Inviando una portaerei nell'area
Trump minaccia la RPD di Corea
Pyongyang: “Siamo pronti a reagire in ogni modo alla guerra voluta dagli Stati uniti”
La Cina frena, soluzione pacifica

Il vicepresidente americano Mike Pence, in visita il 17 aprile nella zona demilitarizzata tra Corea del Nord e del Sud, suonava i tamburi di guerra e minacciava: “È finita l'ora della pazienza strategica”, gli Stati Uniti cercheranno di garantire la sicurezza nella zona della Corea del Sud “con mezzi pacifici, ma tutte le opzioni sono sul tavolo”. E mentre da Washington il presidente Donald Trump strumentalmente affermava che “spero che sia possibile una soluzione pacifica” sulla Corea del Nord ma “Pyongyang deve comportarsi bene”, Pence rincarava la dose ricordando che “nelle ultime due settimane il mondo ha visto la forza e la determinazione del nostro nuovo presidente con le iniziative prese in Siria e in Afghanistan. La Corea del Nord farebbe bene a non sfidare la sua determinazione o la forza dell'esercito statunitense nelle regione”; come dire che dopo le bombe su Siria e Afghanistan sono pronte anche quelle per la Corea del Nord, tanto più che gli Usa hanno 28.500 uomini in Corea del Sud, sottolineava il vice di Trump e “sconfiggeranno ogni attacco e risponderanno all'uso di armi convenzionali e nucleari con mezzi schiaccianti ed efficienti”.
“Una guerra nucleare potrebbe scoppiare da un momento all'altro nella penisola coreana dato che gli Stati Uniti stanno disturbando la pace e la stabilità globale, insistendo in una logica da gangster”, rispondeva a tambur battente l'ambasciatore nordcoreano all'Onu, Kim In Ryong. Il governo di Pyongyang si mostrava tutt'altro che intimorito dalle minacce dell'imperialismo americano e il viceministro degli Esteri, Han Song-Ryol, annunciava che “condurremo altri testi missilistici su base settimanale, mensile e annuale. Sarà guerra a tutto campo” se gli Usa “saranno così spericolati da usare mezzi militari”.
Il vicepresidente americano dichiarava che il presidente Trump contava sulla Cina affinché usi “le sue straordinarie leve” per fare pressione sulla Corea del Nord perché rinunci ai suoi programmi missilistici e nucleari si augurava che la Cina “faccia di più” per aiutare a risolvere il problema; il fatto che la Cina abbia più volte condannato i test nordcoerani e abbia aderito all'embargo economico deciso dall'Onu non basta agli Usa.
Chiamata ancora una volta direttamente in causa Pechino rispondeva col portavoce del ministero degli Esteri Lu Kang che di fronte a una “situazione molto delicata e pericolosa” nella penisola coreana esortava tutte le parti coinvolte a astenersi da provocazioni e a “tornare al tavolo negoziale e risolvere i problemi con mezzi pacifici”. Pechino vorrebbe far ripartire il dialogo multilaterale avviato da rappresentanti di Cina, Usa, Russia e Giappone oltre a Pyongyang e Seul bloccati quasi dieci anni fa. La Cina teme gli effetti di una guerra tra l'altro alle porte di casa ma al momento può contare solo sulla Russia; “non accettiamo le spericolate iniziative missilistiche di Pyongyang che violano le risoluzione dell'Onu ma questo non significa che si può violare il diritto internazionale. Spero che non ci siano iniziative unilaterali come quella vista di recente in Siria”, sosteneva da Mosca il ministro degli Esteri Sergei Lavrov.
La cronaca del botta e risposta tra Washington e Pyonyang, con le minacce belliciste dell'imperialismo americano di appiccare un nuovo incendio nell'estrema punta dell'Asia e i tentativi di Pechino di freddare la situazione e aprire a una soluzione diplomatica registrate nelle dichiarazioni del 17 aprile sono l'ultimo atto di una vicenda segnata dall'arrivo della flotta statunitense capitanata dalla portaerei a propulsione nucleare Carl Vinson, con la sua scorta composta da tre navi lanciamissili e almeno una sessantina tra caccia ed elicotteri da guerra, in vista dalle coste nordcoreane due giorni prima. Un arrivo registrato dall'agenzia Reuters come preludio di esercitazioni militari con mezzi giapponesi per una “dimostrazione di forza congiunta” secondo “fonti anonime” dell’amministrazione di Tokyo.
La Carl Vinson, in missione nel mar Cinese meridionale, aveva lasciato Singapore e avrebbe dovuto dirigersi verso l'Australia ma Trump l'aveva dirottata verso la penisola coreana annunciando che “Verso la Corea del Nord stiamo inviando una 'Armada', una flotta molto potente”. Chiamando la sua flotta “Armada”, a dire il vero, Trump intendeva apparire ancor più aggressivo e invincibile davanti al mondo intero ma finiva per sfiorare il ridicolo poiché proprio quella flotta spagnola a cui l'ha paragonata invece di stoppare la crescente supremazia navale e commerciale inglese ne uscì sgominata nella battaglia del 1588. Che sia destinato alla stessa fine anche col socialimperialismo cinese?
Già un mese fa il segretario di Stato americano Rex Tillerson aveva mandato un avvertimento chiaro a Kim: “Voglio essere molto chiaro: la politica della pazienza strategica è finita, se Pyongyang continua ad elevare la minaccia militare, l'opzione dell'azione è sul tavolo”.
Questa volta la “colpa” di Pyongyang sarebbe stata quella di condannare l'attacco missilistico americano in Siria definito l'8 aprile “un atto di aggressione intollerabile” che “prova più di un milione di volte” quanto sia giusto che la Corea del nord continui il proprio programma nucleare. L'agenzia di Stato nordcoreana Kcna riportava una dichiarazione del portavoce del ministero degli Esteri che denunciava che gli “atteggiandosi arrogantemente a superpotenza gli Stati Uniti hanno solo scelto di colpire Paesi senza armi nucleari e l'amministrazione Trump non fa eccezione alcuna” a questa linea di condotta. “L'attacco siriano ci ricorda con durezza che solo la nostra potenza militare ci proteggerà da un'aggressione imperialista e pertanto rafforzeremo le forze di autodifesa per far fronte agli ancora più intensi atti di aggressione statunitensi”, ribadiva il portavoce di Pyongyang che concludeva sostenendo che “se gli Stati Uniti osano optare per un intervento militare, come un attacco preventivo e la rimozione del quartier generale, la Corea del Nord è pronta a reagire a ogni tipo di guerra desiderato dagli Usa”.
Dalla Casa Bianca Trump alzava il tiro con un tweet dell'11 aprile: “La Corea del Nord cerca guai. Se la Cina decide di aiutare sarebbe magnifico. Altrimenti, risolveremo il problema senza di loro”. Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi esortava ad “una pausa nelle provocazioni e nelle minacce prima che la situazione sia così grave da non poter essere reversibile e si ha la sensazione che un conflitto potrebbe esplodere da un momento all’altro”.

19 aprile 2017