Scandalo Consip sugli appalti di Stato
È Renzi il primo che deve dare spiegazioni
Oltre a suo padre Tiziano, il suo fidatissimo amico Lotti, il suo alleato Verdini, il comandante dei carabinieri Del Sette e il generale dei carabinieri Saltalamacchia
Il ministro Lotti deve dimettersi

L'arresto dell'imprenditore Alfredo Romeo, accusato di corruzione e ritenuto dalla procura di Napoli il "capofila" della "holding criminale" che agiva all'interno del Consip per accapparrarsi “a suon di tangenti” i bandi milionari; gli interrogatori, le perquisizioni, i sequestri e gli accertamenti svolti nelle settimane scorse dalla procura di Roma a carico degli indagati, svelano intorno allo scandalo Consip uno scenario corruttivo “ad altissimo livello” che convolge direttamente il governo e tutto il cosiddetto giglio magico renziano. A cominciare dall'ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e attuale ministro dello Sport Luca lotti, braccio destro dell'ex premier e segretario dimissionario del PD Matteo Renzi e da suo padre, Tiziano Renzi; dall’imprenditore farmaceutico di Scandicci (FI), amico di Romeo e sodale dei Renzi, Carlo Russo all'ex parlamentare di An e del Pdl, Italo Bocchino, consulente personale di Romeo; dal dirigente Consip, Marco Gasparri al comandante generale dell'Arma dei carabinieri Tullio Del Sette fino al comandante della Legione Toscana dei carabinieri Emanuele Saltalamacchia: tutti indagati a vario titolo per corruzione, rivelazione di segreto di ufficio, favoreggiamento e traffico di influenze illecite.

Il ruolo di Bocchino
Nell'ordinanza di arresto il Gip Gaspare Sturzo dedica ampio spazio al ruolo svolto da Bocchino definito "il 'facilitatore' degli interessi illeciti di Romeo" o il "lobbista dedicato al traffico illecito di influenze" con la capacità di "accedere a informazioni riservate anche grazie al suo trascorso di deputato e membro del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti e con perduranti contatti con sedicenti ed effettivi appartenenti all'intelligence, nonché con politici e pubblici funzionari in posizione apicale". E "presumibilmente anche grazie alla costante attività di relazione" di Bocchino, scrivono i Pm napoletani, Romeo "ha avuto contezza di indagini sul proprio conto sicuramente già dal settembre 2016".
Romeo addirittura giustifica la sua attività corruttiva all'interno di Consip come una forma di "legittima difesa" alla luce di "analoghe modalità" adottate dai suoi concorrenti che "a suon di tangenti" e attraverso la "ricerca di appoggi all'interno dell'alta politica" si contendevano l'aggiudicazione degli appalti.

Renzi, Gasparri e Russo a libro paga
Mentre il dirigente Consip Marco Gasparri, definito da Romeo il "prototipatore", ha letteralmente "venduto la sua funzione" di pubblico ufficiale all'imprenditore campano per un ammontare di circa 100 mila euro dal 2012 al 2014 favorendolo illecitamente nell'aggiudicazione degli appalti pubblici Consip primo fra tutti la maxi-gara europea FM4 da 2,7 miliardi, ancora in corso.
Secondo l'accusa anche Carlo Russo e Tiziano Renzi “si facevano promettere indebitamente da Alfredo Romeo utilità a contenuto economico, consistenti nell’erogazione di somme di denaro mensili (si parla di circa 30 mila euro al mese ndr) come compenso per la loro mediazione verso Marroni”.

“Pizzini e mattonelle”
A provare i pagamenti illeciti ci sono anche i famigerati 'pizzini' utilizzati da Romeo per non farsi intercettare recuperati dalla spazzatura e ricomposti dagl inquirenti e soprattutto le intercettazioni fra cui una in cui Romeo e Russo parlano di quello che i Pm definiscono il “metodo della mattonella”, ovvero il pagamento in nero e in contanti delle tangenti. Russo dice di non avere problemi coi pagamenti estero su estero, mentre Romeo risponde che si fida solo di versamenti in contanti. A un certo punto della conversazione, poi, Romeo chiede a Russo se “il dottore” aveva “apprezzato l’atto”. Per i magistrati queste parole potrebbero essere il segno che il pagamento sia effettivamente avvenuto: per loro quel “dottore”sarebbe Tiziano Renzi, mentre “l’atto” sarebbe il pagamento della mazzetta.

“Interventi politici ad altissimo livello”
Nel corso dei suoi interrrogatori davanti ai Pm di Napoli e Roma Gasparri ha anche parlato del tentativo di Romeo di imbastire una versione di comodo per sviare le indagini e ha spiegato per filo e per segno il suo ruolo nel cosiddetto “sistema Romeo”.
“Essendo io funzionario della Consip e dirigente dell’ufficio che predisponeva i capitolati – ha rivelato Gasparri – sapevo esattamente come dovevano essere fatte le offerte tecniche. Romeo aveva un ufficio tecnico inadeguato – ha detto ancora Gasparri – e io essendo uomo della Consip gli davo le indicazioni utili per la predisposizione dell’offerta tecnica” che, ha aggiunto, “sapevo esattamente come doveva essere fatta”. Il manager pubblico, inoltre, ha spiegato anche i rapporti di Romeo coi vertici governativi e parlamentari: “Mi disse che il suo intento di ‘avvicinare’ i vertici di Consip si erano realizzati attraverso ‘interventi politici ad altissimo livello'”.
A pagina 15 dell’ordinanza gli inquirenti riportano le testuali parole di Gasparri: “Romeo mi disse che aveva fatto un intervento sui vertici della Consip attraverso il massimo livello politico, non mi disse il politico o i politici sui quali era intervenuto, ma mi disse che si trattava del livello politico più alto; in proposito mi chiese se avevo registrato a seguito di tale suo intervento, un cambiamento di atteggiamento dell’ad di Consip Marroni nei suoi confronti”.
Dunque “La forza corruttiva di Romeo – scrive il Gip nell'ordinanza di arresto – è ampliata dalla sua conclamata ‘rete’ di conoscenze istituzionali ‘ad altissimo livello’, conoscenze che, all’evidenza, utilizza in modo spregiudicato per orientare a suo vantaggio l’agire della pubblica amministrazione“. Una forza corruttiva che è tutt'ora in vigore e che quindi “giustifica l’adozione della misura cautelare di massimo rigore”.

I tentativi di insabbiare l'inchiesta
Dalle indagini, scrive il Gip, è emerso un "gravissimo quadro di possibile infiltrazione criminale in Consip, almeno quanto ad alcune gare". Quadro grave che era emerso già nel 2016 in seguito ad una ispezione dell'Anac che aveva evidenziato criticità relative in particolare agli appalti per il Facility Management FM3 ed FM4: per questo l'Autorità Anticorruzione aveva inviato gli atti alla Procura di Roma.
L'inchiesta, iniziata a Napoli e poi trasferita a Roma per la parte inerente le indagini sul Consip, è stata fortemente danneggiata da una doppia soffiata del ministrto Lotti e del generale Saltalamacchia che hanno convinto l’ex direttore dell’Asl di Firenze, Luigi Marroni, grande amico dei Renzi e perciò premiato nel 2015 con la poltrona di amministratore delegato della Consip, a effettuare una bonifica e ripulire i suoi uffici dalle microspie piazzate dalla procura.
Davanti ai giudici Marroni ha aggiunto di essere stato avvertito dell’indagine e della presenza di microspie negli uffici Consip anche dal presidente di Consip Luigi Ferrara, che a sua volta era stato informato dal comandante Tullio Del Sette.
Ma la cosa più inquietante riguarda il “pensionamento” forzato di Giovanni Colangelo, procuratore di Napoli fino al 17 febbraio scorso, che, alla luce di quanto successo, ha tutto il sapore di una punizione per aver osato indagare sui sporchi intrallazzi corruttivi del giglio renziano. Un “pensionamento” arrivato inesorabile nonostante l’impegno iniziale del governo a mantenere in servizio, almeno fino alla fine dell’anno, i capi degli uffici minori. Invece per Colangelo, prima è arrivata la bocciatura istituzionale e poi addirittura anche quella politica del PD che in commissione Giustizia ha sostituito i due esponenti dem favorevoli alla sua proproga in servizio. In una intervista a la Repubblica del 7 marzo Colangelo fra l'altro sottolinea che: “c’è stato un trattamento differenziato tra magistrati e magistrati. Che ha prodotto un danno per alcuni uffici giudiziari... Fa riflettere il dato che il 5 dicembre 2016 Renzi senior viene intercettato, e il 7 un autista avverte Russo che non deve più chiamare Babbo... Non voglio aggiungere nulla. La sequenza di date è corretta”.

Torna l'ombra di Verdini
Marroni nell' interrogatorio del 20 dicembre scorso ha rivelato fra l'altro che Russo in occasione dei tre incontri avuti negli uffici romani della Consip gli ha chiesto in modo pressante per conto Tiziano Renzi di favorire una società segnalata da Denis Verdini, ricordandogli più volte che la sua promozione in Consip era avvenuta proprio grazie ai buoni uffici di Tiziano Renzi e di Verdini i quali potevano revocargli l'incarico in qualsiasi momemento qualora Marroni non avesse accettato di pilotare gli appalti in loro favore.
Le dichiarazioni di Marroni lasciano dunque intravvedere un ulteriore sodalizio corruttivo fra Tiziano Renzi e Denis Verdini che si muovono da vero e proprio gruppo di pressione all'interno del Consip per decidere come e con chi spartirsi gli appalti milionari.
Marroni infatti ha raccontato ai magistrati che nel marzo del 2016 Tiziano Renzi in persona gli chiese un incontro riservato, effettivamente avvenuto - a suo dire - in piazza Santo Spirito a Firenze. Il numero uno della Consip ammette con gli inquirenti che il papà dell’allora premier gli avrebbe chiesto in quel frangente di “accontentare” le richieste di Russo, perché persona di sua fiducia. Tiziano stesso avrebbe presentato l’amico imprenditore all’ad di Consip durante un primo incontro avvenuto qualche tempo prima. Marroni aggiunge pure che, di fronte alle sollecitazioni, lui non si è mai piegato. Avrebbe ascoltato con pazienza gli interlocutori, senza però dare seguito a nessuna delle richieste.
In realtà Marroni è “amico di vecchia data” anche di Verdini il quale, a fine 2015, tramite il parlamentare di Ala Ignazio Abrignani ha chiesto all'ad di Consip di «intervenire» per favorire il colosso francese Cofely, capofila di un raggruppamento di imprese che avrebbe vinto (in via provvisoria) un numero di lotti assai maggiore rispetto a quelli ottenuti da Romeo. Secondo Marroni, Abrignani parlava proprio per conto di Verdini. Il senatore avrebbe voluto che Marroni si adoperasse affinché Cofely si aggiudicasse un lotto in particolare: quello, strategico, di Roma Centro, che comprende i servizi di Palazzo Madama, Palazzo Chigi, ministeri importanti come il Viminale e la Giustizia e il Quirinale. Una gara periodica che nel 2011 era stata aggiudicata a Romeo, mentre il nuovo bando, anche se solo in via provvisoria, è stato assegnato proprio a Cofely. Marroni sostiene che dopo la visita di Abrignani non fece assolutamente nulla, limitandosi a informarsi dai commissari di gara su come stava procedendo il bando. Risposta della commissione: «Cofely sta andando bene».

Il sodalizio Renzi-Verdini
Una sequenza di corruttele a dir poco inquietante che ha come protagonisti ministri, parlamentari, familiari, “amici” e “facilitatori” legati a doppio filo all’ex presidente del consiglio Matteo Renzi che a suon di minacce, pressioni e promesse avevano allungato le mani sulla grande torta degli appalti pubblici Consip.
Del resto non è la prima volta che la famiglia Renzi e Verdini si trovano a fare affari insieme. L'ex boss di Forza Italia poi diventato senatore di Ala e stampella del governo Renzi, è imputato in vari processi per truffa allo Stato, bancarotta, associazione a delinquere e altri reati assortiti, qualche giorno fa per la vicenda della “sua banchina”, il Credito cooperativo fiorentino, è stato condannato a 9 anni di carcere a fronte degli 11 chiesti dal Pm.
L'amicizia fra i Renzi e Verdini è nota sin da quanto da editore del “Il Giornale della Toscana”, il “Cittadino di Siena” e “Metropoli” Verdini si affida anche a una società distributrice, la Chil Post , al tempo di proprietà di Tiziano Renzi che già nel 2014 è stato indagato a Genova per bancarotta fraudolenta.
Senza dimenticare che fu sempre Verdini a fare da garante al “patto del Nazareno” tra Renzi e Berlusconi che portò alla defenestrazione di Letta e alla conquista di Palazzo Chigi da parte del nuovo duce di Rignano.
Di fronte a fatti così gravi e compromettenti la facoltà di non rispondere ai giudici di cui si sono avvalsi tutti gli indagati che fanno parte del giglio magico renziano dovrebbe essere immediatamente revocata e il primo a dover cominciare a dare spiegazioni su torbidi intrallazzi corruttivi del Consip e sugli ‘interventi politici ad altissimo livello'” di Romeo per accaparrarsi i relativi appalti dovrebbe essere proprio l'allora presidente del Consiglio Mateo Renzi.
Sono tante le domande a cui Renzi e i suoi fedelissimi dovrebbero dare risposte esaurienti non tanto sul piano penale, su cui speriamo la magistratura vada fino in fondo, quanto sul piano politico e morale. A cominciare dalle dimissioni del suo braccio destro, il ministro Lotti.

8 marzo 2017