“Il ghetto è la conseguenza e non la causa del caporalato”
Marciano a Manfredonia gli intellettuali che denunciano il caporalato

Si è svolta lo scorso 17 aprile in provincia di Foggia una marcia alla quale hanno partecipato un migliaio di persone, promossa da un gruppo di scrittori e di intellettuali che combattono il fenomeno del caporalato.
Il corteo, partito da Borgo Mezzanone (una frazione di Manfredonia) ha percorso circa otto chilometri fino al cosiddetto “ghetto dei Bulgari”, una baraccopoli abitata da circa 250-300 braccianti tutti dell’Europa orientale, in gran parte bulgari, che ora sono impegnati nella raccolta di carciofi e asparagi.
Gli organizzatori dell’iniziativa sono stati l’attore, scrittore e regista Giulio Cavalli e i sociologi Marco Omizzolo, Leonardo Palmisano e Stefano Catone, tutti e tre molto impegnati sul tema dell’immigrazione e del supersfruttamento della manodopera straniera.
Hanno aderito alla manifestazione Lega Coop, Amnesty, Emergency, Migrantes, Libera, l’Associazione italiana per l'agricoltura biologica, la rivista Left e gli scrittori Alessandro Leogrande e Alessio Viola.
Nel manifesto stilato dai quattro intellettuali si leggono gravi denunce contro la latitanza delle istituzioni pubbliche, e si leggono altrettante chiare richieste allo Stato: “il ritorno alla centralità del collocamento pubblico; una procura nazionale anticaporalato; una procura antimafia a Foggia; l’aumento del numero degli ispettori del lavoro; una legge che consenta di creare anche in agricoltura cooperative di produzione lavoro; un sistema di accoglienza diffuso nei centri urbani che coinvolga direttamente le comunità; la traduzione in lingue straniere della legge contro il caporalato; l’abolizione del reato di clandestinità; il superamento della Bossi-Fini, prevedendo strumenti di ingresso per la ricerca di lavoro e modalità di regolarizzazione attraverso il lavoro; meccanismi che permettano alle vittime di sfruttamento di avere accesso rapido a indennizzi, risarcimenti e retribuzioni arretrate; misure che rendano estremamente trasparente la filiera produttiva, a partire da un’etichettatura che tracci i singoli fornitori; progetti di assistenza e formazione a livello nazionale e regionale qualificati a sostegno dei percorsi di emancipazione dei lavoratori e delle lavoratrici; politiche di welfare a sostegno dei lavoratori e delle lavoratrici, soprattutto se costrette a subire oltre allo sfruttamento anche violenze fisiche, sessuali e ricatti di varia natura”.
Tra gli interventi degli intellettuali presenti alla marcia, particolarmente significativo è stato quello di Alessandro Leogrande, il quale ha ribadito quanto aveva scritto in un suo articolo pubblicato su Internazionale dello scorso 8 marzo, ossia che “il ghetto è la conseguenza, non la causa del caporalato”: fuori dal ghetto, spiegava Leogrande, non ci sono gli ingaggi dei caporali, e di conseguenza non ci sono possibilità di lavoro. In parole povere, il caporalato - complice la totale latitanza di un sistema di collocamento pubblico, come denunciato nel manifesto degli organizzatori - è l’unico sistema che permette occasioni di lavoro nel settore dell’agricoltura, e questo è fonte inesauribile di sfruttamento, di emarginazione, di compressione anche dei più elementari diritti dei lavoratori, un fatto inaccettabile nell’Italia del 2017.
 
 
 

26 aprile 2017