Ogni occasione è buona per rilanciare un diversivo che invece di contrastarlo è congeniale al capitalismo
Rivendichiamo il lavoro, non l'elemosina del “Reddito di cittadinanza”

“Il reddito di cittadinanza” o il “reddito di base universale” (che poi sono due cose diverse) è diventato un tema che a intervalli più o meno brevi si ripresenta all'attenzione del dibattito politico italiano: o perché qualche partito, organizzazione, rappresentante istituzionale lo ripropone, oppure prendendo a pretesto nuovi stati che si apprestano a metterlo in pratica, ultimo caso la Finlandia, invocandone l'attuazione anche per l'Italia.
Stavolta il pretesto per riparlarne è stata la vittoria di Benoit Hamon alle primarie del Partito socialista francese, colui che al ballottaggio ha sconfitto l'attuale primo ministro del governo Hollande, Manuel Valls. Il candidato della “sinistra” del partito attualmente al governo in Francia aveva tra i suoi cavalli di battaglia il “reddito di base universale” che, a detta di molti, ha contribuito ad attirare le simpatie e i voti che gli hanno consentito di vincere le primarie.
Partendo da questo sono apparsi sulla stampa diversi articoli sul tema mentre i 5 Stelle hanno colto l'occasione per rilanciare il “loro” “reddito di cittadinanza” come “soluzione finale” capace di risolvere tutti i problemi legati alla disoccupazione, la povertà e perfino capace di eliminare la corruzione e il clientelismo, sistemi molto radicati nel nostro paese a cui tra l'altro il partito di Grillo si è adattato benissimo come dimostrano le molteplici indagini su di loro, per ultima quella a Roma sulla Raggi.
Tra i vari giornali ne hanno dato spazio Repubblica e in particolar modo “Il manifesto” che in pochi giorni ha pubblicato al riguardo tre articoli che esprimevano tre posizioni diverse: contraria, favorevole e, per così dire, intermedia. La prima porta alcune motivazioni condivisibili, ma tutte richiuse in un modello keynesiano o da New deal , che tradotto in italiano significa invocare un capitalismo dove lo stato intervenga in maniera forte a sostegno dell'economia e dell'occupazione per favorire i consumi e la crescita.
Quella sperticatamente a favore porta la firma di Marco Bascetta, un ex operaista (Potere Operaio) il quale, come il suo vecchio compare Toni Negri, ora predica la fine della classe operaia e del lavoro stesso. Secondo le sue tesi la tecnologia riduce il lavoro, punto e basta, non gli passa neanche per la testa che la disoccupazione la crea lo sfruttamento capitalistico. A suo dire bisognerebbe dare il reddito universale a tutti, così ognuno è libero di fare volontariato o altre attività che secondo lui sono esse stesse lavori ma non pagati, a questo sopperirebbe il reddito di base.
Secondo Bascetta il sistema capitalistico non può assicurare il lavoro a tutti; ma che grande scoperta! Sarebbe quindi utopistico chiederlo e rivendicarlo, ma invece pensare che il capitalismo attraverso un “reddito di base” per tutti (di quanti euro?) elimini la disoccupazione e si realizzi il mondo della felicità e del bengodi, o quanto meno in cui tutti vivono dignitosamente e in maniera più “autonoma”, non è utopistico ma realistico. Insomma, una sequela di corbellerie facilmente smontabili punto per punto.
Il terzo intervento cerca invece di tenere insieme le due cose, sostenendo che si può rivendicare il “reddito di cittadinanza” e allo stesso tempo il lavoro, essendo due ipotesi diverse ma non in contraddizione tra di loro. Una tesi un po' difficile da sostenere perché i 5 stelle, attraverso la voce del loro capo indiscusso, Beppe Grillo, hanno già detto più volte: via cassa integrazione e tutti gli ammortizzatori sociali esistenti e reddito di cittadinanza per tutti.
Anche Renzi, la Fornero, il presidente dell'Inps Boeri hanno ripetutamente proposto il “reddito di cittadinanza”, ma sempre in cambio di licenziamenti più facili, pensioni più basse, cancellazione dei vecchi ammortizzatori sociali. Almeno loro lo dicono chiaramente mentre Sinistra Italiana, che ha una richiesta di reddito simile a quella dei 5 Stelle, è meno esplicita ma siamo sicuri che pur di realizzarlo sarebbe disposta a cedere su tutto il resto.
Noi marxisti-leninisti cogliamo l'occasione per ribadire come il “reddito di base universale”, ovvero elargito a tutti indistintamente, compreso ai milionari, è una soluzione che respingiamo integralmente perché non tiene conto delle profonde differenze economiche tra le classi e gli individui, e oltretutto non sortirebbe nessun effetto concreto perché la cifra, divisa tra tutta la popolazione, sarebbe talmente irrisoria da non incidere sui bisogni. A meno che, non siamo tanto ingenui da credere che la ricchezza, quella vera accumulata dai capitalisti, venga redistribuita a tutti.
Anche il “reddito di cittadinanza”, come fa capire il nome, spetta a tutti i cittadini senza distinzione tra dipendenti, autonomi o imprenditori, ma spesso e volentieri non è altro che un assegno di disoccupazione, magari un po' più sostanzioso. Quindi, quando si dice che in Italia non lo abbiamo mentre esiste in tutto il resto d'Europa non è nemmeno vero perché cambia il nome ma nella sostanza equivale a forme di “ammortizzatori sociali” già esistenti nel nostro Paese. Ma le differenze di fondo tra chi rivendica lavoro e chi il “reddito di cittadinanza” non stanno tanto nella scelta del nome.
Per noi la strada da percorrere è quella di rivendicare lavoro per tutti i disoccupati e i lavoratori stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato, e questo comporta di conseguenza una dura lotta contro i vari governi borghesi, contro il neoliberismo economico, il federalismo, le privatizzazioni, il disimpegno dello Stato dal sociale. Solo in seconda battuta chiediamo una indennità di disoccupazione pari al salario medio degli operai dell'industria per un periodo non inferiore a tre anni. Indennità che dev'essere estesa anche ai giovani in cerca di prima occupazione. Così come chiediamo per le casalinghe senza reddito la pensione sociale.
Puntare tutto sul “reddito minimo” come fanno i partiti della sinistra borghese e svariati gruppi trotzkisti e gli anarco-sindacalisti ci sembra una giustificazione bella e buona per accettare il sistema capitalistico e la società borghese, una rinuncia alla lotta per il socialismo, per un lavoro stabile per tutti, per la casa, per servizi sociali e previdenziali universali, per scuola, sanità e trasporti pubblici gratuiti o a basso costo per tutti.
Il “reddito di cittadinanza” non può essere spacciato come la panacea di tutti i mali del capitalismo. Semmai è il contrario; alla fine è proprio congeniale alla fase in cui si trova adesso il capitalismo che ha abbandonato da tempo qualsiasi velleità riformista e di redistribuzione della ricchezza, seppur delle briciole, e ha mostrato la faccia liberista, di attacco frontale ai redditi e ai diritti dei lavoratori, delle disuguaglianze sempre maggiori tra ricchi e poveri, capitalismo che spera di sanare i suoi stessi mali con un po' di beneficenza.
Perfino colui che dovrebbe essere il campione della carità e della misericordia cristiana, cioè il papa, in una recente udienza con l'associazione degli imprenditori cattolici ha sottolineato che “Non basta fare assistenza, non basta fare un po’ di beneficenza... perché chi non ha lavoro non solo non porta il pane a casa ma perde la dignità!”. Ma stavolta i leader della “sinistra radicale” e dei partiti falsi comunisti che citano continuamente il riformista Bergoglio sembrano non ascoltarlo e alzano loro la bandiera del “reddito di cittadinanza”, nient'altro che una sorta di elemosina di stato.

8 febbraio 2017