Approvata dalla Camera col voto di fiducia
La legge sul processo penale mette il bavaglio sulle intercettazioni
giustizia sempre più di classe. Aggravati i problemi strutturali della giustizia. Introdotta la avocazione obbligatoria

È stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale lo scorso 4 luglio la legge n. 103 del 23 giugno 2017, concernente la riforma del codice penale, del codice di procedura penale e della legge che disciplina l'ordinamento penitenziario, passata con la fiducia posta dal governo.
Il provvedimento, complessivamente considerato, è grave da un punto di vista politico in quanto non risolve i gravi problemi che affliggono il sistema della giustizia penale, e ha suscitato giustamente anche nel mondo degli addetti ai lavori molte più critiche che consensi.

Il ricatto del voto di fiducia
La prima critica - mossa tra l'altro dalla maggior parte delle associazioni di operatori del diritto e anche dalle opposizioni che alla Camera hanno votato contro il disegno di legge - consiste nell'utilizzo, da parte del governo, dello strumento della fiducia che ha indotto la maggioranza a votare a favore, zittendo ogni mugugno e dissenso. Lo stesso ruolo del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, è stato a dir poco ambiguo, in quanto egli da un lato è uno dei punti di riferimento, all'interno del PD, della sinistra interna di opposizione alla linea di Renzi, mentre dall'altro egli, da ministro, non soltanto è stato il principale sostenitore di questa contestata riforma, ma soprattutto ha sostenuto, nel Consiglio dei ministri, la necessità di quel voto di fiducia che ha zittito di fatto l'opposizione interna. La fiducia a Montecitorio ovviamente c'è stata con 320 voti a favore, 149 contrari e un solo astenuto. Per quanto riguarda invece la votazione sul provvedimento, esso è stato approvato con 267 voti favorevoli e 136 voti contrari. Hanno votato a favore alla Camera il PD (tranne alcuni deputati della sinistra interna, che si sono astenuti sul voto finale) e quei pochissimi centristi di Alleanza Popolare che erano rimasti in aula dopo aver votato la fiducia, in quanto la maggioranza di essi non ha partecipato al voto sul provvedimento. Il ministro della Famiglia - nonché importante esponente di AP e braccio destro di Alfano - Enrico Costa ha invece addirittura votato contro il testo. Per completare la rassegna sulla maggioranza che sostiene il governo, basterà ricordare che Articolo 1-MDP si è opportunisticamente astenuto mentre i pochissimi deputati dell'Unione di Centro hanno votato contro. Le opposizioni, Forza Italia e il Movimento 5 Stelle, hanno ovviamente votato contro l'approvazione del provvedimento.
Contro lo strumento del voto di fiducia per far passare una riforma di questa portata si era già espressa l'Unione delle Camere Penali Italiane, la maggiore associazione degli avvocati penalisti italiani, che in una nota assai critica del 13 giugno ha espresso “ferma contrarietà all’uso dello strumento della fiducia parlamentare, cui è ricorso il Governo per l’approvazione alla Camera dei Deputati del DDL 'Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario' ” e ciò in quanto, continua la nota, “gli studiosi del processo penale, del diritto penale sostanziale, i magistrati e gli avvocati hanno mosso numerose e ferme critiche al testo in corso si approvazione. Il DDL incide profondamente sul funzionamento del sistema giustizia e, dunque, sull’effettivo rispetto del diritto dei cittadini a essere giudicati con efficienza, ma al contempo in modo equo ”.
Passando al contenuto della legge, bisogna innanzitutto chiarire che alcune disposizioni entrano in vigore immediatamente, mentre altre avranno bisogno di decreti legislativi da parte del governo.

Giustizia sempre più classista
I primi quindici commi dell’art. 1, articolo unico, della legge sono dedicati a modifiche al codice penale che entreranno in vigore immediatamente.
Viene innanzitutto introdotto, nel codice penale, il nuovo articolo 162 ter il quale dispone l’estinzione dei reati a seguito di condotte riparatorie, ovvero che nei reati perseguibili a querela il giudice potrà dichiarare l’estinzione del reato, dopo avere sentito il parere di tutte le parti processuali, qualora l'imputato abbia già interamente riparato il danno con restituzioni o risarcimento in denaro e abbia provveduto a eliminare, ove ciò sia possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato.
Tale innovazione porterà inevitabilmente a una giustizia sempre più classista e discriminatoria, in quanto obbligherà di fatto i giudici ad arrestare soltanto i processi dove l'imputato che abbia disponibilità economiche ha già risarcito il danno, mentre l'imputato che non è materialmente in grado di risarcirlo dovrà proseguire il suo processo fino all'eventuale condanna: è infatti contrario al principio di eguaglianza formale stabilito dall'art. 3 della Costituzione la disposizione normativa per cui chi è potente e ha disponibilità economiche (e quindi potrà risarcire il danno derivante da reato) potrà continuare ad avere la fedina penale immacolata (e potrà quindi continuare tranquillamente a delinquere rinnovando all'infinito, se scoperto di nuovo e nuovamente processato, la richiesta di riparazione, e di conseguente estinzione del reato), mentre i più deboli e poveri, che non saranno certamente in tutto o in parte in grado di risarcire, dovranno subire il rigore della condanna penale.
Il nuovo articolo 162 ter del codice penale inaugura quindi una vera e propria stagione della giustizia con due velocità, con il povero in galera e il ricco a pagarsi l'impunità.
Come se non bastasse, il nuovo articolo 162 ter del codice penale comprende anche, tra i tanti reati perseguibili a querela, anche lo stalking, considerando che tale delitto comprende una fattispecie aggravata, procedibile d'ufficio, e un'altra meno grave, procedibile a querela di parte che può essere ritirata.
È questa seconda fattispecie ad essere compresa nella riforma, che quindi garantirà ai molestatori che si siano macchiati di atti relativamente meno gravi, ad avere immediatamente suscitato un grave allarme che, insieme alle associazioni che contrastano la violenza sulle donne, è stato lanciato dal presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, Eugenio Albamonte, e dalla responsabile dell'associazione Doppia Difesa, Giulia Buongiorno: i due giuristi hanno chiaramente messo in evidenza come, in un'epoca contraddistinta da una crescente violenza all'interno della società, e che trova nel reato di stalking uno degli elementi di deterrenza di maggior peso, è semplicemente assurdo depotenziare l'efficacia della norma che contrasta gli atti persecutori consentendo ai molestatori di uscire indenni dal processo penale pagando una semplice somma di denaro.
Lo stesso ministro Orlando, principale promotore della legge per conto del governo, è stato costretto a prendere posizione sui problemi derivanti dalla sostanziale depenalizzazione della fattispecie procedibile a querela del grave reato di stalking, tanto che è stato costretto a dichiarare che il governo avrebbe provveduto a correggere l'errore, senza peraltro chiarire tecnicamente come.
Per ciò che riguarda la prescrizione del reato, la legge di riforma ha modificato gli articoli 158, 159, 160 e 161 del codice penale con l’introduzione di norme che prevedono che il relativo termine resterà sospeso fino al deposito della sentenza di appello, e comunque per un tempo non superiore a 1 anno e 6 mesi, e lo stesso termine si avrà dopo la sentenza di condanna in appello o dopo l’eventuale giudizio di rinvio disposto dalla Cassazione. Inoltre, qualora l’imputato venga assolto in secondo grado (o vi sia l’annullamento della sentenza di condanna nella parte relativa all'accertamento della responsabilità o di dichiarazione di nullità della decisione, con conseguente restituzione degli atti al precedente giudice) i periodi di sospensione di un anno e sei mesi, sia per il giudizio di appello sia per quello di cassazione, verranno ricomputati ai fini del calcolo del termine di prescrizione. Anche l'interrogatorio reso alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero, e non solo l’interrogatorio reso dinanzi a quest’ultimo come nel regime attualmente vigente, determinerà l'interruzione del corso della prescrizione. In ogni caso l'interruzione della prescrizione non potrà comportare l'aumento di più della metà del tempo necessario a prescrivere, contrariamente al regime precedente che prevede che l'interruzione della prescrizione non possa comportare l'aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere.

Aggravati i problemi strutturali
Se è vero che si allungano i tempi per la prescrizione del reato, fatto che dovrebbe facilitare la magistratura nell'effettiva repressione dei reati, è anche vero che, come ha messo in rilievo in una nota l'Associazione Nazionale Magistrati in una nota dello scorso 1° aprile, che “la riforma legislativa non risolve nessuno dei problemi strutturali della giustizia penale, primo fra tutti quello relativo alla quantità degli affari penali, e costringe i magistrati a una deriva burocratica nella gestione del carico di lavoro, inevitabilmente a scapito della qualità del servizio prestato ”.
La critica dei magistrati al provvedimento di riforma è quindi anche, e soprattutto, un atto di denuncia nei confronti del governo che, se da una parte allunga i tempi di prescrizione, dall'altra lesina mezzi ai magistrati per l'effettuazione delle indagini e, soprattutto, prevede vere e proprie trappole burocratiche per i magistrati inquirenti, come quelle previste da alcune disposizioni contenute nei commi dal 21 all’84 dell’art. 1 della legge n, 103, che sono dedicati a modifiche al codice di procedura penale.
Tra le novità più significative dettate da tali disposizioni vi sono quelle relative alla previsione che il pubblico ministero dovrà, entro tre mesi dalla scadenza dei termini per le indagini preliminari, chiedere al giudice l’archiviazione o il rinvio a giudizio, e se tale termine non viene rispettato, l'indagine sarà avocata (ossia presa in carico) dal procuratore della Repubblica presso la corte d'appello, ossia dal pubblico ministero che esercita il suo ufficio nel secondo grado di giudizio.
Anche per il giudice per le indagini preliminari ci sono novità, in quanto, qualora questo magistrato non accolga la richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero, dovrà fissare entro 3 mesi la data dell'udienza in camera di consiglio e successivamente all'udienza dovrà provvedere sulle richieste entro il termine di 3 mesi nel caso in cui non ritenga necessarie ulteriori indagini. Inoltre il decreto di archiviazione emesso dal giudice per le indagini preliminari sarà nullo se emesso in mancanza dell'avviso alla persona offesa, prima della scadenza del termine entro cui la parte offesa può prendere visione degli atti, o prima della presentazione dell'atto di opposizione. In caso di nullità, l'interessato avrà 15 giorni per proporre reclamo dinanzi al tribunale in composizione monocratica il quale, se il reclamo è fondato, annulla il provvedimento e ordina la restituzione degli atti al giudice che ha emesso il provvedimento.

La clava della avocazione obbligatoria
È appunto in questi adempimenti ulteriori, che andranno inevitabilmente a ingolfare ulteriormente la macchina della giustizia, che consiste quella “deriva burocratica ” denunciata nella citata nota dell'Associazione Nazionale Magistrati, la quale critica pesantemente anche l'avocazione obbligatoria da parte del procuratore generale, perché c'è il rischio concreto che delicate inchieste che riguardano la politica sfuggano dalle mani di chi (i pubblici ministeri presso il tribunale) istituzionalmente compie le indagini per finire nelle mani di un magistrato avanzato in carriera (il procuratore della Repubblica presso le corti d'appello) che è sempre legato a quelle correnti politiche che lo hanno appoggiato presso il CSM per far carriera, perché questa è la realtà dei fatti da un punto di vista strettamente politico, cosa che anche i magistrati inquirenti sanno fin troppo bene.
L'ANM, nel prosieguo della sua nota sopra menzionata, ritiene insomma che le nuove norme “senza raggiungere l’obiettivo, apparentemente perseguito, di una maggiore rapidità del processo, mettono a rischio l’efficacia e la completezza delle indagini e, in generale, l’efficienza e l’equilibrio dell’azione giudiziaria, mortificando al tempo stesso le aspettative di giustizia delle persone offese e le stesse garanzie per gli indagati ”.

Intercettazioni e bavaglio all'informazione
Alle criticità sopra esposte, si aggiunge anche il rischio concreto di bavaglio per i giornalisti imposto dalla riforma delle intercettazioni che il governo dovrà attuare in ottemperanza del comma 82 e secondo le direttive impartite dal successivo comma 84 dell’art. 1 della legge di riforma.
Tra le novità vi è quella relativa al divieto, per il pubblico ministero, di inviare al giudice per le indagini preliminari, allo scopo di sollecitare l’emissione di una misura cautelare, quelle intercettazioni contenenti registrazioni di conversazioni o comunicazioni informatiche o telematiche inutilizzabili a qualunque titolo o contenenti dati sensibili non pertinenti all’accertamento delle responsabilità penali o irrilevanti ai fini delle indagini perché riferiti esclusivamente a fatti o circostanze ad esse estranei. Inoltre, la lettera c) del comma 84 della legge impone testualmente al governo di “prevedere che costituisca delitto, punibile con la reclusione non superiore a quattro anni, la diffusione, al solo fine di recare danno alla reputazione o all'immagine altrui, di riprese audiovisive o registrazioni di conversazioni, anche telefoniche, svolte in sua presenza ed effettuate fraudolentemente. La punibilità è esclusa quando le registrazioni o le riprese sono utilizzate nell'ambito di un procedimento amministrativo o giudiziario o per l'esercizio del diritto di difesa o del diritto di cronaca ”.
Il contenuto liberticida dell'ultima norma citata è sotto gli occhi di tutti, e penalizza innanzitutto i giornalisti, in quanto la libertà di informazione è lasciata alla più totale discrezionalità dei pubblici ministeri, i quali potranno arbitrariamente cestinare, e occultare all'opinione pubblica, informazioni che, pur se prive di rilevanza penale, possono avere notevole rilevanza politica.
Minaccia e lede fortemente infine la libertà di stampa la norma che proibisce ai giornalisti di usare la telecamera nascosta o il microfono nascosto a scopo di inchiesta.

12 luglio 2017