In guerra commerciale con gli Usa di Trump
Merkel spinge l'Ue a “prendere in mano il proprio destino”

Nei due consecutivi vertici dei maggiori paesi imperialisti occidentali, quello Nato di Bruxelles del 25 maggio e il G7 di Taormina del 26 e 27 maggio, e negli incontri collaterali il presidente americano Donald Trump ha ottenuto dai partner la conferma della leadership dell'imperialismo americano nella guerra allo Stato islamico ma la sua politica dell'America first, prima l'America, ha aperto una serie di contenziosi sulle altre questioni in particolare con la Germania che sono esplosi con la conferma da parte degli Usa di non applicare gli impegni della Cop 21 di Parigi sul clima; la questione principale che ha generato lo scontro Usa-Germania riguarda però le guerre commerciali all'origine dei primi passi della Casa Bianca e le bordate che da alcuni mesi si scambiano le due amministrazioni. E quando la cancelliera Angela Merkel nel discorso del 28 maggio a una manifestazione politica organizzata dal partito cristiano sociale bavarese (Csu) a Monaco di Baviera ha reso pubblica la sfiducia tedesca nei confronti degli Stati Uniti e chiamato a raccolta gli alleati europei per sostenere lo scontro con l'ancora alleato d'oltreoceano.
"I tempi in cui potevamo fare pienamente affidamento sugli altri sono passati da un bel pezzo, questo ho capito negli ultimi giorni", spiegava la cancelliera nel discorso di Monaco e rilanciava: “Noi europei dobbiamo davvero prendere il nostro destino nelle nostre mani”. Ovvero di costruire una superpotenza imperialista europea che non sia sostanzialmente solo di supporto a quella Usa ma in grado di trasformare in una relazione alla pari il rapporto fra l'America e la Ue, ovviamente a guida tedesca.
La Merkel ha esposto la sua posizione non in veste di cancelliera a una manifestazione di partito ma ritenere che si sia trattato di una mossa da campagna elettorale contro l'europeismo tradizionale dei socialdemocratici di Schulz è quantomeno riduttivo. Ci sta, ma è anche vero che lo scontro diplomatico con Trump è arrivato al momento giusto per ribaltare il tavolo e viaggiare decisamente nell'attuazione del piano della cancelliera di costruire senza indugi per la Germania quel ruolo, non certo nuovo nella storia tedesca, di potenza egemone dell'Europa continentale. Adesso che non ha più nemmeno la Gran Bretagna a fare da contrappeso nella Ue.
Lo scontro tra Trump e Merkel al G7 di Taormina era annnunciato da vari segnali. L'ultimo in ordine di tempo era quello del 26 maggio quando il presidente americano nell'incontro a Bruxelles col presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker e il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, aveva affermato che “the Germans are bad, very bad, (i tedeschi sono molto cattivi, ndr). Guardate i milioni di auto che vendono negli Stati Uniti, terribile. Noi fermeremo questo fenomeno”, denunciando a modo suo il surplus economico della Germania verso gli Usa e la decisione della Casa Bianca di “raddrizzare” i conti.
D'altra parte già a fine gennaio il direttore del Consiglio per il Commercio della Casa Bianca, Peter Navarro, aveva pubblicamente accusato la Germania di praticare una politica commerciale sleale attraverso lo sfruttamento sistematico di un “euro grossolanamente svalutato” e indicato che l’amministrazione americana si era messa in rotta di collisione con Berlino. Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, scaricava la colpa sul responsabile della Banca centrale europea (Bce), l'italiano Mario Draghi, e le sue politiche monetarie per far salire l'inflazione, indebolire la moneta e facilitare l'esportazione delle merci europee. Vero, ma ne ha beneficiato soprattutto la più forte economia della Germania che ha costruito il suo surplus commerciale prima nei confronti dei partner europei.
Il 31 marzo Trump firmava due decreti che aprono la guerra commerciale degli Usa coi concorrenti imperialisti, Cina e Germania anzitutto, affidando al Dipartimento del commercio la stesura di un rapporto sulla situazione degli scambi commerciali degli Stati Uniti con tutti i partner commerciali per mettere in evidenza quelli dove Washington registrava i dati negativi e se dipendessero da comportamenti “scorretti” del partner; nel caso sarebbero state previste misure di ritorsione.
Il 29 maggio a Berlino, alla conferenza annuale del Consiglio dello Sviluppo sostenibile la Merkel difendeva l'accordo sul clima di Parigi e affermava che “chi oggi si limita a vedere le cose a livello nazionale e non ha una visione del mondo sbaglia strada, di questo ne sono convinta”. Esplicito il richiamo al Trump dell'America first. Lo stesso giorno rincarava la dose il ministro degli Esteri e vice cancelliere Sigmar Gabriel che con un comunicato aggiungeva argomenti all'attacco di Berlino a Trump. “Chiunque acceleri il cambiamento climatico riducendo la protezione dell'ambiente, venda armi nelle aree di conflitto e non vuole risolvere politicamente i conflitti religiosi, mette in pericolo la pace in Europa”, affermava il capo della diplomazia tedesca tracciando un evidente identikit di Trump, le cui mosse “hanno reso l'Occidente più piccolo e in ogni caso più debole”. “La politica miope del governo americano – sintetizzava Gabriel - è contraria agli interessi dell'Unione europea. Ed è una caduta per gli Usa, che smettono di essere un Paese importante”; prevedeva quindi “un cambiamento dei rapporti di forza nel mondo” e “l'uscita di scena degli Stati Uniti come paese guida”.
Il declino evidente dell'imperialismo americano, che Trump tenta disperatamente di arrestare, lascia spazi di crescita ulteriori alle potenze imperialiste concorrenti, Cina in testa. E le altre non vogliono stare a guardare e perdere terreno, a partire dalla Germania e dalle sue crescenti ambizioni egemoniche mondiali. Berlino vuole occupare quegli spazi, lo pensava già nel secolo scorso. Solo “un blocco economico chiuso da Bordeaux fino a Sofia” potrebbe dare “all'Europa la struttura economica necessaria di cui ha bisogno per imporre la sua importanza nel mondo” sostenevano gli industriali tedeschi nel 1931; nove anni dopo, nel 1940, l'economista nazista Werner Daitz scriveva: “solo un grande spazio economico continentale” potrebbe mettere la Germania nelle condizioni “di sfidare con successo gli enormi blocchi economici del Nord e Sud-America, il blocco dello Yen, e quello che resta del blocco della Sterlina”. Allora Hitler non riuscì nell'impresa.
La Merkel ha un suo progetto, un “piano segreto per l'Europa” che la Frankfurter Allgemeine Zeitung ha avuto dallo staff della cancelliera e ha pubblicato pochi giorni dopo il dicsorso di Monaco. Una ulteriore prova che non si è trattato di una impulsiva “reazione spontanea” agli ultimi eventi o di una pura uscita elettorale. Il piano per ridefinire l'Europa, a guida tedesca, prevede un intervento più deciso per bloccare le migrazioni, a chiudere in particolare la via di fuga attraverso il Mediterraneo una volta sbarrata quella balcanica grazie alla montagne di euro sganciati al fascista turco Erdogan. Un passo complicato che prevede necessariamente una stabilizzazione della Libia sotto il controllo delle nuove potenze coloniali, le stesse che hanno aggredito e destabilizzato il paese. Il secondo punto del piano riguarda lo sviluppo economico dell'Ue e dell'unione monetaria che Berlino vede sotto il suo diretto controllo una volta piazzato il proprio uomo, Jens Weidmann, come successore di Mario Draghi alla guida della Bce. Il terzo punto e probabilmente il più semplice a realizzarsi riguarda la difesa comune che dopo la decisione dell'uscita dei britannici sono stati rimossi tutti i freni per l'accelerata militarizzazione della superpotenza europea col consenso determinante del nuovo presidente Emmanuel Macron.
“L'Italia condivide la necessità che gli europei prendano in mano il proprio futuro, le sfide globali lo impongono, negli ultimi mesi abbiamo lavorato in questa direzione. È emersa con chiarezza una sintonia tra i diversi Paesi Ue nel contesto internazionale”, sosteneva il 30 maggio il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Va bene la fedeltà atlantica ma per non restare completamente fuori dai giochi europei l'imperialismo italiano deve stare con Berlino.
Il 30 maggio dall'amministrazione americana arrivavano segnali di distensione. Il ministro per il Commercio Usa, Wilbur Ross, annunciava di essere “pronto a riprendere” i negoziati con l'Ue sul trattato di libero scambio Ttip (Trans-Atlantic Trande and Investment Partnership). “Non va confuso il fatto che mentre ci siamo ritirati dal Ttp (l'accordo con 12 Paesi del Pacifico equivalente al Ttip, ndr) non abbiamo fatto altrettanto dal Ttip”, precisava Ross che sottolineava come “l'Ue sia uno dei nostri più grandi partner commerciali e qualsiasi negoziato legalmente dovrà essere condotto a livello europeo e non con le singole nazioni”. “Questo rende sensato continuare i negoziati sul Ttip e lavorare ad una soluzione che aumenti gli scambi globali e riduca invece il nostro deficit commerciale”, chiosava Ross evidenziando che il nocciolo resta l'abbattimento del deficit commerciale americano con l'Ue che nel 2016 è arrivato a 146,3 miliardi di dollari. Lo stesso giorno però Trump su Twitter ripeteva: “Abbiamo un deficit commerciale enorme con la Germania. Inoltre loro pagano molto meno rispetto a quello che dovrebbero per la Nato e le forze armate. Questo è negativo per gli Stati Uniti. Tutto questo cambierà”.
Sia il Washington Post che il New York Times definivano la dichiarazione della Merkel uno “spostamento tettonico” e il Post in un articolo del 29 maggio ricordava: “Uno dei compiti principali della NATO era quello di inserire la Germania all'interno di un quadro internazionale che le impedisse di trasformarsi ancora una volta in una minaccia per la pace, come era accaduto durante la prima e la seconda guerra mondiale. Nelle parole del primo Segretario Generale, la Nato nasceva 'per tenere i russi fuori, gli americani dentro e i tedeschi sotto'. E ora Merkel dà l'impressione che gli americani non siano più veramente dentro e che la Germania e l'Europa intendano avere un ruolo molto più sostanziale e indipendente rispetto a quello avuto negli ultimi 70 anni”.

7 giugno 2017