Raggi indagata per falso e abuso
Grillo esalta il fascista Trump e imbroglia i suoi parlamentari
Inquisito anche il candidato sindaco M5S a Palermo

Il 24 gennaio Virginia Raggi ha ricevuto ufficialmente dalla procura di Roma il temuto avviso di iscrizione nel registro degli indagati per il caso della nomina di Renato Marra, fratello del suo ex capo di gabinetto e capo del personale del Comune di Roma, Raffaele Marra, finito agli arresti per corruzione insieme al costruttore romano Sergio Scarpellini. Un avviso “annunciato” da tempo ma più grave del previsto, in quanto al reato di abuso d'ufficio dato da tutti per scontato i pm titolari dell'inchiesta, Paolo Ielo e Francesco Dall'Olio, hanno aggiunto per la sindaca quello ancor più politicamente imbarazzante di falso in atto pubblico.
La vicenda prende le mosse da una precedente inchiesta sulle nomine in Campidoglio, che inizialmente riguardava solo l'incarico di capo della segreteria a Salvatore Romeo, ma nella quale è poi confluita anche una segnalazione dell'Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone sul conflitto di interessi ravvisato nella nomina di Renato Marra, già graduato della polizia municipale, a responsabile del dipartimento Turismo del Comune con un aumento di stipendio di 20 mila euro lordi l'anno. Alla segnalazione dell'Anac, che avanzava il sospetto di un intervento del fratello Raffaele nella suddetta nomina, la Raggi, pur provvedendo a rimuovere l'ex vigile dal nuovo incarico, aveva assicurato al Responsabile anticorruzione del Comune che la nomina di Renato Marra era stata decisa solo da lei, escludendo tassativamente qualsiasi coinvolgimento del capo del personale.
Da qui l'accusa di falso in atto pubblico, in quanto gli inquirenti sostengono invece che Raffaele Marra era intervenuto attivamente nella promozione del fratello, e che la Raggi ne era perfettamente a conoscenza, cioè avrebbe mentito all'Anticorruzione (nonché ai giornalisti e allo stesso Movimento 5 Stelle, ndr). Accusa che si va ad aggiungere all'abuso d'ufficio (contestato contemporaneamente anche a Raffaele Marra), per non aver proceduto come d'obbligo a selezionare i candidati a quella carica in base ai rispettivi curricula.

“Così la stampa mi massacra”
Le contestazioni dei pm si basano su una serie di intercettazioni ambientali dei carabinieri e su alcuni messaggi rinvenuti nel telefonino di Raffaele Marra, dai quali risulta chiaramente non soltanto l'interessamento attivo del capo del personale per spingere il fratello a farsi avanti per chiedere la nomina a capo del dipartimento del Turismo, per il quale si era “liberato il posto”, ma anche le rimostranze della Raggi a Marra per non averla informata del tutto sui risvolti e sulle conseguenze della promozione del fratello. In particolare i magistrati sono in possesso di una chat di Telegram denominata “Quattro amici al bar”, a cui partecipavano la Raggi, il suo ex capo della segreteria, Romeo, l'ex vicesindaco Daniele Frongia (ora sostituito dall'ex veltroniano Luca Bergamo) e Raffaele Marra, nella quale in un caso la sindaca chiede a Marra rassicurazioni sugli aspetti legali della nomina del fratello, e in un altro lo rimprovera di non averle detto che avrebbe avuto uno scatto di stipendio di 20 mila euro: “Così mi metti in difficoltà”, si sarebbe lamentata la Raggi, aggiungendo che “la stampa mi sta massacrando”. Agli atti della procura c'è anche una email, inviata in copia alla Raggi, in cui l'assessore Meloni ringraziava Raffaele Marra di avergli suggerito la nomina del fratello al dipartimento del Turismo.
Insomma, non soltanto la Raggi ha difeso contro tutto e contro tutti e fino all'ultimo il suo ex capo di Gabinetto, già fiduciario del fascista Alemanno nella sua giunta supercorrotta, decidendosi a scaricarlo solo quando è stato arrestato per essersi messo “a disposizione” dell'imprenditore Scarpellini che gli aveva pagato l'acquisto di una casa; ma è arrivata addirittura a coprire con una menzogna un suo abuso commesso in evidente conflitto d'interessi.
Che cosa la legava così forte a Marra da finire nei guai per averlo tenuto a tutti i costi al centro del suo “raggio magico”? Una parziale risposta può venire forse anche dalla deposizione in procura di Roberta Lombardi, l'acerrima rivale della Raggi che ora si vanta di avere avuto ragione nel mettere in guardia il M5S dagli intrighi della sindaca, e che ha riferito le rivelazioni di un “collaboratore del movimento” secondo il quale dietro il documento che nel 2015 servì a screditare il rivale della Raggi alla candidatura alla guida del Campidoglio, Marcello De Vito (ora presidente dell'Assemblea capitolina), ci sarebbe stato anche Raffaele Marra. Il che confermerebbe che dietro la vittoria della Raggi alle “comunarie” del M5S romano c'era la destra romana, e che quindi è alla destra romana che la sindaca è debitrice. Da cui l'accanimento quasi suicida nella difesa di Marra.

Grillo blinda la Raggi e minaccia i “malpancisti”
A questo punto ci sarebbero tutte le condizioni per l'“autosospensione” della Raggi a norma di regolamento M5S e la sua sostituzione con il suo vice Bergamo. Ma Grillo, che già aveva disinnescato per tempo la mina cambiando in corsa il regolamento stesso rendendo non più obbligatorie le sanzioni in caso di avviso di reato, la difende a spada tratta dettando la linea: “Raggi ha adempiuto ai doveri indicati dal nostro codice etico (avvisandolo del ricevuto avviso della procura, ndr), lei è serena e io non posso che esserle vicino in un momento che umanamente capisco essere molto difficile”. In realtà il suo obiettivo inconfessato è quello di tenerla in piedi almeno fino a “scavallare” le possibili elezioni politiche di primavera, che la sentenza della Consulta ha avvicinato.
A tale scopo il padre padrone del M5S ha stretto di un altro giro la mordacchia a parlamentari e amministratori, in particolare a quelli delle rissose fazioni romane sempre in guerra tra loro, ma anche a quei parlamentari che semplicemente criticano la sindaca per aver portato al disastro in pochi mesi la più importante esperienza di governo del movimento: “Il programma per le elezioni non sarà definito dai parlamentari ma dagli iscritti, chi non sarà d'accordo con questo programma potrà perseguire il suo in un'altra forza politica”, ha scritto infatti in un post dal tono minaccioso. Quanto alle interviste e dichiarazioni personali, ha avvertito Grillo, tutte vanno “concordate coi responsabili della comunicazione”, e “chi danneggia l'immagine del M5S può incorrere in richiami e sospensioni. Non si fanno sconti a nessuno”.
L'avvertimento era rivolto in particolare a Roberto Fico, principale rivale del “premier in pectore” Luigi Di Maio, e che poco prima aveva osato criticare il capo per la sua sortita in favore di Trump e Putin: “La politica internazionale ha bisogno di uomini forti come Trump e Putin, li considero un beneficio dell'umanità. Due giganti come loro che si parlano è il sogno di tutto il mondo”, aveva farneticato infatti Grillo in un'intervista al settimanale francese “Le Journal de Dimanche”. Anzi, per lui il fascista Trump “sembra un moderato e i media hanno deformato il suo punto di vista”. Da parte sua Fico, in un'intervista a “La Repubblica”, in riferimento anche alle voci di possibili trattative tra Casaleggio e la Lega per eventuali intese elettorali, aveva commentato: “Dio ce ne scampi da Trump e Salvini”. Aggiungendo che “sull'immigrazione varrà il programma votato dagli iscritti, non c'è post che tenga”.

Sempre più dissidenti e indagati
Ormai Grillo è sempre più costretto a ricorrere alle sanzioni e alle minacce per tenere insieme il movimento che considera di sua proprietà e intende governare come un monarca. Dopo la sua sortita sfacciatamente di destra, proprio nella sua Genova tre consiglieri comunali, già in dissenso per la figuraccia al parlamento europeo e sulla mordacchia alle dichiarazioni, hanno abbandonato il M5S per protesta alle sue dichiarazioni su Trump. E non è che in altre città le cose vadano molto meglio che a Roma: anche a Torino la giunta Appendino sta diventando sempre più bersaglio dei movimenti e dei centri sociali che l'avevano appoggiata e che ora si dicono delusi della sua politica, in particolare per il via libera alla costruzione di supermercati e centri commerciali e per le mancate promesse sulla moratoria agli sfratti.
Per non parlare della faida che continua a dilaniare il M5S a Palermo, sempre più invischiato nello scandalo delle firme false e adesso alle prese con l'iscrizione nel registro degli indagati per “induzione a rendere dichiarazioni mendaci” di un altro suo illustre rappresentante: Ugo Forello, avvocato fondatore del movimento “Addiopizzo” e oggi nientemeno che candidato del M5S a sindaco del capoluogo siciliano. Secondo i parlamentari indagati per lo scandalo, avrebbe “pilotato” le dichiarazioni della supertestimone Claudia La Rocca a loro danno, millantando rapporti privilegiati con la procura.
 

1 febbraio 2017