A proposito della proposta dell'Ufficio politico del PC sull'“Unità comunista”

Con un documento del 22 febbraio 2017, dal titolo “Unità comunista. I punti della discussione”, l'Ufficio politico del Partito Comunista di Marco Rizzo (PC) mette in campo la proposta dell'unità “dei comunisti realmente marxisti-leninisti”. Richiamandosi infatti all'ultima parte del documento approvato dai delegati del suo II Congresso, la proposta dell'UP esorta il partito a “levare in alto la parola d'ordine dell'unità invitando ad un cammino comune con tutti quei compagni che si pongono su questo terreno. Aumentando le iniziative di discussione e dibattito, non temendo il confronto, ma valorizzando nella dialettica delle posizioni le prospettive concrete di avanzamento. L'unità è nulla se ad essa non corrisponde unità ideologica e di visione strategica”.
Messa così la proposta è corretta e condivisibile a livello di principio. Anche il PMLI è da sempre favorevole all'unità dei sinceri comunisti e a promuovere a questo scopo un confronto dialettico e senza pregiudizi con i militanti dei partiti che si richiamano al marxismo-leninismo e al socialismo. Così come sono condivisibili in linea di principio alcuni dei 10 punti strategici indicati dal documento come base della discussione, quali ad esempio il punto 2: “centralità dell'analisi leninista dell'imperialismo”; il punto 3: “necessità di abbandonare ogni illusione sulla riformabilità della UE”; il punto 10 che afferma di “dichiarare con chiarezza che il fine dei comunisti è il rovesciamento del sistema capitalistico e la costruzione del socialismo, e operare coerentemente con questa dichiarazione”.
Tuttavia occorre dire con altrettanta chiarezza che essere d'accordo con queste affermazioni di principio è condizione necessaria ma non sufficiente per poter impiantare un sincero dibattito sull'unità dei “Comunisti realmente marxisti-leninisti”. Per poterlo iniziare c'è una condizione irrinunciabile a cui chi vuol partecipare non può non sottostare, ed è quella di fare un serio bilancio critico e autocritico della storia del movimento operaio, del PCI e del revisionismo, e anche un bilancio autocritico della propria storia politica personale.
Se siamo d'accordo che oggi il proletariato italiano ha solo una coscienza di classe in sé ed ha perso la coscienza di classe per sé, e che la colpa è del lungo processo di deideologizzazione, decomunistizzazione e socialdemocratizzazione da parte dei dirigenti revisionisti del PCI e dei loro successori, allora occorre andare fino in fondo nell'analisi del revisionismo e capire quali sono state le sue origini e come ha potuto portare alla situazione attuale. Ma non si può arrestare questa analisi solo fino a Togliatti, come fa Rizzo, anzi solo fino al Togliatti dell'VIII Congresso del 1956, quello della “via italiana al socialismo”, per individuare le radici del grande inganno del revisionismo ai danni del proletariato italiano.

Manca un bilancio critico e autocritico del revisionismo
In ltalia il revisionismo non è apparso improvvisamente nel 1956, ma è sempre stato presente nel vertice del PCI in forma più o meno camuffata fin dalla sua fondazione. Infatti il PCI non è mai stato un partito autenticamente marxista-leninista, già a partire dalla prima direzione settaria e opportunista di “sinistra” di Bordiga, seguita nel '24 da quella revisionista di destra di Gramsci, e poi quella di Togliatti, altro revisionista che solo per opportunismo si professava ligio al marxismo-leninismo e a Stalin, finché questi era ancora vivo, uscendo allo scoperto solo dopo la svolta di Salerno.
Il XX Congresso del PCUS, con cui il revisionismo kruscioviano ha preso il potere in URSS ripudiando Stalin, il marxismo-leninismo e il socialismo, ha solo accelerato il disegno revisionista e socialdemocratico sempre covato da Togliatti, venuto compiutamente alla luce non a caso proprio quell'anno con l'VIII Congresso del PCI. Dire che il PCI degli anni del dopoguerra era realmente un partito comunista, solo perché c'era la corrente di Secchia che rappresentava il marxismo-leninismo, mentre era solo una variante trotzkista e di “sinistra” del revisionismo togliattiano, e affermare che Gramsci era un autentico marxista-leninista tanto da ispirarsi ancora oggi al suo pensiero per “ricostruire” su quelle basi il partito comunista, significa non soltanto non fare un serio bilancio critico e autocritico della storia del PCI, ma addirittura difendere e continuare a portare avanti il revisionismo spacciandolo per marxismo-leninismo.
Ciò è talmente vero che al punto 8 del documento dell'UP del PC, dove si parla della “necessità di fare i conti con l'esperienza del movimento comunista del nostro Paese e in particolare con la storia del Partito Comunista Italiano”, per criticarne gli “errori” (sic), al fine appunto della “ricostruzione comunista”, tutta l'analisi critica di questa storia si riduce alla “condanna dell'eurocomunismo, dell'accettazione dell''ombrello della Nato', della politica del compromesso storico e della solidarietà nazionale, elementi centrali del processo di trasformazione del PCI in una forza socialdemocratica”. Ossia si restringe ulteriormente il revisionismo (parola che non a caso non è mai pronunciata) del PCI al periodo da Berlinguer in poi, salvando addirittura l'intero periodo togliattiano e quello successivo della segreteria di Longo.
C'è poi un altro ostacolo che pesa come un macigno e che va assolutamente rimosso per intavolare un serio dibattito sul revisionismo, ed è quello che il PC ignora completamente e volutamente la figura di Mao e il suo ruolo fondamentale, a livello nazionale e internazionale, nello smascheramento e nella lotta al revisionismo moderno e al socialimperialismo. Mao è non soltanto uno dei cinque Grandi Maestri del proletariato internazionale, colui che ha proseguito e sviluppato il marxismo-leninismo arricchendolo con l'analisi e la lotta al revisionismo nelle condizioni del socialismo, ma ha anche guidato personalmente la lotta in seno al movimento operaio internazionale al revisionismo kruscioviano, compresa la sua variante togliattiana, e al socialimperialismo sovietico. E non soltanto il PC ignora tutto ciò, ma nei suoi documenti e interventi arriva in pratica a considerare ancora socialista l'URSS fino alla sua dissoluzione nel 1991, cioè fino a comprendere l'intero periodo revisionista e socialimperialista iniziato col XX Congresso.
Ma non è tutto. Abbiamo detto che un serio dibattito tra marxisti-leninisti richiede anche un serio bilancio autocritico della propria storia personale, e Rizzo a tutt'oggi non l'ha mai fatto. Non ha mai spiegato per esempio, perché si sia iscritto al PCI revisionista nel 1981 per compiervi una lunga carriera, molti anni dopo dopo che Berlinguer aveva realizzato quella svolta socialdemocratica di cui parla il documento. E nonostante che un partito marxista-leninista, il PMLI, esistesse già da quattro anni, senza contare il decennio di preparazione precedente.
Sappiamo solo che dopo essere passato dal PCI revisionista al PRC trotzkista e al PdCI neorevisionista di Cossutta e Diliberto, ricoprendo sempre incarichi dirigenti e parlamentari (anche europei) di altissimo livello, ed essere stato espulso da questo partito nel 2009, si proclama improvvisamente marxista-leninista e fonda il suo movimento Comunisti sinistra popolare e poi il Partito Comunista. Tutto ciò senza uno straccio di autocritica sul suo passato revisionista, riformista e parlamentare, e senza spiegare come sia arrivato a questa “svolta”.

Proposta viziata da un'ambiguità di fondo
Questa proposta di dibattito per l'unità dei “Comunisti realmente marxisti-leninisti” a nostro avviso è perciò inficiata da un'ambiguità di fondo, e lo dimostra anche il punto 1 del documento, dove si afferma “l'autonomia politica dei comunisti e la totale indipendenza dai partiti che accettano come orizzonte il sistema capitalistico”, sottolineando che ciò comporta in pratica il “rifiutare ogni forma di alleanza elettorale con il Partito Democratico”, indipendentemente da chi guida il PD e “tanto a livello nazionale, quanto a livello regionale e locale”. Ci sembra infatti significativo che si ammetta implicitamente anche solo l'ipotesi di un'alleanza elettorale col PD, mentre non si dice che il PD del nuovo duce Renzi è oggi come oggi il principale partito della classe dominante borghese e nemico giurato dei lavoratori e delle masse popolari, e che va combattuto e distrutto come il governo Gentiloni che ne è l'espressione.
Questa ambiguità nasce dalla posizione elettoralista del PC, che è in contraddizione stridente con il succitato punto 10, e che è teorizzata nella tesi 49 del documento congressuale, laddove si afferma che “il Partito Comunista deve partecipare in ogni occasione possibile alle elezioni borghesi”, perché “sebbene aumenti l'astensione è innegabile che le elezioni siano ancora percepite a livello di massa come un momento importante della vita politica del Paese”, e perché “anche risultati deludenti sono meglio dell'assenza”.
Quindi, non solo il PC è politicamente indietro rispetto agli astensionisti di sinistra, ma si adopera per impedire che gli elettori di sinistra che ancora credono alle illusioni elettorali maturino una scelta astensionista restando invece ingabbiati nel riformismo e nelle istituzioni rappresentative borghesi, e allontanando con ciò la possibilità di una loro presa di coscienza della necessità del socialismo.
Con queste posizioni non è possibile costruire l'unità dei marxisti-leninisti, ma si finirebbe solo per per mettere ancora una volta i marxisti-leninisti insieme ai revisionisti e ai riformisti, continuando negli errori del passato. Il PMLI ha già fatto il bilancio della storia del revisionismo, separandosi nettamente da esso ancor prima della sua nascita. Prima di proporre l'unità dei marxisti-leninisti, ora lo faccia chi non lo ha mai fatto e continua a rimanere ambiguamente nella zona grigia del revisionismo e del riformismo.

29 marzo 2017