Contro “i trattamenti disumani e degradanti e le torture” riservati loro dagli occupanti sionisti
Sciopero della fame dei palestinesi detenuti nelle carceri israeliane

Un migliaio di palestinesi detenuti nelle carceri israeliane ha iniziato il 17 aprile uno sciopero della fame “a tempo indeterminato”, per chiedere il rispetto della loro dignità e dei loro diritti fondamentali che sono garantiti dalla legge internazionale e contro “i trattamenti disumani e degradanti e le torture” riservati loro dagli occupanti sionisti.
La protesta è iniziata il 17 aprile, il giorno nel quale si commemora la Giornata del Prigioniero Palestinese, dopo la pubblicazione da parte del New York Times di un articolo di denuncia scritto da Marwan Barghouthi, segretario in Cisgiordania di Fatah e parlamentare palestinese, in carcere dalla seconda Intifada del 2002 con una condanna a 5 ergastoli e 40 anni di reclusione decisi in un processo farsa del giugno 2004.
“Dopo aver trascorso gli ultimi 15 anni in una prigione israeliana, sono stato sia un testimone, sia vittima, del sistema illegale di Israele di arresti arbitrari di massa e maltrattamenti di prigionieri palestinesi. Dopo aver esaurito tutte le altre opzioni, ho deciso che non c’era altra scelta che resistere a questi abusi cominciando uno sciopero della fame. Circa 1.000 prigionieri palestinesi hanno deciso di prendere parte a questo sciopero, che inizia oggi, giorno che qui celebriamo come Giorno dei prigionieri”, scriveva Marwan che tra l'altro denunciava: “Israele, la potenza occupante, ha violato il diritto internazionale in molti modi per quasi 70 anni, ma gli è stata garantita impunità per le proprie azioni. Ha commesso gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra contro il popolo palestinese; i prigionieri, tra cui uomini, donne e bambini, non fanno eccezione”.
Secondo stime di organizzazioni per i diritti umani, più di 800.000 palestinesi sono stati imprigionati dai sionisti negli ultimi 50 anni, dalla guerra del 1967; un numero pari al 20% di tutta la popolazione palestinese dei Territori Occupati e il 40% della popolazione maschile. I detenuti palestinesi nelle carceri sioniste sono attualmente 6.500, di cui 58 donne, 300 bambini, 500 sotto detenzione amministrativa, ovvero trattenuti senza processo, e 1800 affetti da malattie di vario genere. Alcuni detengono il triste primato dei più lunghi periodi di detenzione dei prigionieri politici al mondo. Più di 200 Palestinesi sono morti dal 1967 nelle prigioni sioniste, assassinati sotto tortura o per mancanza intenzionale di cure mediche. Violazioni che si possono considerare crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
La protesta dei detenuti palestinesi, affermava Marwan, “è una conseguenza delle molteplici e sistematiche violazioni commesse dall’occupazione israeliana nei confronti dei diritti dei prigionieri e delle gravi infrazioni delle Convenzioni di Ginevra, inclusi tra l’altro arresti arbitrari di massa, trasferimenti forzosi di prigionieri nelle carceri che si trovano in Israele, torture, trattamenti disumani e degradanti, così come negligenze mediche intenzionali e misure punitive arbitrarie. I prigionieri, inoltre, subiscono violazioni dei loro diritti di visita e di contatto con i familiari. Negli ultimi anni, Israele ha limitato o revocato alcuni diritti faticosamente conquistati dai prigionieri mediante scioperi della fame. Dopo che le autorità israeliane di occupazione hanno ripetutamente rifiutato di prendere in esame le legittime richieste, basate sul diritto internazionale, dei prigionieri palestinesi, i prigionieri stessi hanno deciso di dare il via al loro sciopero della fame 'Libertà e Dignità' per porre fine a questi abusi”.
Il regime sionista ha respinto persino richieste del tipo l’istallazione di una linea telefonica fissa a disposizione di tutti i detenuti o la possibilità di ricevere una visita da parte di un familiare per due volte al mese, senza possibilità di interruzione da parte di nessuno e per una durata di un’ora e mezza, contro gli attuali 45 minuti; la possibilità di regolari controlli medici e di operazioni immediate nei casi di urgente bisogno; l'ingresso di libri, giornali, vestiti, cibo e oggetti particolari durante le visite.
Alla nuova protesta il Servizio carcerario sionista (IPS) rispondeva minacciando misure punitive per forzare i prigionieri a interrompere lo sciopero, tra la quali il trasferimento in altre strutture carcerarie e in celle di isolamento. Una misura applicata da subito a tre leader della protesta, tra i quali Marwan, trasferiti dalla prigione di Hadarim in celle di isolamento nel carcere di Jalama.
Il mentre il ministro per la sicurezza interna Ghilad Erdan sosteneva che l’isolamento di Barghouthi, che finirà di nuovo sotto processo per la pubblicazione dell'articolo sul quotidiano americano, “si è reso necessario perché incitava alla rivolta e guidava lo sciopero. Uno sciopero politico ed ingiustificato” la polizia manganellava e sparava lacrimogeni e proiettili di gomma contro i manifestanti palestinesi che la sera del 17 aprile erano scesi in piazza nei paesi di Alezariye e Abu Dis, a sud-est di Gerusalemme, nella Giornata del Prigioniero in solidarietà con la protesta dei detenuti con un bilancio di 11 palestinesi feriti e 23 intossicati dai lacrimogeni.

26 aprile 2017