 716 euro a pianta. Quattro mesi dopo la Mantovani stipula un contratto di subfornitura con un’impresa vivaistica per 1,6 milioni, 266 euro a pianta. Dietro la scelta di Expo ci sono ancora una volta motivi di urgenza, ma gli alberi, alla fine, vengono piantati, senza alcuna fretta, nell’autunno del 2014.
Nella sera del 15 dicembre, con una breve nota, il sindaco PD di Milano ha annunciato la decisione di autosospendersi dalla sua carica. “Pur non avendo la benché minima idea delle ipotesi investigative, ho deciso di autosospendermi dalla carica di Sindaco, determinazione che formalizzerò domani mattina nelle mani del Prefetto di Milano“. Ma cosa intende Sala con “autosospensione”? Nel comma 2 dell’articolo 53 del decreto legislativo 267 del 2000 nell’articolo 42 dello statuto del Comune di Milano e nell’articolo 21 dello statuto della Città Metropolitana, infatti, non si fa mai riferimento all’istituto dell’“autosospensione”, che infatti non esiste. Per questo motivo quella di Sala è una decisione totalmente politica, senza riscontri dal punto di vista delle norme che regolano le sue funzioni e le sue prerogative. Il sindaco durante il colloquio con il prefetto Alessandro Marangoni ha adottato la formula dell’assenza temporanea, prevista dallo statuto comunale per incardinare in modo formale la sua “autosospensione”. Questa “assenza” verosimilmente non dovrebbe durare più di una quindicina di giorni.
Nonostante Sala affermi che “l’autosospensione” sia motivata dal “bisogno di un po’ di tempo” per verificare la sua situazione processuale, il vero scopo della sua decisione sembra essere il minacciare imminenti dimissioni (col conseguente scioglimento della giunta e del consiglio comunale) se non interverranno in suo aiuto quelle stesse forze che fino a novembre hanno impedito il proseguire delle indagini sulle scabrose vicende oggetto dell’inchiesta giudiziaria sulla Piastra EXPO.
Questa reazione di Sala di fronte alla notizia di essere indagato dimostra evidentemente che ha la coda di paglia sul suo operato alla guida di EXPO dopo essere stato lasciato tranquillo durante il lungo periodo di moratoria giudiziaria garantitagli per tutto il tempo di preparazione e svolgimento dell’Esposizione Universale, continuata poi durante la sua campagna elettorale a sindaco di Milano, e infine proseguita per la successiva lunga campagna referendaria per il Sì sulla cui vittoria Sala contava per ottenere l’immunità parlamentare in quel nuovo Senato delle impunità locali ideato ad hoc dal nuovo duce Renzi e dalla sua sodale Boschi.

21 dicembre 2016