Col ddl sull'attuazione del “Libro bianco della Difesa”
Il governo Gentiloni rafforza la politica militare interventista dell'imperialismo italiano in connessione con quella dell'UE e della Nato
Aperte le porte delle Forze armate ai privati; coinvolti “l'industria e il mondo universitario e della ricerca”. Maggiori poteri al Capo di Stato maggiore. Con la centralizzazione del comando militare nasce il “Pentagono” italiano
Fatti a pezzi gli articoli 11 e 52 della Costituzione

Il 10 febbraio, su proposta della ministra Pinotti, il Consiglio dei ministri del governo Gentiloni ha approvato un disegno di legge per la “riorganizzazione dei vertici del Ministero della difesa e delle relative strutture”, insieme ad un pacchetto di deleghe al governo stesso per la “revisione del modello operativo delle Forze Armate”. Il provvedimento del Cdm è volto ad attuare le linee guida del Libro bianco della Difesa, il progetto strategico e organizzativo militare che fu approvato dal Consiglio supremo di difesa presieduto da Mattarella il 21 aprile 2015, a completamente di un lungo lavoro di elaborazione iniziato dal governo Monti e portato a termine dalla stessa Pinotti su incarico del governo Renzi.
Ora è stato fatto quindi un altro importante e decisivo passo avanti verso la sua piena e concreta attuazione. Eppure ciò è stato completamente ignorato e passato sotto silenzio dai mass-media di regime, tanto che persino i movimenti antimilitaristi, pacifisti e di difesa della Costituzione, se si eccettua un intervento di Pax Christi che qui pubblichiamo, non ne hanno registrato la novità e la gravità.
Ricordiamo che cos'è il “Libro bianco della Difesa”: esso disegna il nuovo “modello di difesa” e il nuovo modello di esercito professionale interventisti indispensabili a supportare le nuove ambizioni dell'imperialismo italiano. Un esercito cioè che da diversi decenni ormai non ha più nulla a che vedere col vecchio modello dei tempi della “guerra fredda”, preposto essenzialmente alla “difesa della patria” e basato sulla coscrizione di massa, ma che ha e vuole avere sempre di più una “postura” organizzativa e operativa atte ad intervenire fuori dai confini nazionali.

L'area Euro-mediterranea è “obiettivo prioritario”
Ciò in primo luogo nella tradizionale area euro-atlantica, che resta “una priorità assoluta per il Paese”, con la ribadita partecipazione dell'Italia alla Nato e al progetto di creazione di un esercito europeo, progetto che ha preso nuovo slancio con l'uscita della Gran Bretagna dalla Ue. Ma soprattutto nella nuova area di interesse strategico euro-mediterranea allargata, che si estende dall'intero Mediterraneo al Nord Africa e al Medio Oriente, e che arriva addirittura a comprendere le regioni del Sahel, del Golfo Persico e del Corno d'Africa, tradizionali direttrici storiche del colonialismo e dell'imperialismo italiani: la zona euro-mediterranea rappresenta infatti, secondo il documento della Difesa, “la principale area d'intervento nazionale” e “un obiettivo prioritario per il nostro Paese”, la zona per elezione in cui l'Italia può rivendicare, “in qualità di Nazione leader”, la guida delle operazioni militari internazionali di “pacificazione e stabilizzazione”.
É a questo scopo che il Libro disegna un esercito interventista meno numeroso ma ringiovanito negli effettivi, con un dimagrimento del personale militare e civile e un abbassamento dell'età media, per concentrare le risorse sull'ammodernamento tecnologico e dei sistemi d'arma, dell'addestramento e degli equipaggiamenti. E una catena di comando più efficiente e rapida, con ruoli ben distinti tra il livello politico e quello militare, rafforzando i poteri sia del ministro della Difesa che quelli del Capo di Stato maggiore generale, che esercita il comando di tutte le forze integrate di terra, mare e aria.
Una forza cioè altamente integrata, professionalizzata e armata fino ai denti, che garantisca la “utilizzabilità, sostenibilità e proiettabilità” necessarie per intervenire prontamente e dovunque per assicurare la “tempestiva tutela degli interessi vitali nazionali”. Cioè tutela militare contro tutto ciò che può minacciare gli interessi nazionali, da qualunque regione e conflitto provengano tali minacce: dal terrorismo internazionale ai “flussi incontrollati di rifugiati”, dall'instabilità politica ai conflitti locali che rischiano di compromettere approvvigionamenti di merci e vie di comunicazione vitali per la nostra economia. Non è un caso che al concetto di “difesa della patria”, sancito nell'articolo 52 della Costituzione, il Libro sostituisca quello di difesa del “sistema Paese”, intendendo con ciò tutto quel che può riguardare il ruolo e le ambizioni economiche, politiche, geo-strategiche e militari dell'imperialismo italiano nel consesso mondiale.

La Costituzione rimpiazzata dall'Ordinamento militare
Ma è anche l'articolo 11 della Carta ad essere definitivamente stracciato e cancellato da questa controriforma. Non per nulla viene richiamato nel Libro solo per citare, peraltro in forma strumentale e distorta, la sua seconda parte, quella che si riferisce alla promozione delle organizzazioni internazionali volte ad assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni. Mentre invece, per definire i compiti delle forze armate si fa riferimento solo agli articoli 88 e 89 del decreto legislativo n. 66 del 15 marzo 2010, che istituisce il Codice dell'ordinamento militare. Nel primo articolo “lo strumento militare” è definito come “volto a consentire la permanente disponibilità di strutture di comando e controllo di Forza armata e interforze, facilmente integrabili in complessi multinazionali, e di unità terrestri, navali e aeree di intervento rapido, preposte alla difesa del territorio nazionale e delle vie di comunicazione marittime e aeree; è finalizzato, altresì, alla partecipazione a
missioni anche multinazionali per interventi a supporto della pace”.
E nel secondo si definisce come suo “compito prioritario la difesa dello Stato”, nonché la “realizzazione della pace e della sicurezza in conformità alle regole del diritto internazionale e alle determinazioni delle organizzazioni internazionali delle quali l'Italia fa parte”. E si dice anche che “le Forze armate concorrono alla salvaguardia delle libere istituzioni e svolgono compiti specifici in circostanze di pubblica calamità e in altri casi di straordinaria necessità e urgenza”.
Dunque sparisce ufficialmente il principio del ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali, sostituito dall'istituzionalizzazione delle missioni di guerra all'estero per imporre con la forza militare la “pace” e la “sicurezza” imperialiste. La difesa dei confini nazionali, che era il solo compito delle forze armate stabilito dagli articoli 11 e 52, diventa una subordinata rispetto alla partecipazione ad alleanze imperialiste come Nato e Ue e alla difesa degli “interessi nazionali” su scala internazionale. E per di più si apre la strada ad un impiego dell'esercito in chiave golpista, per la “difesa dello Stato” e la “salvaguardia delle istituzioni” borghesi, nonché per altri non meglio precisati impieghi di “necessità e urgenza”.

Il ddl sulla sulla nuova “governance” militare
Il ddl governativo opera, secondo le linee guida del Libro, tutta una serie di modifiche al suddetto Codice dell'ordinamento militare per realizzare il nuovo modello di “governance” di un tale esercito interventista e golpista. Cominciando con l'ampliare i poteri del ministro della Difesa, che oltre a dettare come prima le direttive in materia di politica militare, informativa, di sicurezza, tecnico-amministrativa ecc., si occuperà anche delle politiche industriali, di sviluppo e impiego dello strumento militare e delle politiche per il personale. E in questo quadro potrà contare su speciali leggi di finanziamento approvate ogni sei anni, anziché con le leggi di Bilancio annuali come per tutti gli altri ministeri.
Parallelemente vengono ampliati anche i poteri del Capo di Stato maggiore della Difesa (CASMD), che assume il comando di tutte le forze, ma non più come comandante interforze bensì come capo di una forza militare integrata, anche nel caso dell'impiego di una sola arma. In ciò avvalendosi anche di un Vice comandante per dirigere le operazioni sul campo, nonché di un Comitato di vertice delle Forze armate, che presiede, e di cui fanno parte, oltre al suo Vice comandante, anche i Capi di stato maggiore delle varie armi, il Segretario generale della Difesa (adesso non più di nomina militare ma civile, quindi rispondente direttamente al governo) e la nuova figura del Direttore nazionale degli armamenti e responsabile per la logistica, che può essere sia di provenienza militare che civile.
Si sono creati così tutti i presupposti per la realizzazione di quel “Pentagono italiano” che accentri l'intera catena di comando politica e militare sul modello americano, sognato dalla guerrafondaia Pinotti, come lei ha confermato il 1° marzo scorso in una compiacente intervista al megafono ufficioso del governo, La Repubblica : “Lo stiamo già progettando”, ha annunciato trionfante la ministra, spiegando di aver già trasferito nell'area di Centocelle dove è già presente il Coi (il Comando operativo che gestisce tutte le missioni all'estero e in Italia) i 1500 uomini della Direzione generale degli armamenti. “E lì si è pensato di costruire la struttura con i vertici di tutte le forze armate”, compresa di strade e infrastrutture, ha aggiunto, già immaginando di diventare, a controriforma realizzata, come il segretario alla Difesa Usa, che è appunto anche il capo del Pentagono.

Le deleghe al governo per l'attuazione del progetto
La seconda parte del provvedimento del Cdm definisce le deleghe al governo per “la revisione del modello operativo delle Forze armate”, ossia l'attuazione concreta mediante decreti legislativi sottratti all'approvazione del parlamento, non solo del nuovo modello di “governance”, con la ridefinizione della catena di comando, la riduzione dei livelli gerarchici, i poteri del CASMD, l'integrazione interforze, ecc.; ma anche la realizzazione pratica in tutti i suoi aspetti del nuovo modello di esercito professionale interventista, a cominciare dalle misure volte a realizzare “un sistema di gestione dei livelli di prontezza e approntamento delle forze... che risponda a criteri di utilizzabilità, proiettabilità, integrabilità e sostenibilità”. Puntando in particolare sulla “proiezione” navale ed aerea, la trasferibilità rapida delle forze sui teatri di guerra, anche “tramite vettori civili”, il rafforzamento dei corpi speciali, e così via.
Tali aspetti concernono anche il completamento del piano di riduzione del personale a 150 mila militari e a 20 mila civili, caricandone i costi sulla spesa pubblica con prepensionamenti e reinserimenti in altre amministrazioni dello Stato, e l'abbassamento dell'età media dei militari, riducendo il limite massimo per l'arruolamento a 22 anni: si cerca di attirare i giovani col miraggio di una formazione altamente specializzata da far valere per il reinserimento nella vita civile, anche prevedendo corsie privilegiate rispetto agli altri giovani e coinvolgendo a supporto anche le amministrazioni locali. Puntando anche a ridurre i contratti a tempo indeterminato e aumentare la ferma breve con contratto a tempo determinato, che aumenterebbero dall'attuale 18% al 40% del totale.
In questo quadro si prevede anche “l'accesso di personale civile ai percorsi formativi militari”, in particolare di studenti universitari e tecnici specialistici, “anche tramite strutture aziendali esterne”. Si punta cioè a coinvolgere l'industria privata e il mondo universitario nel nuovo modello di forze armate, con “specifici accordi con gli atenei”, per stage e contratti a tempo indeterminato per i ricercatori; e viceversa per l'assorbimento di personale militare da parte dell'industria privata. Si vuole arrivare insomma ad una vera e propria militarizzazione del mondo della ricerca scientifica, che dovrà interagire “direttamente e assiduamente” con le strutture militari; e viceversa si aprono le porte dell'apparato militare agli interessi dell'industria privata e delle lobby degli armamenti, esattamente come già avviene negli Usa.

L'industria delle armi non si tocca
A questo proposito, in barba alle rivendicazioni popolari per ridurre la produzione statale di armi e cessarne le esportazioni, l'industria militare viene definita dal Libro bianco un “pilastro del sistema Paese”, che accresce il nostro livello di ambizione internazionale”, “crea posti di lavoro” e “riequilibra la bilancia commerciale”. L'industria degli armamenti è quindi intoccabile per la guerrafondaia Pinotti e per il governo, e va addirittura incrementata, prevedendo l'integrazione tra il piano nazionale di ricerca militare e il piano della ricerca nazionale. Anzi, si sottolinea che “sarà esplorata la possibilità che l'industria possa assorbire alcune strutture tecnico-industriali della Difesa e, grazie a specifiche norme, il relativo personale”.
Anche se la realizzazione di questo disegno fascista, militarista e interventista è legata alla incerta sorte del governo Gentiloni e della legislatura, occorre che i movimenti antimperialisti, antimilitaristi e pacifisti prendano rapidamente coscienza della sua estrema pericolosità antidemocratica e guerrafondaia e si mobilitino per sventarlo. Intanto il miglior modo per farlo è buttare giù tutti insieme e con la lotta di piazza il governo Renzi-Gentiloni che lo ha concepito e lo sta portando avanti.
 
 
 
 
 
 
 

8 marzo 2017