Afghanistan
La Nato invia i bersaglieri italiani a Farah. I talebani attaccano a Kabul
Aumentano i bombardamenti Usa

 
Nel novembre 2015 il governo di Kabul sosteneva di avere il controllo del 72% del territorio nazionale, una percentuale scesa al 63,4% nell’agosto 2016. Una semplice valutazione statistica che evidenzia la vitalità della resistenza afghana, dei talebani che si può dire abbiano celebrato il 15° anniversario dell’aggressione imperialista guidata dagli Usa in Afghanistan iniziata il 7 ottobre del 2001 con il successo di diversi attacchi contro il governo fantoccio di Kabul. Costringendo i comandanti del contingente militare di occupazione imperialista a rafforzare la presenza in almeno un paio di regioni cruciali, con l'invio di bersaglieri italiani a Farah e di marines nella regione di Helmand.
Lo scorso 2 gennaio l’agenzia di stampa afgana Pajhwok, citando un rapporto trimestrale del SIGAR, l’Ispettorato speciale americano per la ricostruzione dell’Afghanistan, ha riconosciuto che i talebani dell’Emirato islamico dell’Afghanistan controllano 33 dei 407 distretti del paese contro i 258 in mano al governo mentre 116 sono considerati “contesi”. E sono all'attacco in particolare nelle province sud occidentali di Helmand e Farah ma anche in altre zone del paese, compresa la capitale Kabul.
Il 10 gennaio un attacco della resistenza a Lashkargah, capoluogo della provincia dell’Helmand, ha causato 7 morti tra uomini dei servizi governativi. Lo stesso giorno con un’auto imbottita di esplosivo i talebani hanno colpito un autobus che trasportava personale dei servizi segreti e percorreva la strada Darulaman a Kabul, nei pressi del nuovo Parlamento e non lontano dall’università americana presa di mira lo scorso agosto; almeno 30 morti e una settantina i feriti. La giornata si concludeva con un attacco della resistenza contro la sede del governatore di Kandahar ritenuto uno dei luoghi più protetti e inaccessibili del Paese. Al momento dell’attacco era in corso un incontro tra il governatore e l'ambasciatore degli Emirati arabi in Afghanistan con una delegazione.
L'amministrazione Obama a fronte degli attacchi di una resistenza sempre viva aveva deciso di aumentare i raid aerei. Secondo i dati resi pubblici dallo US Air Forces Central Command e analizzati dal Washington Post, nel 2016 1.137 le bombe sganciate sul territorio afghano sono state oltre un migliaio, con un incremento del 40% rispetto agli anni precedenti. Il contingente di occupazione inquadrato nell’Operazione Resolute Support, che formalmente avrebbe solo compiti di addestramento, assistenza e consulenza per le forze di sicurezza afghane è stato recentemenre impiegato sempre più spesso in prima linea in appoggio alle truppe del governo fantoccio.
Al Pentagono, in attesa delle direttive della nuova amministrazione Trump, hanno deciso il 9 gennaio di rimandare i marines nell’Helmand da dove si erano ritirati nel 2014 ritenendo conclusa la missione di combattimento. La stessa situazione della provincia di Farah dove sono arrivati subito circa duecento soldati della missione a guida Nato, dei quali una settantina di bersaglieri italiani.
L'arrivo dei rinforzi nella provincia di Farah era resa nota dal portavoce del governo provinciale che rivelava come la richiesta di appoggio fosse venuta dal governo provinciale “data la crescente insicurezza” provocata dalla pressione dei talebani. “Fino a quando le attività dell’insorgenza continueranno – ha affermato – questo contingente resterà nella provincia”.
Era il 29 ottobre del 2013 quando i Bersaglieri del 6° Reggimento di Trapani lasciavano, allora fu detto definitivamente, la Base Avanzata (Forward Operative Base – FOB) “Dimonios” di Farah con una cerimonia che sanciva il passaggio di responsabilità nel settore della sicurezza del territorio, affidato dal 2006 ai militari italiani, all’Esercito afgano. Ma già nell'ottobre scorso i soldati italiani, il cui contingente principale è schierato a Herat, erano intervenuti a supporto di una controffensiva dell'esercito governativo per allontanare le forze dei talebani, arivate alle porte di Farah City, il capoluogo dell’omonima provincia. Adesso ritornano nella zona a tempo indeterminato.
Lo stesso faranno i marines americani nelle province sud occidentali di Helmand dove 6 dei 13 distretti sono in mano ai talebani. Il contingente governativo è praticamente barricato nel capoluogo Laskar Gah e nella ex base anglo-americana di Camp Leatherneck; in suo soccorso arriverà a breve una task force di marines appositamente costituita nella base di Camp Lejeune nella Carolina del Nord.
Attualmente sono presenti in Afghanistan circa 12 mila militari dei paesi imperialisti, tra i quali 8.400 statunitensi e un migliaio ciascuno di italiani e tedeschi, inseriti per lo più nell’operazione Nato Resolute Support. Possibile che restino dato che anche il nuovo presidente Usa Donald Trump durante la campagna elettorale aveva riconosciuto che il ritiro definitivo delle truppe americane avrebbe fatto collassare il governo di Kabul.
Quindici anni fa, all’indomani dell’invasione in Afghanistan, l’allora Segretario alla Difesa Rumsfeld affermò che dopo la distruzione delle basi di al-Qaeda gli Usa avrebbero lasciato il Paese “perché è giusto che l’Afghanistan costruisca da solo la propria democrazia”. Come se l'imperialismo rispettasse i diritti dei popoli quando non tiene conto financo dei principi della sua democrazie borghese quando non servono a mantenere il suo dominio. Così l'imperialismo americano è arrivato in Afghanistan con l'amministrazione Bush, ci è rimasto con Obama e continuerà con Trump; al suo seguito resterà l'imperialismo italiano, arrivato nel paese con Berlusconi e rimasto con Monti, Letta, Renzi e Gentiloni. Finché non saranno cacciati dalla resistenza afghana. È più onorevole ritirarsi subito, è quanto chiediamo al governo italiano

18 gennaio 2017