Scritte a quattro mani da governo e Confindustria le modifiche alla Valutazione impatto ambientale (VIA) delle grandi opere pubbliche
Una “VIA” a favore delle lobby e contro l'ambiente e le popolazioni
Protestano le associazioni ambientaliste

Nel dossier “Questa non è la Via”, centinaia di associazioni ambientaliste spiegano le criticità del decreto proposto dal governo Gentiloni per le nuove procedure di Valutazione di impatto ambientale (VIA), che cambieranno in peggio le norme che regolano le grandi opere ed anche linee ferroviarie, autostrade, ponti e di gasdotti come ad esempio il Tap. Un colpo di spugna radicale su quanto in questi anni si è ottenuto attraverso faticose ed estenuanti battaglie, in materia di trasparenza delle procedure e di valutazioni ambientali. La giustificazione del governo sarebbe il recepimento di una direttiva comunitaria del 2014, ma in realtà esso nasconde una riforma pericolosissima, un vero punto di non ritorno per la tutela ambientale e di sdoganamento alla cementificazione selvaggia.

I contenuti del decreto
Il documento delle associazioni ambientaliste denuncia: “Meno partecipazione, più accentramento, sanatorie e regali alle lobbies. Il governo Gentiloni intende mettere il bavaglio a quanti vogliono parlare e capire”. Ed ancora “oltre a rappresentare una vera e propria involuzione sul tema del rapporto tra comunità e interessi privati che sostengono i progetti, (il decreto, ndr) si rivela criminogeno e, in qualche passaggio, anche eversivo dello stato di diritto“. Nella sostanza il decreto prevede di poter accedere in qualsiasi momento e per qualsiasi tipologia di opera alla VIA “in sanatoria”, introducendo addirittura la possibilità di continuare i lavori anche se colti in mancanza di VIA a cantiere aperto, sia esso una cava, un gasdotto, un ponte o altro, oppure quando il parere di VIA esistente è stato sospeso o annullato dal Tribunale amministrativo regionale. Praticamente ogni cantiere può andare avanti, anche se palesemente irregolare. Casi destinati a moltiplicarsi, anche perché attualmente, per aprire la procedura di VIA, bisogna depositare il progetto definitivo ai fini delle analisi geologiche, strutturali ed ambientali; con il nuovo provvedimento invece, aziende e imprese proponenti possono presentare anche “quattro schizzi, privi di dettagli tecnici fondamentali per verificare gli impatti oppure, come sta accadendo frequentemente, per accorgersi di eventuali abusi già commessi”. Un fatto gravissimo e, per certi versi, senza precedenti, è la modifica che consente ai componenti della commissione di VIA nazionale di essere scelti direttamente dal ministro senza fare ricorso a procedure concorsuali. La modifica è stata introdotta proprio dopo la bocciatura della Corte dei Conti della nomina di Galletti per la nuova commissione VIA, poichè avvenuta proprio per l’assenza di criteri selettivi. In teoria coloro che assumono l’incarico dovrebbero essere persone competenti e indipendenti che garantiscano l’interesse generale alla tutela dell’ambiente; va da sé la deduzione che adesso il controllo governativo e parlamentare diventerà totale, così come le delibere della commissioni, compiacenti al governo che le ha nominate. Un modo questo per raggirare uno degli aspetti principali riguardanti l’esito referendario del 4 dicembre capace di bocciare anche la riforma del Titolo V della Costituzione, che prevedeva un forte accentramento dalle regioni allo Stato, delle valutazioni delle opere ambientali. Adesso molti dei progetti di estrazione del petrolio e di prospezione, anche con l’uso dell’airgun e di esplosivi, verrebbero esclusi dalla VIA diretta, così come, per fare un nuovo grande regalo da centinaia di milioni di euro alle multinazionali, sarà consentito di non smontare piattaforme e gasdotti a fine lavorazione lasciandoli ad inquinare ancora e a deturpare il paesaggio. Il governo Renzi-Gentiloni, continua dunque ad essere un grande amico delle multinazionali e dei petrolieri. C’è poi un passaggio dal quale davvero si percepisce il peso che ha avuto Confindustria nel redigere il testo,unico partners del governo in fase di stesura del testo; il Decreto prevede infatti un ruolo centrale del proponente l’opera, tanto che quest’ultimo, sia ENI o Autostrade ad esempio, potrà in qualunque momento richiedere un confronto con l’Autorità competente e addirittura rispondere alle osservazioni dei cittadini, sostituendosi al ministero, attraverso delle “controdeduzioni”. Per agevolare ogni progetto nel minor tempo e con la minor protesta possibile, è stato cancellato anche l’obbligo di pubblicazione sui quotidiani dell’inizio di un iter di Valutazione ambientale, unica possibilità di informazione pubblica esistente fino ad oggi. “La verifica di assoggettabilità a VIA, che oggi è un primo filtro per impianti anche pericolosi e distruttivi diventerà un orpello. Infatti per ben 90 categorie di opere e impianti è stata eliminata completamente la fase di partecipazione per cittadini ed enti, che oggi hanno 45 giorni per presentare osservazioni.” Di fatto quindi uno stravolgimento di una valutazione che dovrebbe servire a capire gli impatti ambientali e i costi di un opera, nell’interesse generale, e non a spingerne la realizzazione. In ultima analisi quindi, decide tutto il governo.

Rimangiate le misure apportate dal “Codice degli appalti”. Si torna alla Legge Obiettivo di Berlusconi.
In tutti i cantieri “problematici”, dall’alta velocità tra Milano e Genova a quelli della Variante di Valico, il problema principale è stato sempre lo stesso; una volta aperti i cantieri si è appurata la presenza di amianto, gas o falde idriche che i progetti preliminari non avevano individuato. Oltre all’ulteriore devastazione ambientale, una manna per i gestori dei cantieri che a quel punto potevano operare varianti, aumentare i costi e gestire senza limiti o controlli i subappalti. Per questo il fronte ambientalista denuncia con forza il ritorno alle opacità e alle pratiche fallimentari della Legge Obiettivo, uno dei trofei posti nell’albo di Confindustria e delle multinazionali dal governo Berlusconi. Infatti, in particolare dopo la Legge Obiettivo approvata nel 2001, i costi delle infrastrutture sono lievitati da 125 a 375 miliardi, quasi tutte inserite in cantieri che hanno dato luogo ad indagini giudiziarie, scandali ed arresti a raffica di dirigenti ed amministratori. Inchieste troppo evidenti che indussero il governo ad approvare nel 2016 un Codice degli appalti che superava la stessa Legge Obiettivo in qualche sua parte più controversa. Nel Codice veniva posto un timido argine a questa deriva, con affidamenti dei cantieri esclusivamente sulla base di progetti definitivi, limitazioni per i subappalti ma anche l’introduzione formale del dibattito pubblico sulle opere, sostanzialmente specchietto per le allodole di una sedicente volontà di informazione alla popolazione. Il dietro front di oggi a quelle modifiche approvate solo pochi mesi fa, è la principale ragione per la quale un ampio cartello di associazioni ambientaliste, da Legambiente al WWF, chiedono a parlamento e governo di cambiare strada, lanciando l’allarme. Ma d’altra parte, sebbene dette associazioni avessero accolto positivamente il nuovo Codice degli appalti, alcuni dubbi di fondo c’erano. Era chiaro che tutto dipendesse dalla sua applicazione e, il fatto che all’indomani dell’approvazione l’allora presidente del consiglio Renzi avesse rilanciato il vergognoso progetto del ponte sullo stretto di Messina, la diceva lunga sulle vere intenzioni del governo circa le grandi opere infrastrutturali. Anche le misure di Del Rio non erano altro che l’ennesima modifica attraverso la quale coprire uno scandalo che in realtà è un modo comune di operare in questo settore; ovvero misure gridate a tutta la stampa come risolutive per cambiare strada ma che, nella sostanza, potevano essere raggirate o ancora cambiate come accade ora, ripristinando tutto perfettamente come i capitalisti vogliono. In gioco dunque, anche stavolta, c’è la volontà di facilitare opere infrastrutturali che ingrassano i profitti delle grandi multinazionali da una parte, e la tutela dei territori, paesaggi, popolazioni e soldi pubblici dall’altra. Il capitalismo e tutti i suoi agenti, a partire dal governo Renzi-Gentiloni servono la prima, mentre la lotta per il socialismo che dovrebbe fare da sfondo alle battaglie ambientali, è l’unica via per realizzare la seconda.
 

10 maggio 2017