La ministra della difesa si è incontrata al Pentagono col suo omologo Usa Mattis
Pinotti: Pronti ad andare a Raqqa
“Più carabinieri a Mosul e un hub anti-terrorismo a Napoli”
“Per gli Usa siamo un partner affidabile”

L'Italia intensificherà il suo impegno militare in Afghanistan e in Iraq, ed è pronta ad andare anche a Raqqa non appena si creeranno le condizioni favorevoli: sono questi i gravi impegni che Roberta Pinotti ha preso con il suo omologo americano James Mattis, nella visita che la ministra della Difesa gli ha reso l'11 luglio a Washington.
“Siamo ben consapevoli che l’Italia rappresenta un Paese di frontiera in prima linea”, ha detto Mattis nel salutare l'ospite. ”Grazie anche – ha aggiunto – per il contributo che state dando alla campagna per la sconfitta dell’Isis, siete il secondo Paese per contributo di truppe”. “L'incontro è andato molto bene. Devo dire che l'Italia e' tenuta in grande considerazione”, ha dichiarato soddisfatta la ministra alla fine dell'incontro: “Abbiamo analizzato tutti gli scenari: la crisi del Golfo, l'Arabia Saudita, il Qatar, la questione Corea del Nord. Quindi Afghanistan, Iraq, Libia e Siria. Un ragionamento a 360 gradi”.
Pinotti ha rivelato alcuni particolari di questi colloqui rispondendo alle domande dell'inviato de “La Stampa”, come per esempio sull'impiego dei militari italiani in Iraq dopo la cosiddetta “liberazione” di Mosul, avvertendo che non è previsto nessun disimpegno, neanche parziale dell'Italia in questa regione, ma piuttosto una sua “rimodulazione”. E che cosa intendesse con questo lo ha ventilato sottolineando con orgoglio che “Mattis ha ricordato che siamo il secondo contributore in Iraq”, come a dire che tali intendiamo restare: “In questo ambito – ha aggiunto infatti -, senza modificare i numeri, possiamo immaginare rimodulazioni. Prima l'obiettivo principale era addestrare l'esercito; ora potremmo intensificare la missione dei carabinieri per produrre numeri maggiori di polizia locale”.
Nemmeno i 500 militari inviati a “proteggere” la diga di Mosul verranno ridotti né tanto meno ritirati, nonostante che virtualmente il pericolo rappresentato dalle milizie dell'IS non esista più. E questo perché, ha detto la ministra, “finita l'entità statuale dell'Isis, resta il pericolo di cellule terroristiche”. Insomma, un motivo per giustificare la presenza militare italiana in questo martoriato paese, che con una scusa o con l'altra dura ininterrottamente da 14 anni, si trova sempre.
Stessa musica anche per la missione di guerra in Afghanistan, sulla quale la Pinotti ha ugualmente rassicurato il suo collega americano, visto che alla domanda dell'inviato de “La Stampa” se l'Italia invierà più soldati in quel paese ha così risposto: “Rafforzare l'addestramento è importante. Se ci liberiamo di alcune funzioni logistiche, potremmo aumentare gli addestratori, sempre nell'ambito dei numeri attuali di circa 950 soldati”. Cioè formalmente nessun aumento di truppe “o quasi”, ma nei fatti meno addetti ai trasporti e altre attività collaterali e più militari sul campo di combattimento, che poi è ciò che interessa ai suoi amici del Pentagono.
Ma la guerrafondaia del governo Renzi-Gentiloni non si è limitata a questi pur già gravissimi impegni. Non ha escluso infatti neanche un'estensione dell'impegno militare italiano alla Siria, e nella fattispecie a Raqqa, sempre mascherato nella forma di addestramento di forze di sicurezza locali dopo l'attacco finale che viene dato per imminente alla roccaforte siriana dello Stato islamico. La Pinotti la prende larga, sottolinea che mentre in Iraq c'è un mandato dell'Onu e una richiesta del governo legittimo, in Siria c'è il mandato Onu “ma la situazione è confusa, non tutti considerano il governo legittimo, e l'autorità locale non è riconosciuta”. Tuttavia, “nell'ambito di una possibile chiarificazione delle condizioni, le forze in campo, e il percorso politico, potremmo valutare un contributo”, ha concluso la ministra, impegnando l'Italia in questo nuovo scenario di guerra del tutto inedito e senza neanche degnarsi di sapere se il parlamento e il Paese sono d'accordo.
Non c'è da stupirsi se poi, riferendo le sue impressioni su Mattis, ha detto che “ha grande fiducia e stima per l'Italia determinata dal fatto che siamo un partner affidabile”, e che “quando parla con noi, parla con un paese di cui sa di potersi fidare”. Tanto che non a caso il segretario alla Difesa Usa l'ha gratificata confermando “il massimo supporto alla strategia italiana in Libia, riconoscendo la nostra esperienza. Loro vogliono aiutare le diverse parti in campo a parlarsi, per aiutare la stabilizzazione del governo unitario, e sono disponibili a capire se da parte italiana ci sono richieste”. Gli americani riconoscono cioè che la Libia è nella sfera di influenza dell'Italia e riconoscono il primato dell'Italia nella guida di un'eventuale intervento internazionale di “stabilizzazione” di quel paese.
E in questo ambito, ma più in generale per tutta la strategia interventista dell'imperialismo italiano ed europeo, Mattis ha risposto positivamente anche alla richiesta della Pinotti di sostegno alla creazione a Napoli di un “hub della Nato per la sicurezza nel Mediterraneo”. Ovvero di un centro di comando e di concentramento di forze aeronavali nel Sud dello stivale per la “proiezione” rapida in tutta la regione del Mediterraneo, del Medio Oriente e dell'Africa, sempre col pretesto della guerra al “terrorismo”: “Noi abbiamo già avuto una risposta positiva dalla ministeriale, con molti paesi anche nordici che hanno promesso di inviare personale. Ma pensiamo che la sicurezza a Sud sia una delle grandi sfide della Nato, e quindi chiediamo ulteriori risorse, perché da Napoli possono partire molti progetti. Parliamo soprattutto di capacity building, e Mattis è d'accordo”, ha detto compiaciuta in proposito la ministra italiana con l'elmetto.
É questo l'unico genere di “investimenti” che lei e il governo interventista e imperialista Renzi-Gentiloni sono disposti a sostenere per lo sviluppo del Mezzogiorno?
 

19 luglio 2017