Usa e Rpd di Corea si provocano a vicenda
La Cina media per la pace
Trump si dichiara disponibile a incontrare Kim

Il presidente americano Donald Trump si è detto disponibile a incontrare il leader della Corea del Nord Kim Jong-un, se “ci fossero le giuste condizioni”. “Se fosse appropriato per me incontrarlo, lo farei di sicuro. Ne sarei onorato”, sosteneva Trump l'1 Maggio in una intervista a Bloomberg sparigliando come oramai suo solito in una partita che vede da settimane uno scontro crescente tra Washington e Pyongyang; con la Cina impegnata, sembrava quasi senza speranze, in una mediazione per la pace. Se e in che modo la crisi della penisola coreana possa essere disinnescata è tutto da vedere, i tamburi di guerra suonano ancora forti dopo che Trump ha ordinato il 25 aprile l'invio nelle acque coreane del sottomarino a trazione nucleare Michigan e dopo che il 29 aprile Usa e Corea del Sud hanno dato il via alle programmate e provocatorie esercitazioni congiunte; e dopo che ha di fatto sfidato la rivale Cina di Xi Jinping a darsi da fare per risolvere la crisi nel suo cortile di casa. Trump con la dichiarata disponibilità a incontrare Kim ha messo il cerino in mano a Xi, se gli risolve il problema va bene altrimenti può farlo da solo e prendersene il merito o in alternativa si è procurato l'alibi per intervenire militarmente. In ogni caso l'imperialismo americano con Trump ritorna protagonista attivo anche nello scenario asiatico.
Il 19 aprile le “preoccupazioni dell’escalation della tensione intorno alla Corea del Nord” da parte di Pechino erano rappresentate dal portavoce del ministero degli esteri cinese in una dichiarazione alla Bbc che indicava la necessità di ridiscutere la situazione militare di tutta la penisola coreana, compreso lo schieramento nella Corea del Sud del sistema missilistico americano Thaad puntato sulla Cina, e non solo quella a nord del 38esimo parallelo. Per il momento di tavoli di discussione non se ne parla, gli rispondeva il vicepresidente americano Mike Pence ribadendo che “con il presidente Trump lo scudo è in guardia e la spada è pronta”.
In sequenza arrivavano le dichiarazioni del 24 aprile dell'ambasciatrice americana all’Onu, Nikki Haley, che non escludeva un raid degli Stati uniti contro la Corea del Nord, se Pyongyang “effettuerà un altro test nucleare” mentre il 28 aprile alle Nazioni Unite il segretario di Stato, Rex Tillerson, sosteneva che “l’intera comunità mondiale deve aumentare drasticamente le sue pressioni sulla Corea del Nord, altrimenti si va verso una catastrofe. E l’America è pronta a intervenire militarmente se necessario”. La sera prima Trump in un’intervista all’agenzia Reuters aveva tra l'altro affermato che “c'è una possibilità che finiamo in una grande, grande guerra con la Corea del Nord. Assolutamente”. Già il 29 aprile dopo il settantacinquesimo test missilistico nordcorenao, pur fallito, da quando Kim Jong-un è al potere Trump aveva chiamato in causa la Cina raccontando che Xi gli avrebbe detto che la Corea sarebbe sempre stata sotto “il controllo della Cina” e due giorni dopo si toglieva la divisa militare e indossava l'abito del diplomatico per dare direttamente la mano a Kim.
La decisione dell'imperialismo americano di inviare il sottomarino nucleare Michigan, dotato di 154 missili Tomahawk, nelle acque coreane era condannata dal governo di Pyongyang che dopo aver minacciato di affondare la portaerei Carl Vinson, assicurava lo stesso trattamento al sommergibile considerato una "ulteriore minaccia militare verso la nostra Repubblica" mentre con un articolo sul quotidiano ufficiale nordcoreano Rodong Sinmun ammoniva che “se gli Stati uniti e i bellicisti si lanceranno a realizzare un imprudente attacco preventivo, condurremo il più brutale dei castighi”. Ma la politica dell'amministrazione americana era a questo punto indirizzata verso l'aspetto diplomatico tanto che Tillerson all'Onu dopo che non aveva escluso l'intervento militare apriva alla possibilità di avviare contatti diretti tra Stati Uniti e Corea del Nord; precisando che era condizionata dalla disponibilità di Pyongyang a discutere della denuclearizzazione della penisola coreana e non solo del congelamento del suo programma nucleare.
In attesa della risposta di Pyongyang registriamo intanto le forti proteste in Corea del Sud contro lo schieramento del sistema missilistico Thaad al grido di “No Thaad, no Guerra” e “Hey Usa! Siete amici o forze d’occupazione?”. Il 26 aprile negli scontri seguiti alle manifestazioni in varie città del paese c'erano almeno una ventina di feriti e altre manifestazioni erano annunciate dalle oltre 150 organizzazioni pacifiste riunite nella “National Action to Oppose Thaad Deployment in Korea”.
 

3 maggio 2017