Grave dichiarazione del Segretario di Stato Tillerson
Gli Usa non escludono un attacco militare alla RPD di Corea
Mosca: “Bisogna evitare di giungere a un punto critico”

 
La Repubblica popolare democratica di Corea è stata messa dalla Casa Bianca nella lista dei paesi “canaglia” all'epoca dell'amministrazione Bush, ci è rimasta con quella di Barack Obama ed è finita ben presto come un caso sul tavolo di quella di Trump che ha colto la prima occasione di crisi per far sentire il “ruggito” dell'imperialismo americano con la minaccia di un attacco militare esplicitata dal segretario di Stato Rex Tillerson.
Lo scorso 6 marzo il governo di Pyongyang aveva deciso di lanciare quattro missili balistici, che dopo un volo di circa un migliaio di chilometri erano finiti nelle acque territoriali giapponesi, come segno di protesta per le esercitazioni militari congiunte tra America e Corea del Sud allora in corso e definite non solo “provocazioni” ma “prove di invasione”. Il presidente americano Donald Trump rispondeva definendo Pyongyang “una minaccia” entrata “in una nuova fase” e dava il via libera all'installazione del sistema antimissilistico americano Thaad in Corea del sud, concordato tra Washington e Seul all'epoca dell'amministrazione di Obama, la cui operatività seppur parziale è prevista entro la fine di aprile.
I missili del sistema Thaad non servono a “difendere” Corea del Sud e Giappone dai vettori di Pyongyang ma a minacciare la Cina, denunciavano da Pechino e il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Geng Shuang, annunciava il 7 marzo che la Cina “prenderà con risolutezza le misure necessarie per difendere i propri interessi di sicurezza”. La protesta cinese scendeva a toni più concilianti l'8 Marzo quando il ministro degli esteri Wang Yi ribadiva la ferma opposizione allo spiegamento del sistema Thaad ma per invertire l'escalation dello scontro invitava Pyongyang a fermare il suo programma nucleare e dall’altra Washington e Seoul a cancellare le loro esercitazioni militari. Le due parti, sosteneva Wang, "sono come due treni che stanno accelerando l'uno verso l'altro, senza che nessuno voglia lasciare strada all'altro. La domanda è: sono pronti alla collisione? La nostra priorità è segnalare l'allarme e fare in modo che entrambi i treni frenino". Il socialimperialismo cinese gettava acqua sul fuoco per allontanare il pericolo di una grave crisi nella penisola coreana, alle porte di casa.
Di lì a poco era prevista la visita a Pechino del segretario di Stato americano Tillerson che, per restare all'esempio citato dal ministro cinese, dava una ulteriore accelerata al treno americano puntando allo scontro.
Il 15 marzo, il giorno della partenza di Tillerson per il giro di incontri in Asia fra Tokyo, Seul e Pechino, era il premier cinese Li Keqiang a avvertire gli Usa che la Cina non voleva “il caos alle porte di casa” e a denunciare che “le tensioni possono portare a un conflitto”. Una risposta indiretta arrivava dal contemporaneo comunicato del capo di Stato maggiore delle forze Usa nella regione, generale Joseph Dunford, che specificava come i leader militari di Washington e Seul avessero “discusso le possibilità di risposta” alle provocazioni nordcoreane, tra le quali il possibile uso dei grossi droni del sistema di attacco “Grey Eagle”, gli aerei senza pilota dotati di missili e capaci di colpire e distruggere i bersagli. Come dire che Usa e Corea del Sud si addestravano alla guerra.
Una premessa che rendeva ancora più gravi le minacce di Tillerson contro Pyongyang quando il 17 marzo, nel corso della visita a Seul affermava che “certamente noi non vogliamo che le cose arrivino a un conflitto militare, ma se loro elevano la minaccia del loro programma di sviluppo di armamenti a un livello che richiede l’azione, allora questa è un’opzione sul tavolo”. “Le politiche degli ultimi vent'anni nei confronti della Corea del nord sono state un fallimento”, sosteneva il segretario di Stato americano che teneva a precisare: “lasciatemi essere chiaro: la politica della pazienza strategica è finita”. Per fermare il programma nucleare e missilistico nordcoreano, che è del tutto legittimo ma non è questo l'aspetto che conta a Washington, l'imperialismo americano non esclude un attacco militare alla RPD di Corea. E di rincalzo a una già grave decisione, Tillerson aggiungeva in una intervista che “gli Stati Uniti non escludono di fornire l’atomica ai loro alleati in Asia orientale”.
Pechino non rispondeva, lo faceva Mosca che non vorrebbe una crisi irrecuperabile non proprio sull'uscio di casa ma quasi. “Bisogna evitare di arrivare a un punto critico, di costringere Pyongyang nell’angolo con esercitazioni militari, difesa missilistica e altre azioni”, dichiarava Viktor Ozerov, presidente della commissione Difesa del Consiglio della Federazione russa.
Cina e Usa lavoreranno insieme per convincere il governo di Pyongyang a rinunciare alle armi nucleari, annunciava il 18 marzo Tillerson a Pechino dopo l’incontro col ministro degli Esteri cinesi Wang Yi. Entrambi riconoscevano che le tensioni nella penisola coreana sono a livelli “molto alti” ma non potevano far altro che prendere atto che i modi per ridurle sono diversi.

29 marzo 2017