Con la “Buona scuola”, alternanza scuola-lavoro e Invalsi diventano discriminanti per l'esame di maturità
I decreti attuativi della riforma pensati per tagliare le gambe alla protesta di studenti e insegnanti. Briciole per l'infanzia e la disabilità. Scuole professionali trasformate in scuole di avviamento al lavoro. Concessioni ai privati
Studenti e “sindacati di base” in piazza il 9 maggio. Serve una grande mobilitazione

La “Buona scuola” è definitivamente legge. Con l'approvazione degli otto decreti attuativi da parte del Consiglio dei ministri del 7 aprile, il governo Gentiloni conferma un altro “capolavoro” di Renzi: l'odiata riforma aziendalista e filopadronale della scuola.
La famigerata legge 107 era già stata approvata in via definitiva dalla Camera dei deputati il 9 luglio 2015 (a scuole chiuse per evitare proteste). Tuttavia, si trattava di una legge delega con la quale il parlamento si limitava a dare il via libera al governo per legiferare, come è ormai la norma nel regime neofascista di fatto vigente, benché la nostra sulla carta sia ancora una Repubblica parlamentare. Il governo Gentiloni del resto considerava l'attuazione della “Buona scuola” un caposaldo della sua continuità con il progetto neoliberista renziano, insieme al Jobs Act. Pur avendo sostituito all'ex ministra Stefania Giannini, ormai screditata, l'attuale inquilina di viale Trastevere, Valeria Fedeli, volto “nuovo”, presentabile e gradito a certi ambienti (anche sindacali) riformisti per il suo percorso di sindacalista collaborazionista e pro-concertazione, i decreti attuativi hanno mantenuto l'intero impianto aziendalista e reazionario del progetto iniziale.

Blindati alternanza scuola-lavoro e Invalsi
Sordi alle tante proteste studentesche, cui si è aggiunta la voce di numerosi insegnanti, contro le prove Invalsi, discriminatorie e nozionistiche, cui si sono aggiunte a partire dall'anno scorso le proteste contro l'alternanza scuola-lavoro, il governo col decreto 384 ha reso entrambi requisiti essenziali per l'accesso all'esame di Stato.
Una norma studiata a tavolino per spezzare le gambe al boicottaggio contro i test Invalsi, che ha visto negli anni scorsi partecipazioni molto elevate, e per blindare i programmi scuola-lavoro con cui gli studenti saranno schiavizzati a friggere patatine in qualche McDonald's o fare fotocopie nelle aziende, ma anche, nei casi peggiori, a svolgere lavori manuali pesanti, senza remunerazione. Ciliegina sulla torta, resta il voto in condotta, uno dei peggiori lasciti della riforma Gelmini, che potrà quindi essere usato come minaccia contro gli studenti che protestano. Degli Invalsi verrà tenuto conto persino per l'accesso all'università.
Un altro prodotto della riforma Gelmini confermato dalla “Buona scuola” è il voto in cifre anche alla scuola elementare, nonché la possibilità di bocciare già a partire dalla primaria, secondo una concezione pedagogica vecchia e repressiva, contro la quale si sono schierati non pochi docenti e pedagogisti, ma che rientra nel quadro generale di fornire per tutto il percorso scolastico un'istruzione ossificata, standardizzata e repressiva, dove vengono somministrate nozioni uguali per tutti, accompagnata infatti dai test Invalsi, dove la protesta è legalmente sanzionabile, per abituare i giovani all'obbedienza acritica che li attende in fabbrica, nel mercato precario e nella società capitalista. Balzi indietro rispetto alle conquiste del '68 e del '77.
Tra l'altro, per la scuola elementare arriva il voto in “cittadinanza e Costituzione”. Siccome dubitiamo che chiunque sano di mente voglia insegnare a bambini di 10 anni l'astruso sistema istituzionale italiano nei minimi dettagli, ne deduciamo che sarà un'indottrinazione al rispetto delle istituzioni così come sono, per colmare la crescente dissaffezione di massa dal sistema borghese.

Un impianto neoliberista che colpisce infanzia, disabilità e professionali
Sempre sulla scia della messa delle scuole al servizio delle esigenze produttive del capitale imprenditoriale rientra anche la ridefinizione della scuola professionale, i cui indirizzi passano dagli attuali 6 a ben 11, addirittura con la riduzione di un anno di studi per poter entrare il prima possibile nel sistema produttivo (da precari a basso prezzo). Ribadita, manco a dirlo, l'autonomia scolastica e quindi la “possibilità” (leggi l'obbligo, pena lo scadimento dell'istituto e dell'offerta formativa) di reperire da sé i finanziamenti dai privati. Una sorta di riedizione delle scuole di avviamento professionale di mussoliniana memoria.
Un altro dei decreti attuativi istituisce il “Sistema integrato di educazione e di istruzione”, che coinvolgerà i bambini dai 3 mesi ai 6 anni, che però favorisce un'intrusione ancora più massiccia dei privati nel sistema di asili nido e scuole materne laddove afferma che “i servizi educativi per l'infanzia sono gestiti dagli Enti locali in forma diretta o indiretta, da altri enti pubblici o da soggetti privati”. Servirebbero semmai più asili e scuole materne gratuiti e in grado di soddisfare la richiesta, ma lo stesso stanziamento di 239 milioni previsto è insufficiente. “Il potenziamento”, denuncia la Gilda degli insegnanti, “è previsto soltanto nelle quote di organico già attribuite... Dunque, nessun potenziamento per l'infanzia”.
Ombre anche sul fronte disabilità, dove per “risparmio” vengono colpiti l'inclusione e soprattutto gli insegnanti di sostegno, visto che mansioni di “cura” e “sostegno” vengono scaricate anche sul personale Ata e sull'intero corpo docente. Una logica perversa duramente attaccata da molte associazioni che si occupano di studenti disabili.
Sul diritto allo studio, invece, cadono le briciole, con stanziamenti insufficienti a coprire il fabbisogno nazionale e l'esonero totale dalle tasse scolastiche previsto solo per gli studenti delle quarte e quinte superiori. Quando invece le tasse non dovrebbero esistere per nessuno studente!

Contratto a retribuzione crescente per i neodocenti
Quanto all'immissione in ruolo per i docenti, la “Buona scuola” cancella il tirocinio formativo attivo (TFA) e prevede la possibilità per tutti i laureati di accedere ai concorsi (tenuti a cadenza biennale) in via diretta. A quel punto parte il programma di formazione, inserimento e tirocinio (FIT), con retribuzione crescente a partire da una miseria di 660 euro lordi il primo anno. Al termine del terzo anno, se la valutazione è positiva, avviene l'immissione in ruolo.
Si tratta, in sostanza, di una sorta di apprendistato alla Jobs Act esteso ai docenti, un percorso farraginoso che unisce un ulteriore periodo di formazione al tirocinio ed all'attività professionale vera e propria, nel quale peraltro non si riconoscono pienamente le abilitazioni precedentemente conseguite e il servizio già prestato. Ci chiediamo cosa ne sarà dei precari che da anni attendono di essere inseriti in ruolo.

Mobilitarsi per bocciare la “Buona scuola” e invertire il processo di aziendalizzazione
Contro i decreti attuativi hanno preso posizione praticamente tutte le realtà organizzative degli studenti e degli insegnanti. A partire dalla Rete della Conoscenza, che ha proclamato una mobilitazione nazionale per il 9 maggio “contro questo golpe democratico messo in atto dal governo”.
Duri attacchi anche dalla FLC-CGIL, che reputa la riforma “sbagliata in radice” e “preannuncia fin d'ora una forte azione di contrasto” e “una lunga stagione conflittuale”. Speriamo che alle parole seguano i fatti e facciamo pressione perché ciò avvenga; di certo andrebbe proclamato subito lo sciopero generale di settore, magari in concomitanza con la mobilitazione studentesca. La FLC si è unita a Cobas, Usb e Unicobas, da sempre sul piede di guerra per quanto riguarda la “Buona scuola” e che sciopereranno il 9 maggio. Critiche sono giunte anche dalla Gilda degli insegnanti, la quale, sia pure su posizioni più moderate e conciliatrici, afferma che le risorse “sono del tutto insufficienti per realizzare gli interventi promessi”.
Per fermare la “Buona scuola” e il generale processo di aziendalizzazione della scuola pubblica non c'è altra strada che la mobilitazione unitaria, continuativa e combattiva delle studentesse e degli studenti in prima linea, insieme ai docenti ed al personale Ata, che discuta dal basso i propri indirizzi, piattaforme e metodi di lotta, si batta senza dare tregua al governo per il ritiro della legge 107 e faccia sentire forte e chiaro il grido della protesta contro l'alternanza scuola-lavoro, gli Invalsi, il precariato scolastico, la svendita della scuola pubblica ai privati e la sua trasformazione in azienda.

19 aprile 2017