Nel regime fascista di Al Sisi
Repressione e carcere per gli operai egiziani in sciopero

La mattina del 22 maggio decine di agenti di polizia attaccavano il presidio dei lavoratori del cementificio di Torah, nella zona sud della capitale egiziana, in lotta da quasi due mesi per un contratto regolare e il pagamento degli stipendi arretrati per settantacinque addetti alla sicurezza. Una trentina i lavoratori arrestati con accuse pretestuose quali la resistenza all'arresto e l'intralcio alla giustizia.
I lavoratori arrestati erano picchiati e derubati nelle carceri del Cairo e alcuni di loro sarebbero stati ricoverati in ospedale, secondo una denuncia dei compagni di lavoro che a distanza di due settimane ancora non avevano potuto parlare con loro, tenuti ancora in stato di detenzione preventiva che i magistrati del regime prolungavano oltremodo in maniera artificiosa con rinvii dell'udienza in tribunale. Gli arrestati erano di fatto in isolamento senza poter vedere o parlare anche con le proprie famiglie.
La protesta dei lavoratori del cementificio di Torah era iniziata due mesi fa contro la decisione della direzione aziendale di negare il risarcimento alla famiglia di un lavoratore addetto alla sicurezza ucciso in servizio, con la motivazione che non ne avrebbe avuto diritto in quanto lavoratore part-time. I sindacati e i legali dei lavoratori arrestati denunciavano che molti degli addetti alla sicurezza lavorano a tempo pieno, alcuni anche da quindici anni, ma sempre inquadrati con contratti part-time o contratti a tempo determinato. Un supplemento di sfruttamento a vantaggio dei padroni del cementificio dato che solo i lavoratori col contratto regolare a tempo pieno hanno diritto all'assistenza sanitaria, a una parte di salario aziendale e possono iscriversi al sindacato.
Contro queste condizioni peggiorative gli addetti alla sicurezza avevano fatto e vinto una causa sindacale con l'azienda che nel maggio del 2016 era stata costretta a riconoscere la parità dei diritti con gli altri addetti perché coperti da una clausola del mantenimento delle condizioni di maggior favore stipulata al momento del loro trasferimento in una ditta in subappalto.
Un anno fa l’impianto di Torah era uno dei cinque cementifici egiziani che fino al luglio 2016 faceva capo al gruppo italiano Italcementi che ha sede a Bergamo.
La Torah Cement Company era stata acquistata dal gruppo Italcementi che era entrato in Egitto nel 2001 per approfittare delle privatizzazioni delle società pubbliche. Il gruppo capitalistico italiano aveva incrementato investimenti e soprattutto profitti fino al 2015, quando aveva raggiunto un fatturato di oltre 580 milioni di euro, comprimendo i diritti dei lavoratori. Come quando aveva manovrato sui dati di bilancio dello stabilimento di Torah per tagliare il pagamento del salario aziendale legato agli obiettivi e aveva fatto ricorso alla serrata prima di cedere alla lotta durata 39 giorni dei circa mille lavoratori nel maggio 2015.
La politica antioperaia di Italcementi era rimasta inalterata con la nuova proprietà aziendale subentrata nell'agosto 2016, la tedesca HeidelbergCement, che con gli acquisti in Egitto diventava il secondo produttore mondiale di cemento. Favorite entrambe dal regime del presidente al Sisi, che giunto al potere col colpo di Stato nel luglio del 2013 contro il governo del presidente Morsi, ha instaurato un regime fascista che colpisce le opposizioni e le loro proteste assieme agli scioperi dei lavoratori in difesa dei loro diritti. Come conferma la vicenda del rapimento e dell'assassinio al Cairo del giovane ricercatore italiano Giulio Regeni che tra l'altro si occupava dei temi sindacali; un delitto di Stato che rischia di finire con l'impunità dei responsabili, grazie anche alla complicità dei governi Renzi e Gentiloni. Le proteste nei luoghi di lavoro sono fortemente diminuite nel 2016 rispetto agli anni precedenti ma ne sono rimaste diverse e importanti nonostante le centinaia di lavoratori denunciati, arrestati e processati financo da tribunali militari.
 

7 giugno 2017