Supersfruttamento delle braccianti nei campi pugliesi
Oltre 10 ore di lavoro al giorno per 60 euro e insulti sessisti
Tre arresti e quattro indagati tra imprenditori e caporali

L'inchiesta è partita dalla coraggiosa denuncia di Annunziata, bracciante nei campi di Polignano a Mare, nel Brindisino, pestata per aver avuto il coraggio di ribellarsi (pochi giorni dopo la morte di Paola Clemente, la contadina ammazzata dalla fatica nei campi di Andria nel luglio 2015) ai caporali, tra cui tre donne, che da una busta paga apparentemente regolare la costringevano a versare 10 euro per ogni giornata lavorativa a titolo di rimborso spese per carburante e trasporto.
Insieme ad Annunziata si sono ribellate anche Rosanna, Katiuscia, Angela, Carmela e almeno un'altra dozzina di braccianti, in stragrande maggioranza italiane, tutte tra i venti e i sessant’anni ridotte praticamente in schiavitù, che ai carabinieri del comando provinciale di Brindisi hanno raccontato uno scenario di supersfruttamento, minacce, vessazioni, umiliazioni, botte e insulti sessisti.
Le braccianti erano costrette a lavorare per dieci e più ore al giorno a fronte delle otto stabilite dal contratto nazionale e ben oltre le 6,5 ore dichiarate in busta paga con tanto di truffa all’Inps; la giornata di lavoro inziava spesso alle 3 del mattino e durava fino a pomeriggio inoltrato per 7 giorni su 7. In cambio, invece della paga di 130 euro lorde giornaliere, le braccianti percepivano meno di 60 euro. Somma che poi veniva taglieggiata dai caporali di ulteriori 10 euro per le cosiddette “spese di trasporto” che consistevano nel caricare le braccianti su un furgoncino le cui portiere venivano chiuse dall’esterno per meglio controllarle durante il trasporto verso i campi di lavoro.
I racconti delle angherie e del brutale sfruttamento subito dalle braccianti nel corso degli anni sono ora parte integrante dell’ordinanza con cui il Giudice per indagini preliminari (Gip) di Brindisi Paola Liaci il 21 giugno ha disposto l’arresto con l’accusa di intermediazione illecita (ovvero caporalato) nei confronti di Anna Maria Iaia (50 anni, di San Vito dei Normanni), dipendente dell’azienda 2 Erre srl di Ostuni, che secondo l’accusa gestiva un giro di associazione per delinquere dedita allo sfruttamento. Ai domiciliari è finito Giuseppe Bello (49 anni, di San Michele Salentino) e Anna Errico (73), rispettivamente autista del pulmino che conduceva le braccianti nei campi dove erano richieste e la madre della caporale.
Secondo il Gip, Bello esercitava anche l’attività di vigilanza sulle prestazioni lavorative della squadra di braccianti che lui controllava, impegnata nel magazzino o nelle campagne, per conto dell’azienda brindisina. Nelle carte dell’inchiesta si legge che l’uomo concordava con la stessa Iaia le assunzioni. Fra il gennaio 2015 e nel novembre 2016 avrebbero reclutato 22 braccianti agricoli trasportandoli quotidianamente da San Vito dei Normanni a Carovigno a bordo di un veicolo Fiat Ducato intestato proprio alla 2 Erre srl, e di un veicolo Fiat Scudo di proprietà della donna. L’attività di caporalato sarebbe proseguita anche tra il 4 novembre 2016 e l’1 marzo 2017, quando avrebbero reclutato almeno altri 28 operai, dai quali si sono fatti consegnare copia dei documenti di identità e dei tesserini di Codice fiscale da utilizzare per i contratti di lavoro e le buste paga. Gli inquirenti hanno visionato i registri delle presenze e delle paghe dove, a fronte di un totale complessivo di salario lordo pari a 131,97 euro, veniva invece corrisposta la paga giornaliera di appena 59,53 euro.
Le braccianti ricevevano ogni mese dalla Iaia l’assegno dello stipendio e relativa busta paga, insieme con un bigliettino scritto a mano sul quale era annotata la somma da dover restituire in nero per onorare il debito dei 10 euro giornalieri. Quindi, dopo aver incassato l’assegno in banca tornavano a casa della donna per consegnare l’importo da restituire. Addirittura, è stato documentato, secondo quanto riferito dal procuratore facente funzioni di Brindisi, Raffaele Casto, un tentativo di inquinamento delle prove, provando a costringere alcuni braccianti a negare di aver corrisposto i 10 euro per il trasporto.
Indagate a piede libero altre quattro persone: tra questi il titolare dell’azienda 2 Erre srl, Francesco Semerano, di Ostuni.
I carabinieri hanno effettuato anche una serie di intercettazioni telefoniche e ambientali da cui emerge il lato più odioso di questa vicenda, ossia gli insulti sessiti che Bello rivolgeva alle braccianti tra cui: “Zoccola, puttana, fai veloce che stasera è tardi sennò facciamo notte” e tanti altri epiteti in gra parte censurati dal Gip. Mentre la Iaia in una conversazione telefonica intima a una bracciante: “Tu non capisci un cazzo di quante giornate hai fatto... Quando ti arriva la disoccupazione un bacio in fronte mi devi dare, hai capito? Un bacio in fronte”.
Appena due giorni prima sempre la procura di Brindisi aveva tratto in arresto altri quattro caporali aguzzini, tutti italiani; con l'accusa di aver sfruttato nei campi di ciliegie e nelle vigne di Turi, in provincia di Bari, almeno 15 donne (italiane e due straniere) originarie del brindisino e del tarantino. Anche in questo caso, orari ben oltre le 6 ore e mezza del contratto e paghe decurtate condito dai medesimi e orrendi insulti sessisti: “Alle femmine pizza (l’organo genitale maschile in dialetto pugliese, ndr) e mazzate altrimenti non imparano” e ancora “femmine, mule e capre tutte con la stessa testa”.
Ciò conferma che il tanto sbandierato “Ddl organico per il contrasto al fenomeno del caporalato e contro lo sfruttamento del lavoro nero in agricoltura” sbandierato ai quattro venti dal nuovo duce Renzi il 13 novembre 2015, in realtà non torce un capello agli schiavisti delle campagne.
Il fenomeno del caporalato in Italia è una piaga sempre più estesa e radicata. E la novità è che negli ultimi due anni c'è stato un aumento costante della manodopera femminile: donne ghettizzate, violentate e sfruttate che vanno lentamente a sostituire i braccianti di sesso maschile, Secondo i dati raccolti dalla Flai Cgil le straniere schiavizzate in agricoltura sono 15mila (contro i 5mila uomini). Sono quasi sempre giovani mamme, ricattabili proprio perché hanno figli piccoli da mantenere. Un dato impressionante, che si somma ad un altro elemento preoccupante: il numero sempre crescente delle lavoratrici italiane, che, se non schiavizzate, sono comunque gravemente sfruttate: sempre secondo le stime del sindacato, in Campania, Puglia e Sicilia, le tre regioni a maggiore vocazione agricola, sono almeno 60mila, in proporzione crescente rispetto alle straniere. Vengono pagate 3-4 euro l'ora, ma anche meno in alcuni territori, e costrette a turni massacranti.
In Puglia sono tra le 30 e le 40mila le donne gravemente sottopagate, a cui si aggiungono diverse altre migliaia in Campania e in Sicilia. A volte partono alle tre di notte e tornano a casa a pomeriggio inoltrato. I caporali intascano 12 euro per ogni donna che hanno "procurato". Anche se hanno un regolare contratto, vengono pagate 20-25 euro al giorno. Mentre sulla busta paga ne risultano 45. Succede soprattutto nel Casertano e nel Salernitano. "Mentre lavorano - denuncia ancora il sindacato - le donne vengono controllate da un guardiano, che grida continuamente di non distrarsi e di essere più veloci. Per andare in bagno hanno 10 minuti a turno. E se qualcuna si rifiuta di andare sui campi in un giorno di festa, come il 15 agosto, viene 'punita': per qualche giorno non la fanno lavorare". E se una ragazza è considerata troppo ribelle non viene scelta. Le donne selezionate vengono caricate sui furgoni o ammassate - anche in 30 - in camion telonati. Per questo trasporto bestiame ogni lavoratrice paga fino a 10-12 euro a viaggio.

5 luglio 2017