Arabia saudita e alleati rompono col Qatar troppo amico dell'Iran
Gli Usa accendono la miccia e dopo mediano. Putin e Erdogan col Qatar

 
La coalizione imperialista a guida Usa intensificava gli attacchi in Siria e Iraq su Raqqa e Mosul con l'obiettivo di chiudere in breve tempo il capitolo dell'esistenza dello Stato islamico, l'Arabia Saudita che non partecipa direttamente alle due azioni militari ne apriva un altro annunciando il 5 giugno la rottura dei rapporti diplomatici e la chiusura di spazio aereo e frontiere terrestri con il Qatar; l'emirato della penisola del Golfo Persico finiva così isolato perché accusato di finanziare il terrorismo e di essere troppo amico dell'Iran. All'isolamento del Qatar lanciato da Riad partecipavano in prima battuta gli Emirati Arabi Uniti (EAU), l'Egitto e il Bahrein, cui si aggiungevano le Maldive, il governo libico di Tobruk (quello non riconosciuto dall'Onu e sostenuto dall'Egitto) e quello dello Yemen tenuto in piedi dall'aggressione militare della coalizione a guida saudita. Si tratta della crisi più grave dal 1981, dall'istituzione in funzione anti-iraniana del Consiglio di cooperazione del Golfo, di cui fanno parte l'Arabia saudita, il Bahrein, gli Emirati arabi uniti, il Kuwait, l'Oman e il Qatar.
Il 9 giugno Arabia Saudita, Bahrain, Egitto ed Emirati Arabi Uniti pubblicavano un elenco di 59 personalità e 14 organizzazioni ospitate dal Qatar e accusate di appoggiare e finanziare il terrorismo, ovvero Hamas, gruppi legati ad Al-Qaeda e l’IS. Arabia Saudita e Emirati rilanciavano con la pubblicazione di una lista di condizioni cui il Qatar avrebbe dovuto accettare per la riapertura dei rapporti diplomatici; fra queste la chiusura definitiva dell’emittente televisiva al-Jazeera e di una serie di organi di stampa e siti finanziati dal Qatar, l'espulsione di tutti gli attivisti dei Fratelli musulmani e di Hamas dal paese con la chiusura delle loro sedi e il congelamento dei loro conti bancari, il blocco delle attività di molte “associazioni caritatevoli islamiche” attive nel Qatar e da tempo criticate anche dal Dipartimento di Stato Usa per i doni di “natura sospetta” in paesi martoriati da guerre civili e dai venti della cosiddetta “Primavera araba”.
La lista dei paesi che immediatamente appoggiavano l'embargo e l'elenco delle richieste al Qatar già indicano quale sia la linea di rottura tra Riad e Doha. Che non è di ora ma è nata diversi anni fa quando l'Arabia Saudita sembrava messa in secondo piano nella lotta per l'egemonia regionale; l'imperialismo americano sotto la gestione Obama cambiava atteggiamento verso l'Iran fino all'intesa sul nucleare, attaccata da Riad come da Tel Aviv, e si inseriva nella corrente a favore delle “rivoluzioni arabe” del 2011 che rovesciavano i vecchi regimi, sotto gli occhi delle telecamere della rete televisiva Al Jazeera che amplificava le loro azioni. Qatar e Turchia erano in campo con aiuti in Egitto, a sostegno del governo dei Fratelli musulmani e del presidente Morsi, in Libia, in appoggio del governo islamico di Tripoli che ha dovuto cedere il passo a quello di Serraj appoggiato dall'Onu; in Siria precedevano l'intervento dei paesi imperialisti con il sostegno a gruppi dell'opposizione a Assad. Appoggiavano il Movimento di Resistenza Islamica (Hamas) e la resistenza palestinese ospitando a Doha il leader in esilio Khaled Mashaal, sostituito lo scorso 6 maggio da Ismail Haniyeh di Gaza. La difesa dell'ordine “costituito” era invece il dogma di Riad con re Saud che inviava i carri armati a reprimere le proteste della maggioranza sciita in Bahrein, finanziava il golpe di al Sisi in Egitto che ripristinava la dittatura di Mumarak e proteggeva le milizie libiche del governo di Tobruk che stanno allargando il loro controllo nella Libia orientale. Nel caso del Baherein l'intervento era scattato nel nome dello scontro tra sciiti “sobillati” dall'Iran e sunniti, come successivamente nello Yemen, negli altri sembrerebbe una contraddizione interna al mondo sunnita tra gli interpreti della versione ultra-tradizionalista che segue i dettami di al-Wahhab, leader religioso musulmano del 18mo secolo, dal quale rivendicano una parentela diretta gli al-Thani, l’attuale famiglia regnante in Qatar. Altro elemento di scontro è la direzione della grande moschea di Doha, aperta nel 2011 e diretta dall'imam Yusuf Al Qaradawi, uno dei leader dei Fratelli musulmani, l'organizzazione religiosa messa al bando in Arabia Saudita e Emirati. Ma le ragioni del braccio di ferro non sono religiose, se non in linea secondaria, sono sostanzialmente politiche e economiche con in gioco l'egemonia del mondo arabo, musulmano e del Medio Oriente. La famiglia al Thani ha la colpa di non accettare la guida di Riad, di giocare per conto proprio nelle varie crisi regionali in cordata assieme alla Turchia del fascista Erdogan e di mantenere rapporti politici e economici con l'Iran, la potenza locale avversaria diretta dei sauditi.
Il Qatar è interessato a mantenere relazioni cordiali con l’Iran anche per poter sfruttate il comune giacimento di gas naturale North Dome-South Pars che si trova fra i due paesi, nelle acque del Golfo Persico.
Già nel 2014 Arabia Saudita, Emirati arabi e Bahrein avevano attaccato il Qatar che appoggiava il governo del presidente Morsi e dei Fratelli musulmani in Egitto e arrivarono il 5 marzo fino al ritiro degli ambasciatori da Doha. Altre scaramucce precedenti, fra il 2002 e il 2007, avevano visto Riad ritirare provvisoriamente il suo ambasciatore dall'emirato a causa delle dichiarazioni di alcuni dissidenti sauditi trasmesse da Al-Jazeera.
Lo scontro del 2014 fu sospeso con l'emersione dell'IS, la cui distruzione divenne elemento di unità fra paesi imperialisti e arabi. Il “nemico comune” IS sembra prossimo a perdere le basi in Siria e Iraq, anche se lo scontro coi paesi imperialisti cambierà forma ma resterà lo stesso aperto come dimostrano gli ultimi attacchi terroristici in Europa e financo per la prima volta in Iran, lo scorso 7 giugno con l'assalto al parlamento di Teheran e al mausoleo di Khomeini. Riad non ha atteso la chiusura della guerra in Siria e Iraq con l'IS e ha riavvolto il nastro della storia ripartendo da tre anni fa. Dallo scontro con Doha, anteprima di quello ben più sostanziale e pericoloso con l'Iran.
Il Qatar respingeva le accuse affermando che “non vi è alcuna prova che il governo del Qatar sostenga il fondamentalismo islamico” e rilanciava l’obiettivo della cooperazione regionale nel Golfo accettando l'intervento di mediazione del Kuwait. Il Kuwait è l'unica monarchia del Golfo ad aver istituzionalizzato la presenza dei Fratelli musulmani. Doha ritirava le sue truppe che combattevano al fianco dei sauditi al confine con lo Yemen e le dispiegava al confine tra Qatar e Arabia Saudita.
A fianco del Qatar si schierava la Turchia. Erdogan l'8 giugno firmava due decreti per il dispiegamento di truppe turche in una base vicino Doha di un contingente di 5 mila uomini che potrebbe salire a 15 mila e per l'addestramento delle unità della gendarmeria dell'emirato. Le operazioni erano previste dall'accordo stipulato tra Ankara e Doha nello scorso aprile per il dispiegamento delle truppe turche nell'emirato con l'obiettivo di rafforzare la cooperazione militare ma che sia reso operativo in questo momento ha un peso politico e militare non indifferente. Un segnale verso Riad a non forzare la mano.
L'Iran rispondeva alle accuse rilanciate da Trump e da Riad col ministero degli Esteri di Teheran che il 6 giugno rinviava al mittente le accuse di “terrorismo” sottolineando che la Repubblica islamica iraniana sostiene “la lotta legittima di nazioni che vivono in condizioni di occupazione, […] questo non può essere un esempio di terrorismo”, e ribadiva che l'appoggio di Washington a Israele e all'occupazione della Palestina fanno degli Stati Uniti “il più grande sponsor del terrorismo di Stato”.
Turchia e Iran aprivano un ponte aereo per rifornire l'isolata Doha di cibo fresco e l'agenzia iraniana Tasnim rivelava il 12 giugno che sarebbero pronte tre navi a salpare alla volta del Qatar, con a bordo 350 tonnellate di cibo.
Donald Trump a Riad il 21 maggio aveva dato fuoco alle polveri; la Dichiarazione del vertice straordinario del Consiglio di cooperazione per gli Stati arabi del Golfo (GCC) e gli Stati Uniti d'America tenuto a Riad, sottolineava la volontà delle due parti di consolidare la partnership strategica sulla guerra al terrorismo, leggi Stato islamico, e in particolare nel mettere in pratica le misure per prosciugarne le fonti di finanziamento. Il secondo bersaglio indicato dai paesi arabi e dall'imperialismo americano era l'Iran accusato di “attività destabilizzanti” nella regione. D'altra parte lo stesso presidente americano Trump negli incontri di Riad, in coda ai suoi interventi centrati sulla guerra all'IS, ha diverse volte attaccato l'Iran che “dal Libano all’Iraq allo Yemen sostiene, arma e addestra terroristi, milizie e altri gruppi estremisti che diffondono distruzione e caos attraverso la regione”. “Fino a che il regime iraniano non vorrà essere partner di pace, tutte le nazioni con coscienza devono lavorare insieme per isolarlo”, affermava Trump rispondendo alle sollecitazioni del padrone di casa, il re Salman Bin Abdulaziz Al-Saud, che aveva definito l’Iran “la punta avanzata del terrorismo globale”.
Il presidente americano esultava non appena Riad mirava sul Qatar per sparare verso l'Iran. Trump e il segretario di Stato Rex Tillerson per alcuni giorni impersonavano il classico gioco delle due parti col presidente che sparava a zero su Doha e il ministro che smorzava i toni. Alla notizia della rottura delle relazioni Trump sosteneva che la decisione di Riad di isolare il Qatar “è l’inizio della fine dell’orrore del terrorismo” e si dichiarava felice di vedere che la sua visita ufficiale “sta ripagando”. In un secondo momento correggeva il tiro e invitava re Salman dell’Arabia Saudita a agire per l'unità fra le varie potenze del Golfo mentre il Dipartimento della Difesa statunitense emetteva una nota in cui ringraziava il Qatar per il “sostegno alla presenza militare” Usa sul proprio territorio, dalla sede del quartier generale di Stati Uniti CENTCOM alla Al Udeid Air Base, fra le più grandi basi nel mondo dell'aviazione americana. Ma il 9 giugno Trump tornava sull'argomento nella conferenza stampa dopo l'incontro a Washington col presidente romeno Klaus Iohannis e raccontava che “sono appena tornato da un viaggio storico in Europa e Medio Oriente, dove ho lavorato per rafforzare le nostre alleanze, forgiare nuove amicizie e unire tutti i popoli civilizzati nella lotta contro il terrorismo. (…). Ho affrontato un vertice di più di 50 leader arabi e musulmani dove i principali attori della regione hanno accettato di smettere di sostenere il terrorismo, siano essi finanziari, militari o addirittura morali. La nazione del Qatar, purtroppo, è stata storicamente un finanziatore del terrorismo ad un livello molto elevato e, alla luce di quella conferenza, le nazioni si sono riunite e mi hanno parlato di affrontare il Qatar per il suo comportamento. Così abbiamo deciso di fare una azione dura ma necessaria, perché dobbiamo fermare il finanziamento del terrorismo. Ho deciso, insieme con il Segretario di Stato Rex Tillerson e i nostri vertici militari, che è arrivato il momento di invitare il Qatar a porre fine ai suoi finanziamenti al terrorismo”.
La politica di Riad trovava il sostegno dei sionisti di Tel Aviv che ritengono possa indebolire la resistenza palestinese. La Russia di Putin puntava al dialogo tra le parti preoccupata di non aprire una nuova crisi con protagonsita il suo alleato iraniano quando ancora non tutti i giochi si sono sistemati in Siria e dintorni. Anche i paesi europei singolarmente e la Ue si tenevano fuori non seguendo l'Arabia Saudita negli embarghi a Doha. La Ue ha "buone relazioni con tutti i Paesi del Golfo e le manterrà", noi sosteniamo il lavoro di mediazione del Kuwait affermava la Mogherini il 10 giugno dopo l'incontro a Bruxelles col ministro degli esteri del Qatar.
Il premier iracheno Haider al-Abadi dichiarava che “non siamo interessati da queste controversie” ma “manteniamo buone relazioni con tutti i Paesi” della regione e aggiungeva che l’obiettivo del suo esecutivo è quello di rendere sicure le frontiere con la Siria in coordinamento con le forze fedeli al presidente siriano Bashar al-Assad, alleato di Teheran. Realizzando un collegamento diretto tra le forze della cosiddetta “mezzaluna sciita” dalla resistenza libanese di Hezbollah a Teheran. Un collegamento che accende il fuoco negli occhi dei regimi di Tel Aviv e Riad; coi sauditi che aprono lo scontro con Doha, col via libera degli Usa, in nome della guerra al terrorismo ma puntando all'Iran di Rohani, la diretta concorrente per l'egemonia locale dei paesi arabi reazionari e dei sionisti.
 
 
 
 
 
 

14 giugno 2017