Turchia
Oceanica manifestazione per la giustizia e contro Erdogan
Il dittatore fascista arresta 47 accademici

Più di un milione e mezzo di dimostranti hanno partecipato il 9 luglio all'oceanica manifestazione per la giustizia e contro il presidente fascista Recep Tayyip Erdogan che a Istanbul ha concluso la "marcia per la giustizia", la camminata di 480 chilometri partita il 15 giugno da Ankara per iniziativa del Partito repubblicano del popolo (Chp), principale forza parlamentare di opposizione.
La manifestazione che il Chp ha voluto senza simboli di partito e alla quale hanno partecipato partiti e organizzazioni dell'opposizione era stata organizzata per protestare anzitutto contro la carcerazione del deputato Enis Berberoglu, condannato da un tribunale di Erdogan a 25 anni di detenzione per spionaggio, aver fornito informazioni considerate riservate al quotidiano d'opposizione Cumhurriet , di cui tra l'altro è stato direttore dal 2009 al 2014. La sua condanna segue quella del novembre 2015 del direttore e del caporedattore del quotidiano perhé sei mesi prima aveva pubblicato un servizio che mostrava la consegna di armi dai servizi segreti turchi del Mit a gruppi islamisti attivi in Siria, un coinvolgimento allora negato da Ankara. Berberoglu era stato accusato di aver fornito il materiale al quotidiano e condannato da un tribunale il 14 giugno scorso.
Già il 15 luglio migliaia di manifestanti erano scesi in piazza a Ankara per protestare contro l'ennesimo atto di repressione del regime fascista di Erdogan. Il suo partito, il Chp, che tra l'altro in parlamento aveva votato a favore della legge liberticida che aboliva l’immunità parlamentare, contestava la “sentenza politica” del tribunale e lanciava la “marcia per la Giustizia” dalla capitale Ankara al quartiere di Mapete a Istanbul dove si trova la prigione del deputato.
La manifestazione oceanica di Istanbul si chiudeva coi manifestanti che sventolavano bandiere turche, portavano ritratti di Ataturk, il padre fondatore della repubblica turca moderna e laica, cantavano l’inno nazionale e ripetevano lo slogan “hak, hukuk, adalet”, ossia diritto, legge, giustizia. Il leader del Chp, Kemal Kilicdaroglu, esortava i manifestanti a proseguire nella battaglia: “Che nessuno pensi che questa sarà l'ultima marcia: il 9 luglio segna il giorno della rinascita. Abbiamo marciato per la giustizia, per i diritti degli oppressi, per i deputati e per i giornalisti in carcere, per i professori universitari licenziati, abbiamo marciato per denunciare che il potere giudiziario e sotto il monopolio dell'esecutivo, abbiamo marciato perché ci opponiamo al regime di un solo uomo. Romperemo i muri della paura”.
Ala marcia ha aderito anche il Partito Democratico dei Popoli (Hdp), il cui presidente Selahattin Demirtas e la co-presidente Figen Yüksekdag, e altri 11 deputati sono in carcere dal novembre scorso, accusati di essere “sostenitori dell’organizzazione terroristica Pkk”. L'Hdp invitava il Chp a proseguire la marcia verso Edirne, dove è detenuto Demirtas.
A distanza di un giorno, il 10 luglio arrivava invece la risposta di Erdogan attraverso il suo potere giudiziario che disponeva l'arresto di altri 47 tra accademici e personale delle università Bogazici e Medeniyet con l'accusa di essere in collegamento via Internet con l'organizzazione di Fetullah Gülen, rifugiato negli Usa, che Ankara accusa di essere l'organizzatore del fallito golpe del luglio scorso. Realizzato un nuovo colpo repressivo, il presidente Erdogan si dedicava ai rapporti politici con l'ex alleato imperialismo americano, rappresentato dal segretario di stato americano Rex Tillerson in visita il 10 luglio a Istanbul. Tillerson auspicava che le relazioni tra i due paesi, “straordinariamente importanti per ragioni di sicurezza, economiche e geostrategiche, possano essere riparate dopo un periodo di difficoltà”. Magari a scapito dei curdi.

19 luglio 2017