Trump invia i marines in Siria. Accordo tra Usa, Russia e Turchia per l'assalto a Raqqa
Anche forze siriane e curde partecipano alla conquista della capitale dello Stato islamico. Per ora non si sa quale merce di scambio abbia ottenuto la Turchia

Il presidente americano Donald Trump ha perentoriamente ripetuto nei suoi interventi di voler “sradicare” lo Stato islamico (IS) e il 9 marzo, anticipata da notizie rivelate dal Washington Post e dalla rete televisiva Cnn, è arrivata la conferma dell'attuazione di questa parte del suo programma di politica estera: il colonnello John Dorrian, portavoce del Operation Inherent Resolve (Oir), come è stata battezzata l'operazione militare a guida Usa contro l'IS, ha confermato che il presidente ha dato disposizione per l'invio di un contingente di soldati in Siria in posizioni combattimento. Già sotto l'amministrazione Obama nel paese erano stati inviati alcune centinaia di militari americani, in veste ufficiale di istruttori delle Forze Democratiche Siriane (Sdf) composte per la maggior parte dalle forze curde della Rojava, anche se erano state notate in linea di combattimento nell'offensiva su Raqqa; Trump non si fa scrupoli e decide di partecipare in prima linea alla “liberazione” di Raqqa.
"Si tratta di circa 400 uomini, tra marines e rangers, impiegati a titolo temporaneo", precisava Dorrian che opereranno in coordinamento con gli alleati siriani della coalizione delle Fds e delle forze Arabo siriane, leggi quelle legate alla Turchia, e che "non saranno schierate sulla linea del fronte". Almeno un altro migliaio di marines saranno spostati dalle navi che girano attorno allo scenario di guerra siriano nelle basi di terra in Kuwait, pronte ad intervenire.
Lo sviluppo dell'intervento diretto dell'imperialismo americano in Siria per sconfiggere l'IS era previsto nel piano consegnato dal segretario alla Difesa James Mattis al presidente Trump alla fine di febbraio. Il sostegno diretto dei soldati americani alle forze curde e arabe della Fds diventava necessario per stringere l'assedio su Raqqa in atto da mesi e piegare la resistenza dell'IS che era riuscita a contrattaccare su Palmira. Secondo le fonti americane i difensori della capitale dello Stato islamico sarebbero tra i 4 e gli 8 mila e tengono testa agli oltre 30 mila uomini delle Fds che di recente hanno ricevuto i mezzi blindati leggeri Gurkha di fabbricazione canadese ma per le pressioni di Ankara non sono stati forniti di armi pesanti. Diventano indispendabili quindi i reparti di artiglieria dei marines, dotati di cannoni da 155 millimetri che sarebbero stati schierati nella zona di Ain Issa a 40 chilometri a Nord di Raqqa e a circa 25 chilometri dalla prima linea difensiva fdella città. All'artiglieria americana il compito di demolire la line difensiva e permettere l'attacco alla fanteria curda; una tattica già sperimentata con successo dalle forze imperialiste nell'offensiva in corso su Mosul in Iraq.
L'escalation dell'intervento militare in Siria deciso da Trump riporta l'imperialismo americano in un ruolo attivo sul campo e lo fa uscire dalla marginalità cui l'aveva confinato Obama e l'iniziativa militare e diplomatica dell'imperialismo russo in accordo con le ambiziose potenze egemoni locali Turchia e Iran. Trump non ha chiesto autorizzazioni né al Congresso Usa e tantomeno all'Onu, probabilmente neanche al regime di Damasco, pur passando necesariamente dall'intesa col padrino russo. Se Trump vince o partecipa da vincitore alla corsa per la “liberazione” di Raqqa può occupare quella parte di Siria orientale e partecipare alla spartizione del paese.
La decisione di dare il via a quello che sembra l’attacco finale a Raqqa è stata presa presumibilmente nel vertice del 7 marzo ad Antalya, in Turchia, fra i capi di Stato maggiore turco, russo e americano. I generali turco Hulusi Akar, l'americano Joseph Dunford e il russo Valery Gerasimov si sono incontrati per discutere “questioni di interesse comune relative alla sicurezza regionale, in particolare in Siria e Iraq”. Certamente degli sviluppi delle operazioni militari in Siria nell'offensiva su Raqqa ma anche della gestione della situazione critica che si registra per il controllo delle due città strategiche di al Bab e Manbij, nella provincia di Aleppo. Per la prima volta i vertici dei due più potenti eserciti della Nato e della Russia si sono ritrovati per pianificare una operazione militare, unitti contro lo Stato islamico.
Verso Raqqa si stanno dirigendo anche le forze governative siriane appoggiate dai reparti speciali russi ma il regime di Bashar al-Assad sembra non avere più le forze per recuperare il controllo di tutto il territorio siriano e potrebbe accontentarsi, o essere convinto dai protettori russi ad accontentarsi, di controllare la Siria occidentale. In cambio Damasco ha ottenuto l'avallo per impossessarsi della centrale dell’acqua che rifornisce Aleppo, vicino all’Eufrate, e ha mandato i suoi soldati nella zona di Manbij, la città controllata dai curdi ma rivendicata dalle forze dell'Esercito libero siriano (Fsa, nella sigla inglese) e da Ankara.
Il presidente turco Erdogan ha affermato più volte di voler sloggiare i curdi dalla città e a poca distanza, nella città di al Bab, ha schierato 4 mila uomini e un centinaio fra tank e blindati, ufficialmente a sostegno dei 4 mila uomini del Fsa. Ai primi di marzo le forze del Fsa si sono socntrate in varie occasioini con quelle urde del Fds. L'arrivo in zona dei soldati di Assad e di reparti dei rangers americani che il 5 marzo sfilavano coi blindati per le vie di Manbij hanno al momento calmato le acque nella retrovia dell'offensiva su Raqqa e bloccato la partecipazione turca all'attacco verso la capitale dello Stato islamico.
Per ora non si sa quale merce di scambio abbia ottenuto la Turchia. Il 9 marzo da Ankara il portavoce del presidente Erdogan si limitava a ribadire che i curdo-siriani dovrebbero abbandonare Manbij per ritirarsi a est del fiume Eufrate "come promesso" e che al momento "non è stato deciso alcun piano operativo" per Raqqa. Il colonnello americano Dorrian rispondeva che “il ruolo dei turchi è un punto di discussione sia a livello militare che diplomatico. Ci siamo sempre detti aperti a un ruolo per la Turchia nella liberazione di Raqqa. Continueremo la discussione fino a una qualsiasi purché logica conclusione”. Evidentemente l'imperialismo americano continua a tenere il piede in due staffe, appoggiando le Fds che subiscono gli attacchi dell’esercito turco nel nord del paese senza scaricare l'importante partner Nato che vuole l’esclusione dei curdi dall’operazione su Raqqa e dal futuro della Siria. La resa dei conti è giocoforza rinviata, la guerra allo Stato islamico al momento ha la precedenza.

15 marzo 2017