La Turchia diventa repubblica presidenziale
Il dittatore fascista Erdogan vince con i brogli il referendum
51,3% Sì, 48,7% No. L'OSCE: garanzie violate. Il No è prevalso nelle grandi città e nel sudest curdo
Le opposizioni in piazza denunciano irregolarità

Il referendum del 16 aprile sugli emendamenti presidenzialisti alla costituzione della Turchia si è concluso ufficialmente con la vittoria del Sì che ha ottenito il 51,3% dei voti validi contro il 48,7% registrato dal No; uno scarto di poco meno di 1,3 milioni di preferenze. Tutti i partiti dell'opposizione hanno denunciato irregolarità e brogli, registrati anche dalla commissione internazionale di osservatori dell'organizzazione Osce, che hanno permesso al dittatore fascista Erdogan di vincere, modificare la costituzione e trasformare la Turchia in una repubblica presidenziale, garantendosi intanto più poteri. E a urne appena chiuse il governo estendeva per altri tre mesi lo stato di emergenza.
Contro il progetto di Erdogan, nonostane una campagna elettorale guidata dal regime a senso unico, si sono espresse quasi tutte le grandi città del paese, da Istanbul e Ankara, anche in molte zone dove recentemente aveva vinto il partito del presidente, l’Akp; per il No si sono espresse molte regioni occidentali e gran parte di quelle del sudest curdo.
In alcuni distretti curdi ha prevalso inaspettatamente il Sì ma agenzie kurde e società indipendenti di sondaggi denunciavano brogli, evidenziati dalla presenza nei seggi di tante schede non vidimate dalla commissione elettorale. L'apparizione di queste schede irregolari è stato uno degli elementi che hanno provato i brogli di regime. Il Consiglio elettorale supremo (in turco Yuksek Secim Kurulu, Ysk) a votazioni in corso decideva di ritenere validi da 1,5 a 2,5 milioni di voti raccolti in buste elettorali prive del timbro di garanzia che lo Ysk appone prima di inviarle ai seggi di destinazione, allo scopo di evitare l’introduzione nelle urne di voti falsi.
Il presidente dello Ysk, Sadi Guven, respingeva la denuncia delle garanzie violate espresse dalla delegazione dell'Osce e confessava candidamente che la validità di tali voti era stata decisa accogliendo accogliendo una richiesta di rappresentanti dell’Akp.
“Fin dal principio gli emendamenti alla costituzione sono stati votati illegalmente in parlamento, data l’assenza dei nostri colleghi tratti in arresto. Lo stato di emergenza in vigore durante la campagna referendaria ha privato i cittadini dei diritti di espressione, opinione e di un’informazione equa e imparziale”, denunciava un deputato del partito filocurdo Hdp. L'Hdp definiva “non legittimi, anzi assolutamente illegali” i risultati del referendum accusando il governo di aver manipolato i risultati con ogni mezzo e impedito la vittoria del No che avrebbe superato il 53% dei consensi.
Contro i brogli di Erdogan le opposizioni scendevano in piazza già il 17 aprile con proteste nelle piazze delle maggiori città turche; proteste che proseguivano per diversi giorni nonostante l'intervento repressivo della polizia che arrestava decine di manifestanti con l’accusa di sovversione dell’ordine democratico per aver partecipato alle proteste in strada.
Il Partito dei Popoli, l'Hdp, chiedeva “la cancellazione del referendum”; alla proposta si associava la portavoce del Partito Repubblicano, il Chp, che dichiarava che “non accetteremo questa costituzione come un fatto compiuto. Il referendum di domenica è per noi nullo”. I ricorsi presentati da Hdp, Chp e dal partito extraparlamentare Vatan che contestavano la legalità del referendum costituzionale e la legittimità della decisione dello Ysk sulle schede elettorali prive di timbro, erano respinti in blocco il 19 aprile dallo stesso Consiglio elettorale supremo.
Il presidente Erdogan incassava l'appoggio dell'amico russo Vladimiir Putin, che qualificava il referendum come una questione interna alla Turchia su cui gli altri Stati non dovrebbero avere voce in capitolo. E il ministro degli Esteri Cavusoglu attaccava la delegazione Osce che a suo dire doveva solo fornire una relazione tecnica e non una valutazione politica del referendum. Come se i pacchi di schede non vidimati non fossero una questione tecnica e al contempo politica, indicativa dei brogli del regime.

26 aprile 2017