L’opposizione al sionismo da parte degli ebrei è la miglior risposta a chi equipara l’antisionismo all’antisemitismo
Gli ebrei democratici, in Italia e nel mondo, non possono riconoscersi in Israele nazi-sionista

Di fronte ai crimini efferati dello Stato di Israele nei confronti dei palestinesi, e non solo, l’unico paragone che può venire in mente è quello con la Germania nazista, l’Italia fascista e gli altri regimi nazifascisti sorti tra gli anni Trenta e Quaranta del Novecento ovunque in Europa e persino in Giappone, e il paragone non riguarda soltanto le efferatezze compiute, ma anche e soprattutto il mito fondatore e fondante di tali regimi, un mito che affonda le sue radici sul concetto biologico della “razza”: battuta in Europa, con la dissoluzione dei regimi fascisti, tale aberrante concezione secondo la quale l’umanità sarebbe divisa in razze superiori e inferiori, essa è risorta tre anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, e precisamente nel 1948, nel Medio Oriente con la fondazione dello Stato di Israele che pose a proprio fondamento l’ideologia sionista, in base alla quale gli ebrei sparsi per il mondo avrebbero costituito allora, e tuttora costituirebbero, non una comunità religiosa ma una vera e propria “razza” costituita dai discendenti di coloro che, sempre secondo tale mistificatoria e aberrante ideologia, avrebbero abbandonato in massa la provincia romana della Judea nel corso del I e del II secolo dopo Cristo sparpagliandosi per il mondo.
Eppure, si chiedono nel mondo tanti studiosi e anche tanti semplici cittadini di fede democratica tra cui tanti ebrei, se i presupposti stessi sui quali si fonda il sionismo (diaspora ebraica, ‘razza ebraica’ e quindi popolo ebraico) fossero soltanto un mito ideologico, una falsa e fasulla ricostruzione del passato non dissimile, nei suoi presupposti, da quello nazista della ‘razza ariana’, come si potrebbe giustificare politicamente l’invasione in massa da parte di milioni di persone giunte quasi esclusivamente dall’Europa centrosettentrionale nel corso dell’ultimo secolo, e particolarmente dal 1948, in un territorio già abitato e popolato da arabi? Se poi si venisse addirittura a scoprire non soltanto che nessuno degli invasori è discendente da coloro che professavano la fede ebraica e che vivevano nell’antica Judea ma che addirittura i veri discendenti degli antichi ebrei che abitavano quel lembo di terra tra il Giordano e il Mediterraneo siano proprio i palestinesi, come si potrebbe definire il sionismo in altro modo che una delle dottrine politiche più vergognose e aberranti che siano mai state architettate nella storia ai danni dell’intero genere umano, ebrei compresi.

 

La nascita e lo sviluppo del sionismo
Chiunque osi muovere anche la minima critica allo Stato di Israele e al sionismo viene immediatamente tacciato di antisemitismo e di essere un nemico degli ebrei, ma la verità è che il sionismo è una dottrina politica mentre l’ebraismo è una fede religiosa.
Anche se i sionisti sostengono che le radici ideologiche e morali della loro concezione politica si troverebbero nella Bibbia, in realtà il sionismo è un fenomeno politico relativamente recente, che risale nella sua forma compiuta alla fine del XIX secolo quando, sull’onda dei nazionalismi sorti in Europa nella seconda metà dell’Ottocento, la grande borghesia ebraica del vecchio continente si propose di ottenere un proprio territorio, un proprio Stato ed una propria area di dominio economico nel Medio Oriente.
Ovviamente per giustificare la colonizzazione di un territorio e la successiva espansione il sionismo si è sempre servito del pretesto religioso con fortissimi richiami alla tradizione ebraica, all’interno della quale peraltro mai nessuno studioso aveva neppure lontanamente pensato di considerare gli ebrei - sparsi per il mondo e con decine di diverse lingue nazionali parlate nella vita quotidiana - come un “popolo”: si cominciò a parlare di costituzione di una “nazione ebraica universale” e poi - sulla falsariga e a imitazione di quanto sosteneva lo scrittore anglo-tedesco Houston Steward Chamberlain (1855-1927) che fu uno dei padri spirituali del nazismo e che è il primo importante teorico della “razza ariana” - di “supremazia della razza ebraica” sulle altre razze e di “popolo eletto da Dio” destinatario della promessa, contenuta nel Vecchio Testamento, del territorio della Palestina, possedimento dell’Impero Ottomano fino al 1918 e poi possedimento britannico fino al 1948.
Il sionismo - nato ufficialmente alla Conferenza di Basilea del 1897 che riunì numerosi intellettuali ebrei sotto la guida e l’impulso del giornalista ungherese di lingua tedesca Teodoro Herzl (1860-1904) e, soprattutto, accompagnato da ingenti finanziamenti di tutti i banchieri europei della famiglia Rothschild che ne garantirono da subito il successo - si caratterizza sin dalla sua fondazione come un movimento politico borghese, nato per costituire in Palestina (ma originariamente Herzl pensava anche a un’area dell’Argentina) uno Stato diretto dalla grande borghesia ebraica internazionale che, per rendere effettivo il proprio dominio, ha favorito l’emigrazione in quel territorio del proletariato ebraico proveniente soprattutto dall’Europa centrale e orientale, sfruttando abilmente la plurisecolare condizione di disagio sociale e di emarginazione degli ebrei, disagio ed emarginazione alimentati ovviamente dalle Chiese e dai governi reazionari di quegli Stati, dove vivevano la stragrande maggioranza di tutti gli ebrei del mondo e dove il capitalismo industriale stava provocando forti tensioni sociali.
Peraltro, nel ventennio tra il Congresso di Basilea del 1897 fino al termine della prima guerra mondiale l’emigrazione ebraica verso la Palestina ottomana fu modesta, tanto che nel 1917 la popolazione ebraica nella Palestina ottomana consisteva in soli 56.000 individui, neanche un decimo della popolazione araba che contava oltre 600.000 abitanti.
Il sionismo trovò invece un terreno assai più fertile per il suo sviluppo dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano nella prima guerra mondiale che fino a quel momento aveva governato la Palestina - e sotto il cui governo durato molti secoli avevano convissuto in modo relativamente pacifico musulmani, cristiani ed anche una piccolissima minoranza di ebrei - così che al governo turco succedette quello britannico, la cui dominazione durò fino alla fine del secondo conflitto mondiale, quando furono gli Stati Uniti a fare sentire il loro predominio sulla politica internazionale.
Nefasta fu a questo proposito la dichiarazione ufficiale che il ministro degli esteri britannico Balfour rese il 2 novembre 1917 - quindi ancor prima della fine della prima guerra mondiale, ma quando ormai le truppe inglesi avevano conquistato gran parte della Palestina - al barone Lionel Walter Rothschild, uno dei maggiori banchieri d’Europa e vicepresidente della Federazione Sionista d’Inghilterra: in tale dichiarazione il ministro Balfour rassicurava che il governo al quale egli apparteneva considerava con favore la formazione in Palestina di un’entità giuridica nazionale (nel testo originale egli parlava di “national home ”) per gli ebrei e che avrebbe impiegato ogni sforzo per realizzare tale progetto, senza pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina (ma il documento ometteva ogni riferimento alla salvaguardia dei diritti politici di tali comunità non ebraiche), e senza pregiudicare i diritti degli ebrei residenti in altri Paesi del mondo.
Attraverso questo aberrante documento, frutto di una logica imperialista e colonialista da parte dell’Inghilterra, i sionisti iniziarono da subito a sostenere l'idea truffaldina secondo la quale il territorio della Palestina fosse una terra senza popolo da offrire ad un popolo senza terra, mentre nella realtà uno Stato coloniale e imperialista concedeva arbitrariemente ad un'entità, che non era una nazione il territorio di una nazione che legittimamente aspirava a diventare uno Stato libero ed indipendente in grado di assicurare alla sua popolazione – senza discriminazioni di etnia, lingua o religione - pari dignità e uguali diritti.
La dichiarazione di Balfour, lungi dall’essere una filantropica e disinteressata iniziativa umanitaria a favore degli ebrei, come il sionismo l’ha sempre interpretata, fu in realtà un fine atto politico che mirava all'appoggio delle comunità ebraiche europee e americane alla causa dell'Intesa e, nello specifico, della completa vittoria inglese contro l’Impero Ottomano, vittoria decisiva che l’Inghilterra ottenne nella battaglia di Megiddo nell’ottobre del 1918, che mise termine alla campagna militare di Palestina e costrinse il sultano ottomano Maometto VI a firmare nello stesso anno l’armistizio di Mudros e poi nel 1920 il trattato di Sèvres. La Gran Bretagna, che era sicuramente la principale artefice della sconfitta dell’Impero Ottomano, ottenne quindi con grande facilità nel 1922, dalla Società delle Nazioni, il mandato sulla Palestina, garantendosi una presenza strategica nell'area cruciale fra il canale di Suez e il Golfo Persico.
La Gran Bretagna favorì, nel periodo del suo mandato, l'immigrazione ebraica in Palestina, la cui popolazione crebbe da 56.000 unità del 1917 a 84.000 unità del 1922 (a fronte degli oltre 660.000 arabi), a 175.138 abitanti del 1931 (a fronte degli oltre 850.000 arabi), a 360.000 abitanti della fine degli anni trenta fino a giungere ai 905.000 abitanti del 1947, un anno prima della fondazione dello Stato di Israele.
Gli arabi ovviamente reagirono duramente al saccheggio e all’espropriazione della propria terra da parte dei sionisti, sin dal maggio 1921 quando ad Haifa, Jaffa e Gerusalemme si verificarono sanguinosi scontri che furono soltanto l’inizio di una Resistenza popolare nella quale si sarebbero mobilitate nei successivi decenni le masse dei lavoratori e dei contadini arabi che pagarono, e tuttora pagano, il prezzo più alto della politica di colonizzazione sionista che sin dall’inizio ha negato loro il lavoro a favore dei nuovi immigrati ebrei e si è prefissa l’obiettivo di espellerli dai propri luoghi di residenza man mano che crescevano i nuovi insediamenti sionisti e le nuove espropriazioni di terreno.
Alla fine dell'agosto del 1929 nuove rivolte popolari arabe si verificarono a Hebron e a Gerusalemme, poi forti manifestazioni contadine scossero il Paese nel 1933, ma è soltanto nell’aprile del 1936 che iniziò quella che è passata alla storia come la Grande Rivolta Araba, quando la popolazione palestinese insorse massicciamente con una dura, massiccia e compatta sollevazione popolare contro l’ormai asfissiante ingerenza del sionismo nel loro territorio. Dopo l'uccisione nel novembre del 1935 di un importantissimo dirigente della Resistenza palestinese ad opera degli inglesi, lo sceicco Ezzedin al Qassam, il Supremo Consiglio Arabo - l'organismo che raggruppava tutte le forze politiche della Resistenza palestinese - indisse uno sciopero generale al quale aderì la totalità del popolo palestinese, che si trasformò ben presto in insurrezione armata sia contro gli occupanti britannici sia contro le squadracce paramilitari sioniste denominate Haganah e Irgun, vere e proprie organizzazioni criminali. Le truppe inglesi, l’Haganah e l’Irgun riuscirono a reprimere definitivamente la rivolta araba, alla quale aderirono anche numerosi ebrei antisionisti, soltanto nel marzo 1939.
Le bande armate sioniste si macchiarono già in questo periodo di ogni possibile nefandezza, e non si fecero scrupolo di sterminare senza pietà anche gli ebrei pur di raggiungere i loro scopi: nel 1940 persero la vita 252 ebrei imbarcati nella nave francese Patria sabotata nel porto di Haifa dai sionisti, i quali commisero questo atto disumano al solo scopo di incolpare falsamente gli arabi e fomentare così l'odio contro di essi da parte della popolazione ebraica.
L’atteggiamento inglese fu estremamente spregiudicato: strizzava gli occhi sia ai sionisti sia agli arabi. Nel 1937 il governo britannico, per accontentare i sionisti, presentò un piano di spartizione della Palestina in tre zone, accettato dai sionisti ma non dagli arabi, ma contemporaneamente, allo scopo di accontentare gli arabi, impose severe limitazioni all’immigrazione ebraica.
Ormai era giunta la vigilia della seconda guerra mondiale, e dal 1939 al 1945 altri ebrei riuscirono a emigrare fortunosamente in Palestina per sfuggire alle persecuzioni nazifasciste, e solo alla fine della guerra, quando l’Armata Rossa liberò i campi di sterminio nazisti, si riuscì a intuire la portata dello sterminio della popolazione ebraica d’Europa.
Nel frattempo, con la loro entrata in guerra alla fine del 1941, anche Stati Uniti furono pesantemente coinvolti nella questione, tanto che fu proprio nella riunione dell'organizzazione sionistica mondiale svoltasi nel maggio 1942 all'Hotel Biltmore di New York che David Ben Gurion, allora presidente dell'Agenzia ebraica, fece approvare un programma che mirava a costituire alla fine della guerra lo Stato ebraico in Palestina e indicava come indispensabile, per l'attuazione di questo obiettivo, l'adozione di una nuova strategia che favorisse l'alleanza fra il sionismo, la grande finanza ebraica statunitense e il governo americano.
Intanto i sionisti proseguivano nella loro sistematica opera di colonizzazione della Palestina, e creavano altre strutture paramilitari come la Banda Stern, una vera e propria organizzazione criminale dedita, come l’Irgun e l’Haganah, anche alla commissione di reati comuni. La Banda Stern, l’Irgun e l’Haganah pianificarono una devastante campagna di terrore sia contro la popolazione araba che contro gli occupanti inglesi, tanto che il 2 aprile 1947 la Gran Bretagna, nel tentativo di ricercare una soluzione accettabile tanto dagli arabi che dai sionisti, mise il problema della spartizione della Palestina nelle mani dell’appena costituita organizzazione delle Nazioni Unite.
Il dibattito in seno all’ONU vide scontrarsi da una parte inglesi e americani e dall’altra l’Unione Sovietica. Gli inglesi, pur di mantenere il controllo dell’area, si misero a disposizione per un nuovo mandato, mentre gli Stati Uniti puntavano a sostituirsi all’imperialismo britannico, e proposero la creazione in Palestina di uno Stato ebraico che nascesse sotto la propria protezione, e poi anche di uno Stato arabo.
Stalin, dal canto suo, nel pieno riconoscimento del diritto di tutti i popoli all'autodeterminazione, presentò la sua proposta che prevedeva la creazione di un unico Stato palestinese del quale avrebbero fatto parte sia ebrei sia arabi, pur essendo pienamente consapevole che la situazione creata in Palestina dalla politica dell'imperialismo britannico, in combutta con il sionismo, aveva esasperato a tal punto la rivalità e l'ostilità tra arabi ed ebrei da rendere praticamente assai difficile la loro cooperazione all'interno di un unico Stato. Bocciata tale proposta dall’ONU, all’Unione Sovietica non restò che adattarsi alla soluzione dei due Stati proposta dagli Stati Uniti, pur proponendo specifiche soluzioni che prevedevano la collaborazione tra i due Stati, al fine di mitigare l’influenza degli Stati Uniti su quell’area. Quindi lo Stato di Israele fu proclamato unilateralmente il 14 maggio 1948 e fu riconosciuto dai sovietici, i quali - pur criticando il sionismo come si vedrà più avanti - avevano il più profondo rispetto per gli ebrei anche a causa delle sofferenze che essi avevano subito in Europa insieme alla stessa popolazione sovietica. Successivamente però l’URSS di Stalin prese le distanze da Israele per i crimini che esso iniziò a commettere sin dalla sua costituzione contro il popolo palestinese, perché impediva la formazione dello Stato palestinese e per il suo connubio e il suo allineamento con l'imperialismo americano.

I crimini dei sionisti
I crimini commessi dello Stato di Israele - sia contro gli arabi, sia contro gli stessi ebrei, sia contro altri Stati - essi sono innumerevoli, ed è lunghissimo elencarli tutti.
Innanzitutto il sionismo si è reso responsabile di quella vera e propria pulizia etnica a danno dei palestinesi che è passata alla storia con il nome di Nakba (Catastrofe), perpetrata con massacri ed espulsioni forzate tra il 1947 e il 1950: tra dicembre 1947 e gennaio 1948 (ancora prima quindi della nascita dello Stato di Israele e allo scopo di mettere le Nazioni Unite di fronte al fatto compiuto di interi territori abitati soltanto da ebrei) la violenza delle bande armate sioniste (soprattutto l’Haganah ) fu diretta deliberatamente contro la popolazione araba urbana allo scopo di provocare il collasso di tutte le strutture sociali palestinesi: fu colpita selettivamente ed esclusivamente la popolazione araba più alfabetizzata ed emancipata, e le violenze provocarono circa 1000 morti e 2000 feriti tra dicembre 1947 e gennaio 1948, che a fine marzo 1948 erano diventati rispettivamente più di 2000 morti e 4000 feriti. Tale campagna di terrore costrinse a scappare, per sfuggire alla morte, oltre 70.000 arabi tra dicembre 1947 e gennaio 1948, che divennero oltre 100.000 alla fine di marzo.
Con questa prima fase di terrore la società palestinese aveva ormai perduto i suoi maggiori dirigenti politici ed economici, costretti a rifugiarsi nei confinanti Stati arabi.
La fuga delle classi medie e superiori (medici, infermieri, avvocati, giornalisti, impiegati, ministri di culto musulmani e cristiani, mercanti) comportò la chiusura delle scuole, degli ospedali, delle cliniche, degli esercizi commerciali e persino dei luoghi di culto, gettando la società palestinese nel caos e generando lo sgretolamento della struttura sociale palestinese.
Il terrore delle bande armate sioniste non risparmiò nemmeno i forestieri (per lo più di nazionalità araba, turca e armena) che si trovavano in Palestina per motivo di lavoro, per lo più mercanti, che furono anche essi obbligati con la forza e il terrore scatenati dalle bande armate sioniste ad abbandonare il territorio e a tornare in patria.
I sionisti così, dopo aver privato la società palestinese di ogni punto di riferimento culturale e religioso, infierirono sulle campagne e sulle tribù nomadi di beduini organizzando una devastante campagna di terrore che si estese soprattutto nell’area costiera della Palestina, costringendo alla fuga tra gennaio e giugno del 1948 non meno di ulteriori 200.000 palestinesi tra agricoltori, pescatori della costa e pastori nomadi.
Quando la popolazione araba tentò di opporre resistenza, le bande sioniste non esitarono a massacrare interi villaggi, come accadde il 9 aprile 1948 quando nel villaggio di Deir Yassin furono sterminati senza pietà, dalle squadracce dell’Irgun e della Banda Stern, 250 arabi - tra i quali anche donne, vecchi e bambini - che si rifiutavano di abbandonare il loro villaggio nelle mani dei sionisti, una vera e propria Marzabotto del Medio Oriente.
Tutti questi orrori, giova precisarlo, sono iniziati sei mesi prima della proclamazione dello Stato di Israele, avvenuta il 9 maggio 1948, ed anzi bisogna chiaramente precisare che si è trattato di una vera e propria pulizia etnica finalizzata all’espulsione in massa di una popolazione al fine di poter proclamare nell’immediato futuro uno Stato di Israele libero il più possibile da palestinesi.
Dalla proclamazione dello Stato di Israele e fino alla fine del 1948 il sionismo, con il pretesto della guerra nel frattempo scoppiata con i confinanti Stati arabi, completò la sua opera criminale costringendo alla fuga - tra massacri e violenze di ogni tipo - oltre 800.000 palestinesi, e per impedire loro ogni possibilità di ritorno e al fine di annientare la loro memoria storica i sionisti distrussero oltre 530 villaggi, 11 quartieri urbani storici, abbatterono moschee e chiese, distrussero biblioteche e monumenti. 
Oltre all’esodo forzato, tra dicembre 1947 e dicembre 1948 furono oltre 15.000 i palestinesi uccisi, un vero e proprio genocidio.
Poi, dalla fine del 1948 fino al 1950, ci fu la pulizia etnica delle frontiere, ossia l’espulsione di tutti i palestinesi che ancora vivevano a ridosso della frontiera dello Stato di Israele sperando in un ritorno, e altri 40.000 palestinesi furono così espulsi dai territori che da sempre abitavano.
Un ritorno, quello dei palestinesi, che sarebbe stato del resto impossibile, perché nel 1949 Israele emanò una serie di leggi che proibivano ai palestinesi di tornare alle loro proprietà e che disponevano la confisca a favore di Israele di tutte le proprietà palestinesi.
Un’altra immensa ondata di profughi provocò poi la guerra dei sei giorni del 1967 nella quale Israele occupò la penisola del Sinai e Gaza in territorio egiziano, la Cisgiordania che faceva parte della Giordania e il Golan siriano, provocando un ulteriore esodo di popolazioni arabe da quei territori (soprattutto dalla Cisgiordania) quantificabile in non meno di 3 milioni di persone, che andavano a ingrossare i campi profughi del Libano, della Siria e della Giordania. Cosicché Israele ridisegnò ad appena nove dalla sua proclamazione quei confini che l'Onu aveva indicato allargandosi e imponendosi sempre di più come la potenza regionale egemone.
Israele attuò inoltre da quel momento una politica di insediamento di colonie ebraiche a Gaza e nella Cisgiordania occupata che sottrasse terre, risorse idriche e risorse naturali alla popolazione araba che era restata su quel territorio, tanto da opprimerla, sottometterla e impoverirla. La parte orientale di Gerusalemme, che era prima del 1967 territorio giordano, fu annessa allo Stato di Israele e la popolazione ivi residente fu sottoposta da allora fino ai giorni nostri a un trattamento che definire discriminatorio è fare un complimento: la popolazione araba di Gerusalemme Est ha il permesso di costruire su soltanto il 7% della città, ed è difficilissimo ottenere i permessi per costruire, e i palestinesi devono scegliere tra due alternative: o costruire illegalmente e rischiare di vedere la loro casa abbattuta (dal 1994 al 2009 circa 1650 palestinesi hanno perduto le 450 case dove abitavano perché le autorità israeliane le hanno demolite con qualche pretesto burocratico) o andarsene dalla città, ed è quest’ultima soluzione che viene di gran lunga preferita dagli speculatori sionisti, che così possono mettere le loro grinfie su tutta la città.
Il sionismo ha così disseminato di lutti l’intero Medio Oriente con esecuzioni collettive nelle piazze, stragi di popolazioni inermi, centinaia di migliaia di palestinesi rinchiusi nei campi profughi, e anche ai nostri giorni i prigionieri palestinesi sono sottoposti a torture e barbarie di ogni genere nelle carceri israeliane da parte degli aguzzini sionisti.
Nel 1982, durante l’invasione del Libano, il boia sionista Sharon pianificò e ordinò ai sicari fascisti libanesi la strage dei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila nella quale morirono 3.500 persone, comprese donne, bambini e anziani, una strage paragonabile soltanto ai peggiori crimini del nazismo.
Israele ricorre sistematicamente alla rappresaglia di tipo nazista come fece nel dicembre 2001 il boia Sharon che attaccava con missili e carri armati le città palestinesi, provocando la distruzione degli uffici, dell'eliporto e degli elicotteri dell'allora leader dell'Anp e l'uccisione e il ferimento di numerosi civili, anche bambini.
Nel gennaio 2009 i nazisti sionisti spianavano Gaza per 18 lunghi giorni di bombardamenti e cannoneggiamenti in cui usavano persino le bombe al fosforo. Le conseguenze erano impressionanti: 947 morti, 4.100 feriti e rasi al suolo interi quartieri. L'attacco israeliano denominato "Piombo fuso" raggiungeva gradi di ferocia e crudeltà degni di Hitler. Come nel quartiere Zeitoun della città di Gaza dove i soldati sionisti radunavano in un palazzo 110 civili, intere famiglie con donne e bambini, prima di bombardarlo; nell'episodio denunciato dall'ufficio dell'Onu per il coordinamento degli aiuti umanitari le vittime sarebbero state almeno 30. Mentre il boia primo ministro Olmert ripeteva che "utilizzeremo il pugno di ferro " a Gaza fintanto che i palestinesi continueranno a sparare razzi, il governo di Tel Aviv si appellava all'alleato Egitto affinché col controllo ferreo dei confini con Gaza fosse impedito ogni rifornimento alla resistenza palestinese.
Le carceri israeliane in cui sono tenuti i prigionieri palestinesi e il trattamento loro riservato sono disumani e paragonabili solo a quelli dei lager nazisti.
A partire dal 2002 poi Israele ha costruito un muro alto circa otto metri che separa fisicamente il suo territorio dalla Cisgiordania occupata, e che ha colpito villaggi e centri abitativi palestinesi in modo tale da rendere la vita impossibile a più di 260.000 arabi che vivono letteralmente imprigionati nelle sue prossimità, in condizioni disumane non dissimili da come vivevano gli ebrei nei ghetti creati dai nazisti in territorio polacco durante la seconda guerra mondiale.
Nel corso dei decenni poi i tentacoli della piovra sionista si sono stesi su tutto il globo, come testimoniano i vari raid attuati in tutto il mondo dalle squadracce del Mossad che, solo per citare alcuni episodi, assassinarono nel 1973 a Lillehammer, in Norvegia, un cameriere marocchino scambiato per un terrorista, abbatterono nel 1973 l’aereo militare italiano Argo 16, rapirono nel 1986 a Roma per deportare in Israele e condannarlo con un processo farsa il cittadino israeliano Mordechai Vanunu che aveva rivelato l’esistenza dell’arsenale nucleare israeliano.
Infine i tentacoli della piovra sionista si sono allungati fino all’Estremo Oriente, quando il Mossad piazzò le bombe che il 22 aprile 2004 provocarono l’esplosione di un intero treno che trasportava gas, facendo molte centinaia di morti alla stazione nordcoreana di Ryongchon, un criminale quanto chiaro avvertimento a Pyongyang affinché interrompesse la collaborazione militare con Siria e Iran.
Il sionismo è quindi, per sua natura, un movimento marcatamente imperialista, sciovinista, aggressivo, razzista e fascista, e non potrebbe essere altrimenti, essendo stato foraggiato sin dall’inizio dalla finanza europea prima e da quella internazionale poi.
Oltre a costituire il braccio armato dello Stato di Israele, il sionismo possiede quell’arma, ancora più formidabile, costituita dalla propaganda, tramite la quale vuole convincere gli ebrei di tutto il mondo (la stragrande maggioranza dei quali non vive nello Stato di Israele e spesso è fermamente antisionista) e poi il mondo intero che l’ideologia politica sionista è interprete del vero spirito ebraico, della sua storia e della sua più che millenaria cultura, che rappresenta tutto l’ebraismo mondiale e che ogni ebreo è necessariamente un sionista. Questa, sul piano strettamente culturale, è la stessa menzogna dei dittatori nazifascisti: il sionismo si considera il vero e unico interprete dei valori e della storia dell’ebraismo - che sono antitetici rispetto a ciò che predica e che soprattutto attua - esattamente come Hitler non esitò ad appropriarsi per i suoi sporchi fini di quella cultura tedesca che- il cui pensiero razionale e universale è agli antipodi con lo sciovinismo nazista- esattamente come Mussolini non ci pensò un attimo a saccheggiare e snaturare la figura di Giuseppe Garibaldi, che il fascismo esaltò come un grande nazionalista, mentre è dimostrato storicamente che egli, fervente internazionalista, aborrì per tutta la sua vita ogni forma di sciovinismo nazionale.
Chi è ebreo, cioè chi professa la religione ebraica, non necessariamente è un sionista (e questo lo si approfondirà in seguito) così come al tempo dei dittatori nazifascisti tanti erano italiani ma antifascisti, tedeschi ma antinazista, e spagnoli ma antifranchisti.
L'identificazione fra ebraismo e sionismo, esattamente come accadeva con le dittature nazifasciste, è uno dei pilastri ideologici su cui poggia la propaganda sionista per giustificare i suoi crimini, ed esattamente come accadde negli anni Trenta e Quaranta in Europa ha contribuito a generare e forgiare un nazionalismo reazionario ebraico e giustificare così l'imposizione del sionismo a tutte le comunità ebraiche sparse nel mondo, che secondo tale infame ideologia devono sottostare all’autoproclamata madrepatria con capitale Gerusalemme, costringendole a considerare Israele come loro patria di origine, come il solo legittimo rappresentante della fede ebraica e come lo Stato al quale tutti gli ebrei del mondo devono asservirsi.
Il sionismo si è sempre opposto all'assimilazione degli ebrei, sparsi in tutto il mondo, all’interno dei gruppi etnici e delle comunità nazionali dove essi risiedono e negli Stati di cui essi sono orgogliosamente cittadini, e ha sempre teorizzato l'esistenza di una ‘nazione ebraica universale’ contrapposta, ed anzi nemica, delle altre nazionalità, contribuendo a creare un clima di tensione e di diffidenza tra gli ebrei di tutte le nazionalità ed i rispettivi concittadini non ebrei, come ha dimostrato recentemente, dopo gli attentati di Parigi di gennaio 2015 che coinvolsero anche un negozio ebraico, la presa di posizione del primo ministro israeliano, il sionista Netanyahu, che ha invitato gli ebrei francesi ad abbandonare il loro Paese per Israele.

 

L’opposizione marxista-leninista al sionismo
Si può dire che la scienza marxista-leninista si è interessata del sionismo sin dai primi anni dopo la sua nascita, ovviamente con una posizione assai critica.
Tra il 1912 e il 1913 il sionismo si era già ampiamente sviluppato come dottrina politica e andava di pari passo con gli altri nazionalismi europei, e il suo carattere sciovinista e reazionario non era certo sfuggito a Stalin, che scrive sull’introduzione al suo saggio Il Marxismo e la questione nazionale pubblicato nel 1913:E l’ondata di nazionalismo bellicoso che si scatenò dall’alto e tutta una serie di azioni repressive da parte dei ‘detentori del potere’, che facevano scontare alle regioni periferiche il loro ‘amore per la libertà’, scatenarono una contro-ondata di nazionalismo dal basso, che talora si trasformava in grossolano sciovinismo. Il rafforzarsi del sionismo tra gli ebrei, lo svilupparsi dello sciovinismo in Polonia, del panislamismo fra i tartari, il rafforzarsi del nazionalismo tra gli armeni, i georgiani, gli ucraini, la generale propensione della gente comune per l’antisemitismo, tutti questi sono fatti di dominio pubblico”.
Peraltro Stalin non manca di denunciare con allarme il fenomeno dell’antisemitismo, ossia l’odio nei confronti degli ebrei, che nell’allora Impero Russo era imperante presso varie popolazioni.
A proposito poi del carattere nazionale degli ebrei, confutando alcune tesi del socialdemocratico austriaco Otto Bauer (1882-1938), poi apertamente schieratosi contro l'Urss, Stalin prosegue nel primo capitolo del suo saggio sostenendo: di quale legame nazionale si può parlare, per esempio, per gli ebrei georgiani, daghestani, russi e americani, che sono completamente staccati gli uni dagli altri, abitano in territori diversi e parlano lingue diverse? Gli ebrei cui ho accennato vivono senza dubbio una vita economica e politica comune con i georgiani, i daghestani, i russi e gli americani, in una atmosfera culturale comune con loro; questo non può non lasciare la sua impronta sul loro carattere nazionale; se qualcosa di comune è rimasto loro, è la religione, la comune origine e qualche residuo del carattere nazionale. Tutto questo è certo. Ma come si può sostenere seriamente che dei riti religiosi fossilizzati e dei residui psicologici che vanno dileguandosi influiscano sul ‘destino’ dei suddetti ebrei più fortemente del vivo ambiente economico-sociale e culturale che li circonda? ”.
Con un’importante considerazione di carattere scientifico e sociologico quindi Stalin nega il carattere nazionale agli ebrei in quanto tali, e così facendo confuta le stesse premesse che stanno alla base del sionismo, e nel quinto capitolo della sua opera prende una ferma posizione di condanna nei confronti del Bund , organizzazione sindacale nata in Russia nel 1905 per riunire esclusivamente lavoratori ebrei dell’impero zarista, un’organizzazione che condivideva con il sionismo la concezione degli ebrei come ‘nazione’ distinta e separata dal resto della popolazione con cui condivide il territorio.
Se la concezione sciovinista del Bund viene condannata senza appello da Stalin, bisogna però precisare che moltissimi ebrei russi e dell’Europa orientale, contrariamente a tutti gli altri ebrei che risiedevano nell’Europa occidentale, nell’Impero Ottomano e nell’Africa settentrionale, avevano effettivamente una loro lingua nazionale - l’yiddish , una lingua affine al tedesco e scritta con l’alfabeto ebraico - che li distingueva dal resto della popolazione, tanto che lo stesso Stalin promosse fortemente nel 1934 in Unione Sovietica la costituzione dell’Oblast Autonomo Ebraico, con capitale Birobidjan, che tuttora esiste, e con l’yiddish come lingua ufficiale insieme al russo.
Al di là di tutto, il socialismo sovietico fece ogni sforzo per valorizzare ed esaltare gli ebrei sovietici, anche come riparazione a secoli di umiliazioni e di emarginazione subiti sotto il regime zarista e la Chiesa ortodossa, e lo testimoniano la partecipazione di tantissimi ebrei alla Rivoluzione di Ottobre prima e alla costituzione dello Stato sovietico poi, senza dimenticare gli oltre cento tra generali e ammiragli che combatterono nell’Armata Rossa e nella Marina Rossa contro le potenze nazifasciste nella seconda guerra mondiale insieme a oltre trecentomila tra partigiani e militari sovietici ebrei.

 

L’opposizione dell’ebraismo religioso al sionismo
Oscurata sistematicamente da tutta la stampa filosionista, esiste una inflessibile e drastica opposizione al sionismo e allo Stato di Israele da parte di larghi strati dell’ebraismo ortodosso, il più importante dei quali è quello che fa riferimento all’associazione ebraica Neturei Karta.
L’organizzazione Neturei Karta (che in aramaico significa “Guardiani della città”) è composta da ebrei tradizionalisti di rito askenazita, e sin dalla sua fondazione, a Gerusalemme nel 1938, si sono opposti nel modo più drastico al sionismo, rifiutandosi di riconoscere l'autorità e la stessa esistenza dello Stato di Israele in nome della propria interpretazione dell'ebraismo e dei suoi valori tradizionali che, essi ritengono, sono assolutamente e drasticamente contrari a quanto professato e concretamente praticato dall’ideologia sionista e dallo Stato di Israele.
Pacifisti convinti e contrari a ogni violenza, essi lottano al fianco del popolo palestinese e degli Stati che ad esso si oppongono, in nome della tolleranza religiosa e del dialogo anche con altre fedi, come testimoniato dalla grande conferenza promossa nel 2006 dall’allora presidente iraniano Ahmadinejad che li invitò non solo nel nome del dialogo tra islam ed ebraismo, ma anche nel nome di una concorde opposizione a Israele.
Diffusi in molti Paesi (soprattutto negli Stati Uniti, in Inghilterra, nel Belgio, in Olanda, in Austria), spesso malmenati e fatti oggetto di minacce da parte dei sionisti, essi raccolgono fondi per sostenere iniziative umanitarie a favore dei palestinesi, e contemporaneamente sono sempre in prima fila nelle manifestazioni contro lo Stato di Israele, del quale non esitano a condannare le nefandezze, e contemporaneamente a considerare i valori del sionismo come assolutamente contrari ai valori spirituali della fede ebraica, spingendosi a equiparare il sionismo al nazismo.
Neturei Karta sostiene, da un punto di vista strettamente politico, che debba esistere in Palestina un unico Stato nel quale possano vivere insieme arabi ed ebrei, non ha mancato di sottolineare che il sionismo, con il suo sciovinismo violento e sopraffattore, ha recato gravissimi danni all’ebraismo mondiale, ha provocato ripetute ondate di antisemitismo e che lo Stato di Israele offende con la sua condotta criminale i precetti di pace, di misericordia e di tolleranza da sempre professati dall’ebraismo.
L’organizzazione annovera alcuni tra i più prestigiosi rabbini a livello internazionale, come il britannico Aronne Cohen nato a Londra nel 1937 da padre inglese e da madre polacca, e Mosé Dov Beck, nato a Budapest nel 1934, di lingua yiddish , entrambi ripetutamente fatti oggetto di intimidazioni e di minacce da parte dei sionisti che vogliono a tutti i costi farli tacere.
Entrambi, nelle loro conferenze in giro per il mondo, non mancano di far sentire la loro voce autorevole, esecrando i crimini di Israele (da loro spesso definito ‘Stato antiebraico’ in quanto ritengono che le sue nefandezze vulnerano in modo irrimediabile la reputazione degli ebrei di tutto il mondo) che vengono equiparati a quelli del nazismo, e a tal proposito essi non mancano mai di precisare che entrambi, da ragazzi, il nazismo lo hanno conosciuto bene, visto che Cohen da bambino subì i bombardamenti tedeschi su Londra mentre Dov Beck sfuggì miracolosamente alla cattura dei nazisti a Budapest quando era ancora un ragazzo.

 

L’opposizione dell’ebraismo laico al sionismo
All’interno del mondo ebraico vi è un’opposizione al sionismo fondata su altissimi precetti etici di origine religiosa, ma vi è anche un’opposizione al sionismo non meno incisiva, che trae origine da studi scientifici che confutano alla radice i presupposti stessi dell’ideologia sionista.
Tali studi li ha compiuti, tra l’altro, il professor Salomone Sand, storico e scrittore ebreo specializzato nel periodo della storia europea che va dalla metà del Settecento alla metà del Novecento, con particolare attenzione alla nascita del pensiero nazionalistico europeo.
Sand, di formazione laica, nonché dichiaratamente ateo, è nato in Austria nel 1946 ed emigrato in Israele nel 1948, dove ha compiuto i suoi studi e dove insegna storia all’Università di Tel Aviv.
Sand - anche alla luce della legislazione israeliana che prevede che a chiunque faccia parte del ‘popolo ebraico’ spetta di diritto, se va a risiedere in Israele, la cittadinanza israeliana - si è chiesto chi faccia parte del ‘popolo ebraico’, anzi, la sua ricerca lo ha portato addirittura a chiedersi se esista davvero un simile popolo.
La tesi fondamentale del sionismo - indimostrata e indimostrabile fino a quando, negli ultimi decenni, la genetica non è riuscita a far chiarezza sul punto - è che la stragrande maggioranza di tutti gli ebrei esistenti al mondo siano i discendenti degli antichi ebrei espulsi in massa dalla provincia romana di Judea a seguito delle rivolte contro il dominio romano, le più importanti delle quali si verificarono in Palestina tra il 66 e il 70 d.C. all’epoca degli imperatori Nerone, Vespasiano e Tito, poi tra il 115 e il 117 all’epoca dell’imperatore Traiano (tale rivolta però interessò soltanto comunità ebraiche al di fuori della Palestina), quindi tra il 132 e il 135 all’epoca dell’imperatore romano Elio Adriano, quindi tra il 351 e il 352 durante il regno dell’imperatore d’oriente Costanzo Gallo e infine tra il 613 e il 617 durante il regno dell’imperatore bizantino Eraclio I.
Soprattutto, per gli autori sionisti, furono le prime tre rivolte a disperdere completamente tutta la popolazione ebraica che viveva in Palestina nei quattro angoli del mondo allora conosciuto, ma questa tesi non regge, perché è evidente che tra il 351 e il 352 (ossia oltre due secoli dalla ribellione che i sionisti ritengono abbia annientato la presenza ebraica in Palestina) scoppia una ulteriore rivolta ebraica, e tra il 613 e il 617 (ossia duecentosessanta anni più tardi) esplode un’ulteriore rivolta contro il dominio imperiale.
A questo punto, dimostrato che nel VII secolo dopo Cristo la Palestina era ancora occupata in massa da ebrei, viene messa in crisi, secondo il prof. Sand, la stessa concezione di ‘diaspora’, e la più logica conclusione è che le deportazioni degli ebrei dalla Palestina di cui parla lo storico romano (peraltro ebreo) Giuseppe Flavio riguardarono in realtà poche migliaia di famiglie di maggiorenti, mentre la popolazione ebraica restò in effetti per altri secoli in Palestina, almeno, come abbiamo visto, fino agli inizi del VII secolo.
Sand poi dimostra, anche con documentazione antica e mettendo insieme i risultati delle ricerche di storici ebrei moderni, che vi furono durante il primo millennio della nostra era grandi ondate di conversioni di persone, famiglie e addirittura intere nazioni (come le confederazioni di tribù berbere in Maghreb, il regno dello Yemen in Arabia, l'impero dei Cazari, una popolazione che si trovava tra la Russia meridionale e il Caucaso) all'ebraismo, giungendo alla conclusione che solo queste massicce ondate di conversioni possono spiegare sia l’elevatissimo numero degli ebrei all’interno della popolazione dell'Impero romano sia la massiccia presenza di ebrei, a partire dal medioevo, nell’Europa centro-orientale, dalla Germania fino alla Russia.
Quindi la diaspora ebraica, intesa come deportazione degli ebrei dalla Palestina ai quattro angoli del mondo allora conosciuto, è un falso storico. Gli ebrei moderni, che hanno occupato in massa la Palestina creando lo Stato di Israele nella loro stragrande maggioranza, non hanno un’origine semitica e non discendono neppure lontanamente dagli antichi ebrei che, è documentato, abitavano la provincia romana di Judea fino all’inizio del VII secolo dopo Cristo.
A parte che lo stesso aggettivo ‘semitico’ è portatore di non poche confusioni, in quanto con esso si possono descrivere sia un gruppo di lingue (siriaco, aramaico, arabo, ebraico, fenicio, tigrino e amarico, solo per citare le più importanti), e in questo senso il vocabolo fu utilizzato per la prima volta dal linguista tedesco Augusto Luigi von Schlozer (1735-1809) in una sua opera pubblicata nel 1781 dove utilizzava l’aggettivo “semitisch ”, ma con esso dal XIX fino alla metà del XX secolo si è indicato anche, da parte della letteratura che faceva riferimento alle cosiddette ‘razze’ umane e che ha costituito la base per gli enunciati razzisti delle dittatura nazifasciste, un gruppo di etnie contraddistinte effettivamente e innegabilmente da caratteri fisiognomici di forte somiglianza tra loro pur nella varietà di colore della pelle, dei capelli e degli occhi (popolazioni dell’Africa settentrionale, del Medio Oriente, dell’Eritrea, dell’Abissinia e della Somalia) alle quali sono stati accostati, del tutto arbitrariamente, gli ebrei sparsi per il mondo, considerandoli una vera e propria etnia, anche se avrebbe dovuto essere evidente già allora che i caratteri fisiognomici della stragrande maggioranza degli ebrei europei nulla hanno a che vedere con popolazioni arabe o del Corno d’Africa. E nemmeno l’yiddish era una lingua semitica, ma era una lingua germanica che si formò a partire dal XIII secolo e si diffuse tra gli ebrei askenaziti dell’Europa centro-orientale.
Premettendo che all’interno dell’attuale ebraismo, trascurando altre comunità ebraiche sparse in altri continenti, vi è la grande divisione (per ciò che riguarda i riti, la teologia e la diffusione geografica) in sefarditi (diffusi nell’Africa settentrionale e nell’Europa occidentale e che rappresentano una esigua minoranza dell’ebraismo mondiale) e askenaziti (diffusi nell’Europa centrale ed orientale e che rappresentano numericamente i nove decimi dell’ebraismo mondiale) è stato autorevolmente affermato dal docente di linguistica dell’università di Tel Aviv prof. Paul Wexler che gran parte dei sefarditi moderni hanno un’origine parzialmente semitica, ma non riconducibile agli ebrei che abitavano la Palestina duemila anni fa (P. Wexler, The non-Jewish origins of the Sephardic Jews , Albany, 1996).
Per ciò che riguarda gli ebrei askenaziti, lo studioso Arthur Koestler non ha dubbi sul fatto che essi siano discendenti dal popolo indoeuropeo dei Cazari, che abitava nel medioevo tra la Russia meridionale e il Caucaso (A. Koestler, La tredicesima tribù , Torino, 2003) e lo stesso emerge sia dalle ricerche dello studioso Kevin Alan Brooke (K.A. Brooke, The Jews of Khazaria , Lanham, 2006) sia dalle ricerche del prof. Peter Benjanin Golden (P. B. Golden, An Introduction to the History of the Turkic Peoples , Wiesbaden, 1992).
In effetti questi e altri studiosi dimostrano, con svariate argomentazioni, che tra la fine dell’VIII secolo e gli inizi del IX secolo (quindi più o meno all’epoca del regno di Carlo Magno nell’Europa occidentale) il sovrano e tutta l’aristocrazia del popolo dei Cazari si convertirono in massa alla fede ebraica, e dal loro esempio anche gran parte di tale popolo successivamente si convertì, diffondendosi poi nell’Europa orientale e mescolandosi tramite matrimoni misti con altre popolazioni, andando a costituire nei secoli successivi quel gruppo religioso noto come ebrei askenaziti. 
In alcuni casi poi è del tutto evidente anche a prima vista che gli appartenenti ad alcune comunità ebraiche sparse per il mondo non possono avere avuto alcun antenato vissuto nell’antica provincia romana di Judea , come per la comunità di ebrei cinesi provenienti dalla città di Kaifeng o quella degli ebrei etiopi Falascià.
Concludendo, numerosi storici e genetisti, tra cui parecchi ebrei, dimostrano in modo inequivocabile che la gran parte dell’attuale popolazione ebraica mondiale non ha tra i propri antenati persone provenienti dall’antica provincia romana della Judea .
A questo punto, riprendendo le tesi del prof. Sand, bisogna necessariamente chiederci che fine hanno fatto i discendenti degli antichi ebrei che abitavano la provincia romana della Judea : il professor Sand non ha dubbi, e ritiene che quando il territorio fu interamente conquistato dagli arabi (nel 640, ossia 23 anni dopo l’ultima rivolta giudaica finita nel 617) la quasi totalità degli ebrei, insieme alla maggior parte dei cristiani che discendevano da ebrei, si convertirono all’islam e si assimilarono con i conquistatori, per cui i veri discendenti degli antichi ebrei altri non sono che le attuali popolazioni palestinesi di lingua araba, in gran parte musulmani e in piccola parte cristiani.
Zand non ha inventato questa tesi, in quanto offre documentazione inconfutabile che dimostra che addirittura due dei padri del sionismo, David Ben-Gurion e Yitzhak Ben Zvi, nel 1918 si dichiaravano assolutamente certi e consapevoli, in un articolo scritto in yiddish , del fatto che i contadini della Palestina fossero i discendenti degli abitanti dell’antica Giudea.
Insomma, i sionisti - quando sostenevano il ‘ritorno’ degli ebrei in una terra che essi sapevano bene che nessun loro antenato aveva abitato - mentivano sapendo perfettamente di mentire.

 

Gli ebrei democratici in tutto il mondo devono ripudiare il sionismo e lo Stato nazi-sionista di Israele
Il sionismo è dunque una dottrina politica razzista, falsa e truffaldina - esattamente come lo era il nazismo con l'arianesimo.
Il sionismo è una mostruosità che, per usare le autorevoli parole di Aronne Cohen e di Mosé Dov Beck, più di ogni altra cosa offende la vera fede ebraica, il sionismo è una abominevole partita a scacchi inventata a tavolino da un gruppo di banchieri che non hanno esitato di fare carne da macello dei palestinesi e degli stessi ebrei in buona fede usati come pedine del loro gioco.
Il sionismo è il responsabile della creazione dello Stato di Israele dove il 90% della ricchezza è nelle mani del 10% della popolazione, in gran parte costituita da ricchissimi imprenditori che vivono in America o nel resto del mondo, lasciando nel Medio Oriente soltanto macerie.
Quando anche noi marxisti-leninisti veniamo accusati di essere antisemiti e di fomentare l’odio contro gli ebrei a causa della nostra irriducibile opposizione all’ideologia sionista e allo Stato di Israele, ebbene noi rispondiamo: gli antisionisti rabbini Cohen e Dov Beck, l’antisionista professor Sand sono forse antisemiti, essendo essi stessi ebrei? Stalin stesso, la cui opposizione al sionismo fu meno intransigente di quella di Cohen, Dov Beck e Sand per il semplice fatto che ai suoi tempi esso non aveva ancora mostrato il lato peggiore, era forse antisemita, avendo autorevolmente e drasticamente affermato, nel corso di un’intervista rilasciata alla Jewish Nes Agency of the U.S. il 12 gennaio 1931 che “ i comunisti, in quanto internazionalisti conseguenti, sono nemici implacabili e dichiarati dell'antisemitismo ”?
In Italia l’opposizione antisionista alle nefandezze dello Stato di Israele all’interno del mondo ebraico è tenuta viva da movimenti come Ebrei Contro l’Occupazione e da personalità come quelle di Marco Ramazzotti Stockel, che ha ripetutamente ricevuto aggressioni fisiche e pesanti minacce all’incolumità sua e della sua famiglia da parte delle squadracce dei sionisti italiani. Diffonde forse l’odio contro gli ebrei Ramazzotti Stockel?
Alle Comunità Ebraiche dell’Italia intera diciamo chiaramente che i loro membri meritano assoluto rispetto, memori del fatto che da esse sono nate donne e uomini che hanno partecipato alla lotta antifascista e alla Resistenza.
Proprio perché noi ricordiamo coloro che hanno combattuto contro le dittature nazifasciste che volevano imporre un dominio fondato su una falsa superiorità etnica e razziale, chiediamo alle Comunità Ebraiche d’Italia di ripudiare l’ideologia sionista, che persino travisa e anzi vilipende i valori della tradizione ebraica, e di prendere le distanze dallo Stato di Israele, che si fonda su presupposti non dissimili a quelli delle dittature nazifasciste europee.
Fatelo, Comunità Ebraiche d’Italia, proprio per rispetto nei confronti di quei tanti ebrei che hanno combattuto il nazifascismo e di quei milioni che sono periti nei campi di sterminio, la cui morte è stata inflitta nel nome di una aberrante e mostruosa concezione che li voleva inferiori.
Noi marxisti leninisti siamo al fianco di ogni uomo o donna che nel mondo si batte affinché nell'intero territorio della Palestina, compreso quello di Israele, sorga un solo Stato che tratti tutti i suoi abitanti in modo eguale, indipendentemente dalla fede ebraica, islamica o cristiana.
 

31 maggio 2017