Vittoria della Cgil e dei precari
Il governo cancella i voucher per non soccombere al referendum

Venerdì 17 marzo il Consiglio dei Ministri ha varato un decreto legge ad hoc che prevede la soppressione dei tre articoli, 48, 49 e 50, del Jobs Act del 2015 riguardanti i buoni lavoro. Tali articoli sono riferiti alla “definizione e campo di applicazione”, sulla “disciplina del lavoro accessorio” e sul “coordinamento informativo a fini previdenziali”, cancellando di fatto i voucher. Un altro decreto dovrebbe contenere infine le norme che ristabiliscono la responsabilità tra committente e appaltatore/subappaltatore relativamente a quanto di spettanza ai lavoratori degli appalti: in questo modo si risponderebbe anche al secondo quesito dei referendum che la Corte costituzionale aveva già previsto per il prossimo 28 maggio.
Questo sembra essere l'epilogo dei referendum dopo che in un primo momento era stata messa a punto una proposta della commissione Lavoro della Camera che non sanciva l’abolizione totale dei buoni, bensì prevedeva che potessero utilizzarli solo le famiglie, per pagare lavoretti a ore come quelli delle colf e delle badanti, e le imprese senza dipendenti. In più fissava alcuni paletti rispetto alle categorie di lavoratori che le imprese avrebbero potuto pagare con i voucher. Proposta che però la Cgil aveva respinto al mittente con la motivazione che “i voucher sono uno strumento malato in sé” e ne chiedeva l'eliminazione. Successivamente il governo, smentendo se stesso, ne decideva la totale cancellazione.
La Camusso per ora è stata cauta poiché la decisione del governo dovrà essere tramutata in legge ma se verrà fatto un decreto nel quale si dà risoluzione ai quesiti referendari, sia sul tema dei voucher che degli appalti, “considereremo questo un grande risultato”. In effetti si tratterebbe di una vittoria della Cgil e dei precari che avevano raccolto 3,3 milioni di firme per i tre referendum poi ridotti a due per la decisione della Corte Costituzionale. Una sentenza contrastata quella della Consulta, dove alla fine prevalse la posizione del vecchio craxiano ora PD Giuliano Amato che capeggiava la cordata che ha giudicato, attraverso cavilli pretestuosi, incostituzionale il referendum per il ripristino dell'articolo 18.
Quella sentenza ha limitato una vittoria che poteva essere ancora più significativa ma la sconfitta dell'attuale governo e del suo manovratore Renzi appare comunque evidente. Gentiloni a tutti i costi non voleva soccombere un'altra volta com'era accaduto al nuovo duce per il referendum costituzionale del 4 dicembre. Chiare le parole del premier: “Lo abbiamo fatto nella consapevolezza che l'Italia non aveva bisogno di una campagna elettorale su temi come questi”. La vittoria del SÌ avrebbe quasi sicuramente fatto cadere il governo. A questo si deve aggiungere la battaglia per la segreteria del PD su cui i referendum avrebbero sicuramente interferito, facilmente strumentalizzabili dalle varie fazioni di quel partito per i propri giochi di potere. Per evitare tutto questo ha preferito la resa totale.
Questo non significa che la questione voucher e lavoro occasionale sia archiviata definitivamente, tutt'altro. Gentiloni ha assicurato che l'abolizione dei voucher “non ridimensiona ma conferma il nostro impegno per regolare in modo moderno e avanzato il mercato del lavoro” che tradotto vuol dire che le forme di lavoro precario non saranno ridotte ma estese. Da Palazzo Chigi sono arrivate rassicurazioni alle associazioni padronali sul fatto che i voucher saranno sostituiti dai mini jobs alla tedesca. Una forma di lavoro ancora più flessibile dei nostri contratti atipici e che in Germania riguardano più di 4 milioni di lavoratori. Tra le ipotesi circolate, un ritorno dei voucher per i lavori domestici e in generale per quelli con un datore privato. Poi, per le aziende, una soluzione in stile mini jobs. Più flessibile del lavoro a chiamata, nel senso che l'attivazione sarà più facile, ma con un metodo di pagamento tradizionale.
Il governo ha cercato di giustificare la cancellazione dei voucher addossando la colpa all'abuso dello strumento ma i padroni hanno solamente sfruttato le opportunità che gli venivano offerte; sono stati gli stessi governi che si sono succeduti negli ultimi anni a liberalizzare completamente i buoni lavoro. La loro diffusione è dovuta ad una serie di provvedimenti normativi introdotti in primis dal governo Monti ( 2012) che ne ha esteso l’utilizzo a tutti i settori, e poi dal governo Letta che ha cancellato il requisito della “occasionalità” delle prestazioni. Con il Jobs Act di Renzi viene esteso da 5.000 euro a 7.000 euro il massimale che un lavoratore può percepire in buoni lavoro e viene confermato il tetto di 2.000 euro come importo massimo con il quale un committente può retribuire un lavoratore. Queste erano le uniche “limitazioni” rimaste in vigore, che spiegano bene l'escalation del loro utilizzo. I voucher sono stati introdotti nel 2003 con la legge Biagi, la stessa famigerata controriforma del lavoro che introdusse molte altre forme di precariato come i co.co.pro, il lavoro in somministrazione, il contratto di lavoro ripartito, quello intermittente, il contratto a progetto nonché il lavoro accessorio e occasionale attraverso i voucher inizialmente previsti per limitate attività svolte occasionalmente, come piccoli lavori domestici, lezioni private, lavori di giardinaggio e propagandati come mezzo per contrastare il nero e consentire l’ingresso nel mondo del lavoro ad alcune categorie svantaggiate, come disoccupati, disabili, casalinghe, studenti offrendo loro una copertura Inail per queste attività.
Ancor più dopo la loro liberalizzazione i voucher si sono dimostrati una formidabile arma per utilizzare il lavoro nero legalmente, senza incorrere in sanzioni, sfruttando i lavoratori senza dover rispettare le normative dei contratti nazionali di categoria. Il voucher è esibito come uno scontrino da mostrare in caso di controllo che esenta il datore di lavoro da ogni responsabilità e al tempo stesso priva il lavoratore di tutti i diritti: malattia, maternità, TFR, orario notturno e festivo. Un sistema che favorisce il lavoro illegale poiché quasi sempre ad un determinato periodo pagato con i voucher ne corrisponde un altro completamente a nero e quello che emerge con i voucher è solo la punta di un iceberg.
Il primo anno furono venduti 500mila voucher. Il boom nell’utilizzo si è registrato negli ultimi anni: nel 2011 si erano raggiunti i 15 milioni, nel 2015 si sono superati i 115 milioni di voucher, nel 2016 ne sono stati venduti 121 milioni, con un incremento del 34.6% rispetto all’anno precedente. Appaiono quindi ridicole e grottesche le reazioni di Confindustria, delle altre associazioni padronali, dei partiti della destra borghese e dei loro mezzi d'informazione che hanno tuonato: “cancellati i voucher, ritorna il lavoro nero”. Con i voucher non vengono alla luce i lavori tradizionalmente svolti al nero ma al contrario lo si estende a settori dove prima era quasi del tutto estraneo. Ad esempio sono quasi spariti i contratti a tempo determinato e stagionali che in ogni caso avevano come riferimento i contratti nazionali di categoria, sostituiti dai più convenienti (per i padroni) voucher.

29 marzo 2017