Violando il diritto internazionale
Trump bombarda una base aerea in Siria
Gentiloni e l'Ue l'appoggiano. Onu impotente
Assad usa armi chimiche: 84 morti, tra cui 30 bambini

 
60 missili da crociera del tipo Tomahawk, lanciati dai cacciatorpediniere americani Porter e Ross alla fonda nel Mediterraneo orientale, colpivano il 7 aprile la base aerea siriana di Shayrat, l'aeroporto che ospita due squadroni di aerei da attacco Mig 23 e Sukhoi Su-22 di Damasco distruggendone almeno sei, assieme a diverse infrastrutture inclusi radar, shelter corazzati, magazzini e postazioni missilistiche di difesa aerea. Almeno 6 anche i militari siriani uccisi. Prima dell'attacco, riferivano portavoce del Pentagono, il Cremlino era stato informato dato che l'aeroporto costituisce anche una base avanzata per gli elicotteri russi impiegati sul fronte di Palmira. E dato che i missili non sono passati molto distanti dalle basi russe di Tartus e Latakia era necessario evitare equivoci e dichiarare anzitempo che quei missili non erano diretti contro installazioni o militari russi. Tanto il segnale per il presidente russo Vladimir Putin, il protettore di Bashar al-Assad e vero oggetto del bombardamento americano, arrivava lo stesso chiaro e forte.
“Ho ordinato un raid mirato”, dichiarava il presidente americano Donald Trump dalla residenza di Mar-a-Lago spiegando che “gli Stati Uniti devono prevenire la diffusione e l’uso delle armi chimiche”; definiva Assad un “barbaro” per aver usato i gas nell'attacco del 4 aprile a Khan Sheikhun, una città nella provincia nord-occidentale di Idlib, e invitava “tutte le nazioni civili a unirsi a noi nel tentativo di porre fine al massacro in Siria e al terrorismo di tutti i tipi”. Neanche per un momento Trump era sfiorato dal dubbio che stava violando il diritto internazionale autoinvestendosi del titolo di giudice e giustiziere.
Fino a una settimana prima per la Casa Bianca la permanenza al potere di Assad non era un problema, l'intervento in Siria era tutto concentrato sull'offensiva contro Raqqa e lo Stato islamico. Il 4 aprile il regime di Damasco usava armi chimiche contro le postazioni occupate dalle opposizioni a Khan Sheikhun causando almeno 84 morti, tra cui 30 bambini. Assad negava l'uso di armi chimiche contro il suo popolo, pur avendo fatto largo uso di armi convenzionali che hanno provocato innumerevoli massacri, e il suo padrino Putin riteneva “inaccettabile” che venissero lanciate accuse “senza prove” e chiedeva l'istituzione di una commissione di indagine internazionale “esaustiva e imparziale”. Ma Trump aveva già messo in moto la macchina da guerra perché il suo bersaglio principale non stava a Damasco ma a Mosca.
“L'attacco chimico in Siria contro persone innocenti, tra cui donne e bambini, è riprovevole e non può essere ignorato dal mondo civilizzato”, avvisava un comunicato della Casa Bianca nel quale si sottolineava che “queste azioni atroci da parte del regime di Bashar al-Assad sono una conseguenza della debolezza e indecisione della amministrazione passata. Il presidente Obama ha detto nel 2012 che avrebbe stabilito una ‘linea rossa’ contro l'uso di armi chimiche, e quindi non ha fatto nulla”. Adesso alla Casa Bianca c'è l'amministrazione Trump e la musica è cambiata. Il 5 aprile, incontrando il re di Giordania alla Casa Bianca, Trump dichiarava che le immagini dei bambini uccisi dai gas avevano cambiato il suo "atteggiamento" verso Assad e l'ambasciatrice Usa all'Onu, Nikki Haley, avvertiva che “se le Nazioni Unite falliscono nell'azione collettiva, saremo costretti ad agire singolarmente”; figurarsi se all'imperialismo americano importava qualcosa dei bambini siriani, ha persino perso il conto di quanti ne ha uccisi nella sua guerra contro il regime di Assad o lo Stato islamico, piuttosto dimostrava di voler tornare a fare il cane da guardia del mondo. Il veto russo bloccava l'Onu e scattava la rappresaglia annunciata.
Per Putin l’attacco americano era “un atto di aggressione contro uno Stato sovrano che viola la legge internazionale”, sferrato sulla base di “un pretesto inventato” e che creava “un serio ostacolo” alla costituzione di una coalizione internazionale per sconfiggere l’IS. Per il presidente russo le relazioni tra i due paesi erano danneggiate dal raid, il primo ministro Dimitry Medvedev denunciava questi attacchi illegali arrivati a “un passo da scontri militari con la Russia”. Condanna dell'attacco Usa anche da parte del ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, che accusava: “gli Stati Uniti stanno combattendo in Siria e Yemen sullo stesso lato dei gruppi terroristici Isis e al-Qaeda”. Questa volta però il richiamo all'unità delle coalizioni imperialiste a guida Usa o della Russia in Siria contro lo Stato islamico, che si realizza sul campo, non era sufficiente a coprire le contraddizioni delle diverse opzioni per la spartizione della Siria.
I missili americani erano diretti contro Assad, che sia colpevole o innocente nell'aver usato i gas non cambia il risultato perché erano diretti soprattutto contro Putin e le sue iniziative in Siria e non solo; con l'obiettivo di ridimensionare il ruolo della concorrente imperialista Russia nella determinazione degli equilibri regionali. Dove sono tornati prepotentemente in pista gli Usa di Trump.
Trump riscuoteva il sostegno del dittatore turco Recep Tayyip Erdogan e del regime sionista di Tel Aviv; dell'Unione europea imperialista, tramite il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, che dichiarava: “gli attacchi degli Usa mostrano la necessaria risolutezza contro i barbari attacchi chimici. La Ue lavorerà con gli Usa per mettere fine alla brutalità in Siria”. Dalla sua parte il primo ministro britannico Theresa May, il presidente francese Francois Hollande e la cancelliera tedesca Angela Merkel, che nel loro comunicato in comune hanno tenuto a sottolineare che erano stati avvertiti in anticipo dell’azione; non poteva mancare il primo ministro italiano Paolo Gentiloni che definiva l'azione Usa “puntuale e limitata” e non “una tappa di una escalation militare” che anzi può “accelerare le chance di un negoziato politico”. Un negoziato che dovrebbe iniziare, secondo la nuova tattica inaugurata da Trump, solo dopo che l'imperialismo americano ha dato il primo cazzotto.
Il colpo a Putin, che tra l'altro Trump ha sferrato proprio mentre era a colloquio col presidente cinese Xi Jin Ping nella residenza di Mar-a -Lago, in Florida, non è rimasto isolato; è stato seguito il 13 aprile dal lancio della superbomba contro lo Stato islamico in Afghanistan, un avvertimento alla Corea di Kim e insieme a Putin e Xi, e la minaccia di aprire un nuovo fronte di guerra nella penisola coreana. Tre colpi coi quali Trump tiene entrambe le principali concorrenti superpotenze sotto scacco ma in una condizione molto pericolosa; nessuno può dire fino a quanto potrà tirare la corda senza arrivare allo scontro diretto.

19 aprile 2017