Regeni fu assassinato dal regime egiziano
La prova decisiva è nel filmato clandestino del giovane ricercatore italiano. Manifestazioni in tutta Italia
L'ambasciatore italiano non torni in Egitto

Giulio Regeni, il giovane ricercatore friulano dell'università di Cambridge, rapito al Cairo il 25 gennaio 2016 dalla polizia segreta, barbaramente torturato nelle prigioni del regime e ritrovato cadavere nove giorni dopo lungo l'autostrada per Alessandria, fu assassinato dal regime fascista del dittatore egiziano Al-Sisi.
La conferma è arrivata nei giorni scorsi proprio a ridosso dell'anniversario della morte di Giulio attraverso la diffusione di un filmato montato ad arte e mandato in onda dalla Tv egiziana nell'ennesimo tentativo di screditare il giovane ricercatore friulano e farlo passare per un infiltrato dello spionaggio inglese che lavorava per destabilizzare il governo, finanziava i sindacati e li incitava a organizzare manifestazioni in vista del temuto anniversario della rivoluzione di piazza Tahrir piazza di sei anni fa.
Il video riguarda un incontro tra Giulio Regeni e il capo del sindacato degli ambulanti, Mohamed Abdallah, risalente al 6 gennaio del 2016. Nel filmato, girato di nascosto dallo stesso Abdallah - che ha ammesso di aver denunciato Regeni ai servizi segreti del Cairo - il sindacalista cerca di provocare e di corrompere il ricercatore italiano chiedendogli dei soldi per curare la moglie malata di cancro.
Secondo quanto è emerso dall'inchiesta della Procura di Roma, Abdallah denunciò i suoi rapporti con Regeni alla polizia del Cairo prima del 6 gennaio e in quella occasione sarebbe stato concordato come fare le riprese video della durata di un'ora e 55 minuti. Di questi, 45 minuti è durato il colloquio tra Abdallah e Regeni, e comunque durante l'incontro il ricercatore non mostrò alcuna disponibilità ad una destinazione delle 10 mila sterline di finanziamento diversa da quella di portare a termine il progetto per il sindacato ambulanti.
Dunque si è trattato dell'ennesimo tentativo di depistaggio orchestrato dalla National Security Agency (Nsa), il Servizio segreto civile interno del regime egiziano, alle dirette dipendenze di Al-Sisi e del suo ministro dell'Interno Magdy Abdel Ghaffar.
Del resto non è certo la prima volta che il regime di Al-Sisi e la Nsa tentano di insabbiare le indagini. All'inizio dissero di non avere alcuna informazione sulla scomparsa di Giulio, poi inscenarono il falso incidente stradale lungo l'autostrada per Alessandria dove il 3 febbraio 2016 fu fatto ritrovare il cadavere di Giulio, successivamente attribuirono l'omicidio ai Fratelli musulmani e infine il tentativo di far passare l'assassinio di Regeni per un delitto a sfondo omosessuale e ventilando la sua uccisione per mano di una banda di spacciatori in quanto dedito all'uso di droghe.
Invece dal filmato originale che dura quasi due ore ed è stato acquisito agli atti dalla procura di Roma, emerge che Regeni fu incastrato dai servizi segreti egiziani che il sei gennaio 2016 nascosero una microcamera nel bottone della giacca di Mohammed Abdallah il quale subito dopo aver registrato l'incontro avuto con Regeni nel mercato Ahmed Helmy, nel quartiere Ramses del Cairo, lo ha venduto e denunciato ai suoi aguzzini.
La telecamera che doveva smascherare Regeni come spia di un Paese straniero fu infatti messa a disposizione, quello stesso giorno, da un giovane capitano della Nsa i cui uffici erano nel quartier generale del Servizio al Cairo, nel centralissimo quartiere Sadr City. Non solo. Era stato lo stesso Servizio segreto a sollecitare quella provocazione che si immaginava dovesse diventare una trappola.
I particolari li racconta lo stesso Abdallah ai magistrati della Procura generale del Cairo in un lungo verbale in lingua araba del 10 maggio 2016 di cui solo in queste ultime settimane gli inquirenti della procura di Roma hanno potuto avere piena contezza nella traduzione giurata che ne è stata fatta.
Quelle carte fra l'altro confermano che il 7 gennaio 2016 furono proprio due agenti di una stazione di Polizia del Cairo a raccogliere la denuncia presentata da Abdallah contro Regeni e che sono almeno tre i poliziotti indagati per il massacro dei cinque componenti della banda di criminali comuni, specializzata nel rapimento di turisti stranieri, uccisi al Cairo il 24 marzo 2016 (i due che fecero fuoco e un terzo che eseguì la perquisizione dell'abitazione di uno degli assassinati collocandovi i documenti di Giulio) nel macabro tentativo di iscrivere la morte di Reggeni nell'ambito di una guerra fra bande di balordi.
Fatti e circostanze che insieme alla perquisizione della Nsa effettuata senza mandato giudiziario nella casa di Dokki nel dicembre 2015 quando Giulio era in vacanza; alle foto scattate sempre in quel dicembre che segnalano la presenza di Giulio in una riunione del sindacato fino alla consegna della telecamera con cui effettuare le riprese clandestine il 6 gennaio dimostrano come “la pratica Regeni” fu istruita dalla Nsa molte settimane prima del 7 gennaio 2016, quando ufficialmente entra in scena la polizia. E che ancora il 22 gennaio, quando Abdallah torna a contattare la Nsa, che a sua volta lo cerca, come documentano i tabulati, la pratica continui ad essere considerata di grande attualità, nonostante, ufficialmente, la polizia l'avesse già archiviata come "irrilevante" per la sicurezza nazionale.
Stando agli agenti egiziani, le attività di investigazione della polizia su Regeni sarebbero durate tre giorni, dal 7 gennaio (data della denuncia di Abdallah che riteneva Regeni una 'spia') al 10 gennaio. Tutto ciò non corrisponde affatto a quanto scoperto dai magistrati di piazzale Clodio. Dai tabulati risulta che il primo incontro tra Abdallah e Giulio risale all'8 dicembre 2015 al mercato di Ramses. Dunque, gli accertamenti della polizia si sarebbero dovuti esaurire l'11 (quando Regeni, unico occidentale, venne fotografato nel corso di una riunione di sindacalisti egiziani) o, al massimo, il 12 dicembre. Invece, l'attività di investigazione è proseguita a gennaio inoltrato, a pochi giorni dalla scomparsa del ricercatore italiano: lo provano i contatti telefonici tra l'ex capo degli ambulanti e la National Security dell'8, dell'11 e del 14 gennaio, quindi in epoca successiva alla presunta data di denuncia (6 gennaio) presentata contro Regeni.
I genitori di Giulio, dopo aver visionato il video, in una intervista a “Il Piccolo di Trieste” hanno detto: “È ancora prematuro affrontare nel profondo quest'aspetto, ci sono le indagini in corso. Quanto è emerso nel tempo, grazie alla biografia di Giulio, è la sua forza e disponibilità umana verso gli altri. La sua costante e incessante ricerca di dialogo e confronto, con se stesso e con gli altri. La sua competenza e onestà. Da parte nostra – hanno aggiunto - non ci siamo mai sottratti a nulla, pur di ottenere la verità e dunque giustizia. Sappiamo essere pazienti ma siamo inarrestabili: vogliamo la verità e la vogliamo tutta". A tal proposito, hanno sottolineato ancora i coniugi Reggeni: "è stato necessario, doveroso, importante e fruttuoso il richiamo dell'ambasciatore dall'Egitto".
Il primo anniversario della morte di Giulio è stato ricordato il 25 gennaio in tutta Italia con una serie di manifestazioni per chiedere ora più che mai di fare piena luce su tutta la vicenda e scoprire finalmente chi ha ordinato il sequestro, chi ha eseguito l'omicidio e soprattutto chi e perché ha coperto e continua a coprire i mandanti e gli aguzzini di Giulio.
La manifestazione nazionale si è svolta a Roma all'Università La Sapienza dove a tutti i manifestanti è stato distribuito un cartello con un numero, da 1 a 365, per ricordare i giorni che sono passati dalla scomparsa di Giulio. Altre manifestazioni e fiaccolate si svolte a Fiumicello (la città dove Giulio era cresciuto), Roma (a San Lorenzo in Lucina), Napoli (in Piazza Dante) a partire dalle ore 19.41, l'ora in cui Giulio Regeni scomparve.
In ogni caso va sottolineato che se i servizi egiziani si sono potuti permettere di farsi impunemente beffe finora della ricerca della verità, della famiglia Regeni e dell'intero nostro Paese, è anche perché il governo Renzi e il suo successore Gentiloni glielo hanno tacitamente e vergognosamente lasciato fare: e questo in nome dell'”amicizia” tra i due governi e personale tra Renzi e Al-Sisi, degli affari miliardari che intercorrono tra i due paesi (l'Italia, con 5 miliardi l'anno di interscambio e investimenti per 10 miliardi è il secondo partner commerciale dell'Egitto dopo la Germania) e della stretta alleanza militare nel quadro della guerra al comune nemico, lo Stato islamico.
La verità è che da quando il corpo di Regeni è stato “ritrovato”, sia Renzi che Gentiloni non hanno fatto altro che ripetere come un mantra che “non ci accontenteremo di meno che della verità”, ma non hanno mosso un dito contro governo egiziano.
Occorre invece interrompere subito tutte le relazioni diplomatiche e tutti gli accordi economici, politici e militari con il governo egiziano, promuovere azioni in tutte le sedi internazionali per accusarlo di violazione dei diritti umani e applicargli le relative sanzioni e pretendere che altrettanto facciano le autorità della UE. L'ambasciatore italiano non torni in Egitto.

1 febbraio 2017