Approvato dal Senato il Jobs Act per i lavoratori con partita Iva
Nessuna tutela, paghe da fame e sempre più ricattabili
Approvata anche la legge sul “lavoro agile” che legalizza il nuovo lavoro a domicilio e a cottimo

Con l'approvazione del Senato diventa definitivamente legge lo “Statuto” dei lavoratori autonomi. Presentato a gennaio 2016 dal consiglio dei Ministri, approvato dalla Camera nel marzo 2017, ha superato la votazione dell'altro ramo del parlamento il 10 maggio scorso. Si tratta quindi di una proposta del governo Renzi figlia del Jobs Act, portata avanti dall'attuale compagine governativa di Gentiloni, in pratica una succursale del vecchio esecutivo che vede tra l'altro al ministero del lavoro la solita persona, l'ex presidente di Lega-Coop, Giuliano Poletti.
C'era grande attesa tra gli interessati per questa legge denominata anche “Jobs Act del lavoro autonomo” ma il riferimento a quella controriforma non aveva lo stesso segno negativo. Per i dipendenti del settore privato è stato chiaro fin dall'inizio che lo scopo era quello di tutelare e favorire i padroni e togliere dignità e diritti ai lavoratori. Per il settore degli autonomi e delle partite iva, privo di qualsiasi regolamentazione e di ammortizzatori sociali, ci si aspettava invece un avanzamento di diritti e tutele per quei lavoratori, ma la montagna ha partorito il topolino.
Prima di tutto dobbiamo chiarire che non stiamo parlando, salvo una piccola minoranza, di ricchi professionisti ma di oltre 2 milioni di persone che cercano di sbarcare il lunario. Nella stragrande maggioranza dei casi il forte aumento avvenuto in questi anni di questo tipo di lavoratori non è altro che la conseguenza dell'ultima crisi economica capitalistica e della deregolamentazione del mercato del lavoro. Quelli che vengono definiti imprenditori di se stessi o autoimprenditori sono spesso soggetti che non trovano altro impiego e accettano un livello di garanzie inferiore a quello del lavoratore dipendente pur di garantirsi un reddito che, è bene ricordarlo, è quasi sempre molto basso.
Sostanzialmente le misure della nuova legge prevedono la Dis-coll, l’indennità di disoccupazione per i collaboratori, anche a progetto, che diventa strutturale, ed estesa ad assegnisti e dottorandi di ricerca con borsa di studio, a fronte di un incremento dell’aliquota contributiva dello 0,51 per cento. Ad essa si affianca una diversa disciplina in caso di malattia, infortunio e gravidanza: in queste circostanze, se si svolge un’attività continuativa per il committente, il rapporto di impiego non si estingue (senza diritto a corrispettivo) e può essere sospeso fino a 150 giorni (salvo il venir meno dell’interesse del “datore”). In caso di maternità si potrà riscuotere l'indennità anche lavorando e previo consenso del committente, la neo-mamma potrà essere sostituita da altri colleghi di fiducia, in possesso dei requisiti professionali. Se la malattia o l’infortunio è molto grave, si può interrompere il versamento di contributi e premi fino a due anni ma si dovranno restituire in rate mensili
Le spese per l’esecuzione di un incarico, sostenute dal committente, ma anticipate dal professionista e poi inserite in fattura, devono essere escluse dai compensi e quindi non concorreranno alla formazione del reddito. Inoltre è prevista la totale deducibilità dei costi per l’aggiornamento professionale. Anche se in alcuni casi si fanno dei piccolissimi passi avanti la condizione generale del lavoratore autonomo non cambia poiché si tratta di garanzie a “costo zero” per il committente mentre il lavoratore potrà usufruire solo di qualche rateizzazione, sospensione, e in alcuni casi della conservazione del lavoro in cambio dell'aumento delle aliquote a suo carico.
Sono completamente assenti riferimenti ai compensi minimi e ai salari previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro dei lavoratori subordinati corrispondenti, le garanzie sulle mancate riscossioni (il lavoratore si dovrà pagare un'assicurazione), sui diritti sindacali, sull'equo compenso mentre le conquiste sono piccole e parziali. Insomma, una legge che non tutela i lavoratori autonomi e le partite iva che invece di essere assimilati ai dipendenti rimangono ricattabili e costretti farsi in quattro per racimolare paghe da fame.
L'altra legge approvata riguarda il “lavoro agile” o smart work che “promuove forme flessibili del lavoro agile allo scopo di incrementare la produttività del lavoro e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”. Già adesso il lavoro a distanza e il telelavoro è regolamentato: nel settore pubblico attraverso la legge Bassanini del 2001, mentre in quello privato vige un accordo interconfederale del 2004 che ne recepisce uno precedente di livello europeo. In sostanza si vuole andare oltre la legislazione vigente e favorire una nuova forma di lavoro precario, in espansione grazie allo sviluppo delle tecnologie telematiche e digitali.
Il governo la spaccia come una conquista che permette di acquisire gli stessi diritti normativi e salariali attuati per chi svolge il lavoro dentro l'azienda ma non è così. Il lavoratore stipula un contratto direttamente con il padrone, l'accordo collettivo è subordinato a quello individuale dove il singolo lavoratore non ha nessuna voce in capitolo. Lo conferma un articolo della legge dove si precisa che gli accordi collettivi, di qualsiasi livello, al massimo possono integrare la disciplina che regola il lavoro agile e non il contrario.
Si stabilisce il lavoro da fare, i tempi di consegna, dopodiché starà al lavoratore o alla lavoratrice arrangiarsi. In estrema sintesi si tratta di legalizzare nuove forme di lavoro nero attraverso vecchi sistemi di sfruttamento che tanto assomigliano al lavoro a cottimo e a domicilio dove i padroni risparmiano le spese organizzative perché si lavora a casa propria, la salute e la sicurezza sono affari del lavoratore, l'orario di lavoro non ha alcun limite e il contratto collettivo nazionale di lavoro viene del tutto bypassato.
Due leggi figlie del Jobs Act che continua a dare i suoi frutti amari. Una controriforma che non solo ha eliminato l'articolo 18, ma ha cancellato definitivamente il diritto borghese del lavoro instaurando relazioni industriali e sindacali di stampo mussoliniano, liberando i capitalisti da quelle limitazioni imposte dalla Costituzione e dalle lotte della classe operaia nel dopoguerra.
 

17 maggio 2017