Vertice europeo per celebrare i 60 anni dei Trattati di Roma
L'Ue imperialista si rilancia a “due velocità” e con le armi al piede
Un tentativo per superare la crisi dell'Unione e il fossato che si è aperto tra essa e i popoli europei

 
“Quando l'Europa è debole sono deboli anche i singoli paesi che la compongono. Se l'Europa è forte, i suoi Stati membri sono forti. Solo restando uniti possiamo realizzare la nostra propria sovranità, cioè essere veramente liberi nel mondo”, ovvero far pesare il ruolo della potenza imperialista europea nel mondo, affermava il presidente del consiglio europeo, appena rieletto, Donald Tusk ai presidenti dei parlamenti dell'Unione europea (UE) riuniti a Palazzo Madama a Roma il 17 marzo in una delle cerimonie di contorno alle celebrazioni per i 60 anni dei Trattati di Roma. Quei trattati fondativi che hanno istituito la Comunità economica europea (CEE) e la Comunità europea dell'energia atomica (CEEA o Euratom), firmati il 25 marzo 1957 ed entrati in vigore l'1 gennaio 1958, da cui è nata la UE.
L'anniversario cade in un momento di forte crisi per l’Unione, segnato tra l'altro dal quasi contemporaneo avvio della procedura di separazione della Gran Bretagna annunciata dalla premier Theresa May per il 29 marzo. Più che la Brexit, il divorzio da Londra, per la Ue pesa di più la caduta verticale di credibilità tra i popoli europei per il prezzo di lacrime e sangue fatto pagare loro dalle istituzioni comunitarie per uscire dalla crisi economica. Da qua la necessità di coprire il fossato che si è aperto tra essa e i popoli europei, di rinsaldare le fila e cercare una compattezza per meglio affrontare le future sfide imperialiste tra le quali quelle annunciate dall'altra parte dell'Atlantico dalla nuova amministrazione Trump.
La Dichiarazione di Roma, firmata dai 27 paesi nella cerimonia del 25 marzo, basa il tentativo di rilancio della UE sulla politica delle “due velocità”, quella delle “cooperazioni diversificate” che dovranno “restare aperte” a tutti i Paesi che vorranno aderirvi, scelta dalla cancelliera tedesca Angela Merkel e concordata nel minivertice di Versailles del 6 marzo con Francois Hollande, Mariano Rajoy e Paolo Gentiloni. “Dobbiamo avere il coraggio di accettare che alcuni Paesi possano andare avanti più rapidamente di altri”, sosteneva la Merkel affermando che l’Europa è stata costruita sulla pace e “Versailles ne è uno dei simboli” ma allo stesso tempo non dimenticava la politica di “difesa” ovvero del riarmo e della guerra. Una UE a “due velocità” e con le armi al piede.
Sono questi due argomenti i temi dei passaggi principali del testo della Dichiarazione di Roma nella quale i 27 dichiarano che “agiremo insieme quando possibile, con ritmi e intensità diversi quando sarà necessario, come abbiamo fatto in passato all’interno della cornice dei trattati e lasciando la porta aperta a coloro che vogliono unirsi dopo. La nostra Unione non è divisa ed è indivisibile”. Si tratta di una unione certamente armata, si chiarisce nel punto dove si afferma che è necessaria “un’Europa più forte sulla scena globale: un’Unione che sviluppi ulteriormente i partenariati esistenti e al tempo stesso ne crei di nuovi e promuova la stabilità (con gli interventi militari comunque camuffati, ndr) e la prosperità nelle sue immediate vicinanze a est e a sud, ma anche in Medio Oriente e in tutta l'Africa e nel mondo; un’Unione pronta a assumersi maggiori responsabilità e a contribuire alla creazione di un'industria della difesa più competitiva e integrata; un’Unione impegnata a rafforzare la propria sicurezza e difesa comuni, anche in cooperazione e complementarietà con l'Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (Nato, ndr) tenendo conto degli impegni giuridici e delle situazioni nazionali”.
Il testo rappresenta il compromesso raggiunto tra le 27 delegazioni a fronte di diverse posizioni su punti non secondari. La prima ministra polacca Beata Szydlo rivendicava tra le altre la non divisibilità della Ue (spiegata come un no alla Ue a più velocità, ndr), riaffermava l'importanza della politica di difesa e di sicurezza con la Nato e non complementare all'alleanza militare imperialista, chiedeva di tornare a un maggior ruolo dei parlamenti nazionali, quindi a meno Ue. Il presidente romeno Klaus Iohannis sosteneva che i padri fondatori “non avrebbero amato un'Europa a più velocità o a cerchi concentrici. (…) Mantenere l'unità dei 27 Stati membri deve restare la priorità”. Prevaleva invece la posizione delle “due velocità” sottoscritta da tutti i leader dei 27 paesi europei con le loro attenzioni già dirette verso il prossimo appuntamento importante, quello del prossimo mese delle presidenziali francesi.

29 marzo 2017