Nell'incontro a Washington
Accordo tra Trump e Netanyahu contro i palestinesi
L'Olp: “Non accetteremo un'apartheid legalizzata”

 
Tra i primi leader mondiali a correre alla Casa Bianca a rendere omaggio al nuovo presidente americano registriamo, dopo l'inglese May e il giapponese Abe, quello israeliano Benjamin Netanyahu che permette a Trump di chiarire un altro punto della nuova politica estera dell'imperialismo americano, che nel caso specifico è la riaffermazione di quella vecchia di pieno sostegno all'alleato sionista contro i diritti del popolo palestinese.
Nel comunicato della Casa Bianca del 15 febbraio si afferma che “oggi, il presidente Donald J. Trump ha accolto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu nell'Ufficio Ovale e ha ribadito il rapporto speciale e l'indissolubile legame tra gli Stati Uniti e Israele. L'enorme forza della relazione Stati Uniti-Israele si riflette nella stretta collaborazione tra i nostri governi, e anche nei legami che collegano i popoli di Israele e degli Stati Uniti. I nostri legami politici, militari, economici, e sociali radicati riflettono i nostri valori comuni, gli interessi strategici e le dinamiche relazioni economiche e commerciali”. Un'intesa perfetta e a tutto campo.
Trump ha ribadito il “vincolo inscindibile” degli Usa con Israele, l'alleato contro lo Stato islamico e gli altri gruppi “terroristici” islamici che rendono insicuro il Medio Oriente; il paese che deve essere tutelato contro le “ambizioni nucleari dell’Iran“, che Trump considera niente affatto disinnescate dall'accordo firmato da Obama, e difeso financo dalle “unilaterali azioni ingiuste dell’Onu”, ovvero dalle corrette seppur inefficaci risoluzioni e pronunciamenti delle Nazioni unite e dei suoi organismi che condannano le palesi violazioni del regime sionista di Tel Aviv. Compresa quella che condanna l'occupazione di Gerusalemme tanto che ribadiva la volontà della sua amministrazione di “spostare l’ambasciata americana a Gerusalemme” annunciata già il 16 dicembre scorso dal nuovo rappresentante diplomatico Usa in Israele, David Friedman.
Nella conferenza stampa al termine dell'incontro Trump dava inoltre carta bianca al regime sionista per la soluzione al problema palestinese: “che la soluzione sia a uno o due Stati, quella che loro preferiscono”, l’importante è che sia pace, affermava Trump come se il coltello non fosse tenuto dalla parte del manico da Tel Aviv e le due parti fossero sullo stesso piano e potessero trovare una soluzione in negoziati diretti. In ogni caso Trump cancellava con un colpo di spugna la linea politica seguita dalle amministrazioni americane a partire dall’accordo di Oslo del 1993, quella dei “due Stati, due popoli”. Una soluzione pensata dall'imperialismo per garantire al più forte Stato sionista di giocare a proprio piacimento una partita che da allora lo ha portato a recingere Gaza e trasformarla in un lager e a occupare progressivamente la città di Gerusalemme e parti della Cisgiordania con lo sviluppo delle colonie.
Netanyahu e tutti i precedenti governi sionisti hanno costruito nel tempo la soluzione di uno stato ebraico che si espande sui territori palestinesi e che tratta come una popolazione di serie B quella araba in Israele. Già in Israele esiste quell'apartheid legalizzata che l'Olp ha subito bollato come inaccettabile nello Stato unico.
Saeb Erekat, segretario del comitato esecutivo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, affermava che l’alternativa alla soluzione a due Stati è “l’apartheid“ mentre Hanan Ashrawi del Comitato esecutivo dell’Olp sosteneva che “spieghino con chiarezza di quale alternativa parlano. L’alternativa alla soluzione a Due Stati è o uno Stato unico con eguali diritti per tutti (ebrei e palestinesi, ndr) o l’apartheid”. Se non altro la sparata di Trump ha fatto tornare di attualità la soluzione dello Stato unico o binazionale, necessariamente con pari diritti per tutti, sostenuto non più da una ininfluente minoranza tra i palestinesi e da una parte dei progressisti israeliani.
Considerando che l'unica contestazione fatta da Trump all'ospite riguardava l'invito al governo di Tel Aviv di non eccedere nella costruzione delle colonie in Cisgiordania, con l’esecutivo israeliano che recentemente ha dato il via libera alla costruzione di oltre 6mila case negli insediamenti a Gerusalemme Est e in Cisgiordania e approvato la legge per mettere in regola 4mila case già costruite, può con ragione Netanyahu commentare l'incontro con le parole: “Israele non ha alleato migliore degli Stati Uniti e gli Stati Uniti non hanno alleato migliore di Israele”.

22 febbraio 2017