55 ghetti nella Puglia di Emiliano e ieri di Vendola
A 20 anni Miecoganuchev morto bruciato nel “ghetto dei bulgari”

 
È morto carbonizzato a soli 20 anni nel cosiddetto “Ghetto dei Bulgari”, a 20 chilometri da Foggia. Il giovane si chiamava Ivan Miecoganuchev e divideva col padre una baracca di fortuna. Intorno alle due del mattino le fiamme, probabilmente dolose e, secondo la procura, appiccate a seguito di lite fra ubriachi, hanno avvolto e distrutto un centinaio di baracche, compresa quella della vittima, stata sorpresa nel sonno. Un dramma che poteva finire in massacro, visto che nell’area interessata dall’incendio si trovavano anche decine di bombole del gas, messe fortunatamente in sicurezza dai soccorritori.
 
I ghetti, schiavitù all’ordine del giorno
I ghetti della vergogna, in provincia di Foggia, tornano dunque in prima pagina per l’ennesima morte figlia della povertà, della decadenza e dello sfruttamento. In Puglia se ne contano 55, tutti costruiti da baracche di legno e plastica, spesso a completamento di alloggi di fortuna realizzati attorno a roulotte vecchie e fatiscenti, nel degrado più totale. Nella Regione ci sono 180 mila braccianti, un quinto dell’intero paese. I braccianti stranieri assunti registrati sono circa quarantamila, ma sono almeno cinquantamila i lavoratori a nero nelle sue campagne, tutti legati a doppio filo al caporalato. Il ghetto dei bulgari esiste da circa otto anni ed è definito una vera e propria cloaca a cielo aperto, dove manca persino l’acqua corrente, sebbene siano presenti donne e bambini, fatto che lo rende particolare nel triste panorama dei ghetti. Lì risiedono stabilmente poche centinaia di persone che arrivano a raggiungere le mille unità nei periodi di raccolta dei pomodori nei mesi estivi. Luoghi conosciuti ma dimenticati da tutti, ad eccezione di alcuni sindacati e delle associazioni di lotta. Se li ricordano invece a meraviglia gran parte delle aziende agricole del territorio che sfruttano questi migranti stagionali ed economici senza alcuna remora.
 
I vigliacchi interessi economici nei ghetti
I ghetti sono una vera e propria “zona franca” dello sfruttamento schiavista, popolata da decine di migliaia di schiavi del nuovo millennio che ogni notte all’alba salgono sui furgoni dei caporali per andare a “lavorare” nelle campagne pugliesi per pochi euro. Territori dove i diritti non esistono e dove le aziende agricole, i proprietari terrieri, le agenzie interinali e i caporali ignorano sistematicamente anche le più basilari leggi borghesi vigenti. Gli ideatori sono proprio questi ultimi; i “mediatori” delle aziende agricole che creano e pagano lautamente i caporali per fare il lavoro sporco i cui unici beneficiari sono le aziende stesse. In realtà i ghetti sono sorti perché vi è l’interesse del sistema agricolo a stipare manodopera ricattabile in grandi quantità in pochi luoghi, lontani dagli occhi della popolazione e indifferenti anche alle forze dell’ordine. Tutto ciò significa guadagni in nero per le aziende e salari da fame per i braccianti. Milioni di euro che confluiscono nelle casse dei proprietari terrieri, soldi sporchi, bagnati dal sudore e dal sangue degli stagionali, soprattutto stranieri. I lavoratori alle dipendenze del caporale sono quasi sempre migranti irregolari, ognuno dei quali guadagna 400 o 500 euro in 2 mesi di lavoro. Secondo il rapporto della FLAI CGIL, il caporale si intasca da ogni schiavo da 1 a 2 euro a cassone di verdura raccolta, e 5 euro a viaggio per accompagnarlo al lavoro. Inoltre essi gestiscono le baracche e si fanno pagare un affitto medio di circa 200 euro al mese a testa, che di fatto diviene obbligato giacché è impossibile per un bracciante straniero che guadagna 15-20 euro al giorno poter prendere una casa in affitto, anche in gruppo. I caporali addirittura speculano sul panino che forniscono, e si fanno pagare 3 euro per ogni ricarica elettrica del cellulare.
 
Vittime del capitalismo
La morte del giovane bulgaro ha scatenato l’ennesima ondata di indignazione e di polemiche da parte di tantissime associazioni dei territori quali l’Arci e Campagne in Lotta, così come dei sindacati, in particolare della Flai Cgil. Anche il governatore della Puglia, il piddino Michele Emiliano, si è detto “molto scosso” dalla notizia ma, in sostanza, cosa hanno fatto lui e il suo predecessore Vendola per eliminare questa conosciuta quanto vergognosa piaga? Nei fatti, dopo il protocollo firmato lo scorso mese di maggio dal titolo “Cura-legalità-uscita dal ghetto”, non si è mosso più nulla; a poco importa l’ennesimo annuncio di Emiliano sulla conclusione di un percorso che dovrebbe portare alcune proposte all’attenzione del Consiglio d’Europa e della Commissione Europea nel prossimo dicembre. I fatti dicono che ancora una volta siamo ad annunci roboanti ai quali non seguono mai fatti concreti. I sindacati in passato hanno lanciato campagne contro il lavoro nero che hanno avuto poco riscontro, e neppure l’istituzione del reato di caporalato nel 2011 a seguito dello sciopero di Nardò è stato in grado di risolvere la questione. I moderni e spietati latifondisti hanno costruito un muro di gomma; la maggior parte delle norme viene regolarmente ignorata senza che subiscano alcuna sanzione e tutto continua come sempre, alla luce del sole. Ad esempio, negare o concedere a fatica l’acqua corrente, così come l’assistenza sanitaria praticamente preclusa agli irregolari o agli abitanti dei ghetti, è il modo in cui gli inglesi hanno gestito campi simili in Africa. I ghetti pugliesi sono gestiti proprio come una colonia inglese. Lasciar ammalare e, al limite, far morire i nuovi schiavi è il segno del potere di vita o di morte del bianco sul nero, del capitalista sul proletario nullatenente. È lo stesso potere che i latifondisti avevano sui contadini nell'Italia del primo Novecento. È dunque il sistema economico capitalistico che si autoprotegge. È il capitalismo con il suo assetto istituzionale e sociale, i suoi tentacoli della corruzione e del malaffare che plasma, adegua, frena o accelera i provvedimenti che gli sono funzionali per il profitto. E proprio col profitto, realizzato sulla pelle dei migranti e col loro sangue e schiavizzazione che finisce per avere in pugno tutti gli organismi di controllo del suo “sistema”. Il caporalato, i ghetti, lo sfruttamento in generale, non si combattono con qualche proposta di legge regionale; serve il diritto universale al lavoro, alla casa, la parità di diritti e la loro estensione a tutti. Potremmo ottenerli nel capitalismo? Certamente no. L’unica soluzione è la conquista di una società socialista che seppellirà questo, marcio, assassino e antipopolare capitalismo..
 

21 dicembre 2016