Per difendere il debito e il deficit Usa
Trump apre la guerra commerciale
Nel mirino Cina e Germania. Penalizzata anche l'Italia

 
“Siamo in una guerra commerciale”, affermava il presidente americano Donald Trump dalla Casa Bianca e poiché il suo riferimento è “America first”, prima di tutto gli Stati Uniti, firmava il 31 marzo due decreti che aprono la guerra commerciale degli Usa coi concorrenti imperialisti, Cina e Germania anzitutto ma anche con gli altri, Italia compresa. Come promesso in campagna elettorale e messo in atto già con iniziative quali il congelamento del Tpp, il trattato collettivo sul commercio della regione l’Asia-Pacifico, l'amministrazione Trump decideva di abbandonare i principi della politica del “libero scambio” che non servono più a tutelare gli interessi dei capitalisti americani e di tornare al protezionismo.
“Questi decreti inviano un messaggio forte e chiaro e pongono le basi per una rivitalizzazione della grande industria manifatturiera statunitense”, sosteneva Trump spalleggiato dal segretario al commercio Wilbur Ross e dal vicepresidente Mike Pence, “il mio messaggio è chiaro: da oggi in poi chi viola le regole deve sapere che subirà le conseguenze”, perché con la sua amministrazione “finirà l’era in cui c’è chi ruba la prosperità dell’America con le politiche commerciali”.
Un ordine esecutivo affidava al Dipartimento del commercio la stesura, entro 90 giorni, di un rapporto sulla situazione degli scambi commerciali degli Stati Uniti con tutti i partner commerciali per mettere in evidenza quelli dove Washington registra i dati negativi e se dipendono da comportamenti “scorretti” del partner; l'altro prevederà le misure di ritorsione contro i paesi che sostengono con sussidi i propri prodotti, favorendoli nelle vendite sui mercati americani.
Secondo quanto anticipato dal Wall Street Journal il giorno prima della firma dei due decreti, la Casa Bianca ritiene che il pesante disavanzo commerciale degli Usa, cresciuto fino a 500 miliardi di dollari, sia dovuto alle presunte scorrettezze dei partner commerciali, comportamenti ignorati o non combattuti a dovere dalle precedenti amministrazioni. Un fardello reso ancora più pesante dal contemporaneo aumento del debito pubblico che dalle stime del Fondo monetario internazionale (Fmi) è arrivato nel 2017 alla cifra record di oltre 18 mila miliardi di dollari, stabilizzando il rapporto debito pubblico/pil al 125%, praticamente di poco inferiore al 133% dell’Italia determinato dai quasi 2,5 miliardi di dollari di debito. Negli otto anni dell'amministrazione Obama il rapporto debito pubblico/pil è cresciuto dell'8% all'anno, quasi 4 volte in più del pil nominale. Obama, al contrario dell'Europa a guida Merkel che ha puntato sulla rigidità di bilancio, per finanziare una ripresa ancora lenta ha lasciato correre il deficit; una politica che comunque non può continuare all'infinito e infatti adesso Trump deve correre ai ripari per invertire la tendenza e difendere il debito e il deficit Usa per fermare il declino e rilanciare l'imperialismo americano. E dopo gli attacchi verso Messico e Cina mette nel mirino l'Europa.
L'offensiva della Casa Bianca annunciata il giorno precedente la firma dei decreti dal Wall Street Journal prevederebbe l'imposizione di dazi punitivi del 100% su vari prodotti europei, tra i quali la Vespa e l’acqua San Pellegrino, per un valore di circa 100 milioni di dollari in applicazione di una vecchia sentenza del 2008 da parte dell’organizzazione mondiale del commercio (Wto) che condannò gli europei che avevano messo al bando l’importazione di carne di manzo americana trattata agli ormoni. La salute delle masse popolari europee veniva messa in secondo piano dalle leggi del libero mercato. La vertenza sembrava sanata dal compromesso tra Washington e Bruxelles del 2009 che permetteva l'importazione in Europa di carne americana proveniente da allevamenti che non somministravano ormoni. Poichè l’export di manzo prodotto in Usa verso il vecchio continente rimane a livelli bassissimi, Washington accusava l'Europa di non aver rispettato l'accordo. Il Congresso americano nel 2015, sotto l'amministrazione Obama, approvava una legge che accelerava l’uso di dazi punitivi per rappresaglia nelle contese commerciali, legge che Trump potrà mettere in pratica in applicazione del secondo ordine esecutivo che ha firmato.
La questione della carne agli ormoni è comunque solo una delle cause di quella guerra commerciale che Trump vuole avviare e che era stata spiegata dal segretario al commercio Wilbur Ross il 30 marzo, in una intervista alla Cnbc, con parole chiare: “Gli Stati Uniti non si inchineranno più al resto del mondo sul fronte del commercio. Siamo in una guerra commerciale. Ci siamo da decenni, l’unica differenza è che ora le nostre truppe stanno finalmente alzando le difese. Non siamo finiti in un deficit commerciale per caso. E la Cina, senza il suo enorme surplus commerciale, non sarebbe mai potuta crescere ai tassi con cui è cresciuta la sua economia”. Nel curriculum del ministro Ross spicca non a caso il dichiarato appoggio a una politica di dazi e tariffe per proteggere il “made in Usa” e la volontà di tenere una linea dura soprattutto nei confronti della Cina. Ross sosteneva che l'industria americana sarebbe “sotto l'attacco dei produttori stranieri che esportano sotto prezzo e sono sovvenzionati dagli Stati”. Come nel caso del settore delle importazioni di acciaio dove una quantomai tempestiva inchiesta evidenziava che i prodotti provenienti da Germania, Italia, Austria, Francia e Belgio non sarebbero stati venduti a un “prezzo equo” agli Stati Uniti. Altri Paesi che rischiano ritorsioni sull'acciaio sono il Giappone, la Corea del Sud e Taiwan. Ma soprattutto la Germania che nel 2015 ha coperto da sola un quarto del totale dell'acciaio importato negli Usa.
La Ue prendeva tempo. “Mi auguro che non ci sia un’escalation e che si possa arrivare ad un accordo”, affermava il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, che escludeva l'ipotesi di dazi in risposta a quelli americani e sosteneva che “non è interesse di nessuno avere una guerra commerciale soprattutto con gli Usa”. Più della dichiarazione di Tajani contava però quella del vicecancelliere tedesco Sigmar Gabriel che il 31 marzo minacciava: “la Ue dovrebbe denunciare gli Stati Uniti al Wto per l'intenzione di imporre dazi sulle importazioni dell'acciaio”. Il ricorso al Wto era richiesto anche da Emma Marcegaglia, responsabile dell'associazione degli industriali europei, quale mezzo per rispondere alla “guerra commerciale” dichiarata dagli Usa.

5 aprile 2017