G7 di Roma sull’ambiente, non c'è dichiarazione congiunta
Il dietro front degli Usa di Trump mette a nudo i limiti dell'accordo di Parigi
Gli Stati Uniti tornano liberi di inquinare rinnegando gli impegni presi alla COP 21. Il ministro Calenda minimizza

 
Il 9-10 aprile a Roma si è tenuto un incontro preliminare del cosiddetto “G7 Energia” che si terrà a Bologna nel giugno prossimo. Il ministro italiano allo Sviluppo, Carlo Calenda, presidente del summit, ha annunciato che "non è stato possibile firmare una dichiarazione congiunta su tutti i punti dal momento che l'amministrazione Usa si trova in un processo di revisione della politica energetica, in particolare sul tema del cambiamento climatico e dell'accordo di Parigi.” Quello di Roma, ornato dallo “strabiliante” successo della COP 21 di Parigi sullo sfondo, è il primo summit del genere della storia a terminare senza una dichiarazione congiunta dei rappresentanti delle sette economie più energivore del mondo; in precedenza pur rimanendo come al solito rituale, farisaico e utile solo per ricordare un comune impegno in difesa della stabilità del mercato degli idrocarburi, la firma congiunta non era mai mancata. Ricordiamo che gli Usa sono al secondo posto attuale nel provocare inquinamento e primi assoluti nella somma totale dell’inquinamento “storico”, avendo avuto una massiccia industrializzazione cominciata decenni prima rispetto alla Cina che guida la famigerata classifica odierna. Segue l’India. Per questo, ci pare davvero inopportuna la copertura del ministro italiano Calenda che minimizza un simile avvenimento, sostenendo che gli Usa mantengono un approccio “molto positivo” e che gli altri membri del G7 "rispettano il fatto che gli Stati Uniti stanno rianalizzando la propria posizione".
 

I contenuti del summit
I temi in discussione fra i ministri competenti di Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito, Usa e Commissione Ue erano la sicurezza energetica, quella dei nuovi “driver” e di come governare la transizione alle rinnovabili prevista sulla carta dalla COP 21 di Parigi. Su molti punti c’è stata una convergenza unanime, in particolare sullo “sforzo congiunto” per sostenere la sicurezza energetica dell'Ucraina, il che vuol dire inglobare definitivamente il Paese nel blocco occidentale, sottraendolo alla possibile influenza di Mosca conseguente al passaggio del gas russo e al futuro ruolo centrale del gas naturale sul quale, vista la situazione pugliese con lo sviluppo del gasdotto TAP e con Poseidon/Eastmed che pescano in Azerbaijan e nei mari antistanti Israele, l’UE pare si sia mossa con largo anticipo.
Il mancato accordo congiunto segna un passaggio fondamentale che evidenzia in maniera chiara i limiti dell’accordo di Parigi che i marxisti-leninisti italiani avevano pesantemente criticato su molti punti, ma principalmente proprio per il fatto di non essere in nessun modo vincolante per gli aderenti. Ci chiedevamo allora che cosa ci fosse davvero da brindare per il clima e per la Terra se un programma irrealizzabile e distante anni luce dalle realtà delle singole nazioni aderenti, lungo nei tempi e poco incentivato, non fosse nemmeno capace di impegnare inderogabilmente i firmatari?
A Roma l'amministrazione Trump ha messo a nudo il problema principale, ribadendo di voler rivedere le politiche inerenti il cambiamento climatico e anche l'accordo di Parigi. È questo l’elemento centrale poiché, come non lo è stato per Trump, l’accordo di Parigi non è vincolante nemmeno per altri firmatari, competitori degli americani a livello mondiale. Siamo sicuri che i Golia dell'inquinamento come India e Cina a questo punto rispetteranno gli impegni presi a Parigi e lasceranno l'America libera di inquinare a proprio piacimento, riducendo i costi per le proprie produzioni a energia fossile? Al momento sembra più probabile il contrario, a meno che la ricerca sulle rinnovabili, su tutte idroelettrico, eolico e solare, diventi un business tanto redditizio quanto il petrolio; naturalmente, se la lista degli aderenti alla COP 21 parigina dovesse privarsi dei primi grandi inquinatori, il suo fallimento sarebbe anche formale e ancor più devastante.
 

La politica energetica degli Usa di Trump
Parigi è stato un accordo più volte criticato da Trump, che su clima e ambiente ha promesso di smantellare i propositi (rimasti ancora tutti sulla carta) di Barack Obama sul cambiamento climatico. La vera novità per gli Usa sta nel fatto che finora la crociata di Trump contro la lotta al “riscaldamento globale” era rimasta entro i confini nazionali, mentre da oggi i suoi propositi divengono ufficialmente noti anche ai suoi avversari imperialisti. Trump ha dimostrato fin dalla sua campagna elettorale di considerare la tutela dell'ambiente e la lotta al cambiamento climatico in coda alle priorità; appena insediato, ha nominato al vertice dell'Agenzia per la protezione ambientale (Epa) Scott Pruitt, un negazionista del riscaldamento climatico che, come procuratore generale nello Stato dell'Oklahoma, si era distinto per gli attacchi contro la stessa Agenzia che ora dirige e che è adesso oggetto di un taglio di finanziamenti pari a circa un terzo del suo solito budget. Infine lo scorso 28 marzo Trump ha firmato l'"Energy Independence", un ordine esecutivo che cancella buona parte delle iniziative, già insufficienti, adottate dall'amministrazione Obama in contrasto al cambiamento climatico. Con questo atto ha dato il via al processo legale che dovrebbe portare al ritiro e alla riformulazione del "Clean Power Plan", diventato legge nell'agosto 2015.
 

La guerra imperialista ancora una volta leva dell'economia
Del resto, la linea sull’energia sancita dal documento “America First” è chiara: share oil e shale gas americano prima di tutto, recuperare i posti di lavoro persi dal settore del carbone con altre fonti fossili e rilanciare il nucleare, nonostante il fallimento della Westinghouse/Toshiba che mette a serio rischio il futuro del reattore AP1000, che da anni rappresenta la punta di diamante del rilancio nucleare negli Usa e che aveva avuto un sostegno di fondi a tasso agevolato da parte dell’amministrazione Obama. Alla faccia dell’energia pulita e del puntare sulle rinnovabili! Via dunque al greggio sporco e dall’estrazione costosa e dannosissima per l’ambiente attraverso le tecniche di fracking che era diventato non più remunerativo negli ultimi due anni a causa dell’abbassamento dei prezzi del barile. Ma qualche giorno fa, dopo i bombardamenti Usa sulla Siria e il rilancio di una ancor più aggressiva politica imperialista in Medioriente, i prezzi del barile sono in rimonta mentre negli Usa sempre più trivellazioni attraverso rocce scistose vengono riattivate. La grande banca d’affari Goldman Sachs prevede che nel prossimo biennio potrebbero tornare a produrre 1 milione di barili al giorno, rischiando di mettere in seria difficoltà compagnie europee come Eni e Total. Per alcune testate giornalistiche, la retromarcia americana, oltre che a rappresentare un limite per la questione climatica globale, sarebbe anche un rischio per la pace globale. In sostanza l’Accordo di Parigi avrebbe prospettato una direzione allo sviluppo energetico con un progressivo abbandono delle fonti fossili, promuovendo la cooperazione internazionale riducendo i rischi di conflitti per l'accaparramento delle risorse energetiche fossili. Interrompere quindi questo percorso e chiudersi nel proprio “sovranismo energetico”, così come viene definito, aumenterebbero ulteriormente l'insicurezza internazionale.
 

Cooperazione internazionale o imperialismo “a tavolino”?
Francamente non siamo d’accordo con questa analisi, poiché non vediamo nessun comune intento internazionale che rispetti i popoli possessori di risorse energetiche né siamo di fronte ad accordi globali che si muovono nel rispetto degli interessi delle popolazioni. Al contrario, tali accordi internazionali hanno come scopo principale quello di spartire il bottino, decidendo di comune accordo (naturalmente fra le grandi potenze) quali saranno le ingerenze “accettabili”, quale sarà, ad esempio, il nuovo assetto post bellico di Siria, Iraq e Nord Africa. La questione ambientale è solo il riflesso di quella energetica, essenziale per mantenere o conquistare il predominio economico mondiale. Il ministro Calenda si affretta dunque a ribadire che, seppur con l'esclusione degli Usa, è stato confermato da parte dei membri del G7 e dall'Unione Europea "l'impegno a implementare l'accordo di Parigi sul clima, che rimane forte e deciso". E Gentiloni gli fa eco dichiarando: ”L'Europa accetta l'opinione di tutti ma non accetta passi indietro rispetto agli impegni assunti a Parigi nella lotta al cambio climatico”.
Ma con quale attendibilità, ci chiediamo noi, dal momento che oltre al primo ritiro di firma sul protocollo COP21, anche a livello nazionale si riconferma la bontà dei gasdotti Tap e Poseidon/Eastmed, mentre Eni annuncia di voler raddoppiare la produzione off shore a Ravenna entro il 2020? Sappiamo bene che nel capitalismo c’è solo spazio per il profitto. Se si vuole lottare per la salvaguardia del Pianeta, dell’ambiente in genere e per il progresso energetico al servizio dell’umanità, allora uniamo la nostra lotta a quella per il socialismo poiché esso è l’unico sistema capace di spazzare via il capitalismo aprendo così ad una nuova era con al centro il rispetto dei popoli e dell’ambiente nel quale essi vivono e del quale essi fanno parte integralmente.

26 aprile 2017