No alla scarcerazione di Riina

Salvatore Riina, lungi dall’avere mai dato segni di dissociazione dall’organizzazione criminale che egli ha capeggiato da decenni e lungi dall’avere mai offerto collaborazione alla giustizia, è addirittura ancora - come ha recentemente affermato in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, che per dimostrare la pericolosità del boss ha ricordato le pesanti minacce di morte fatte recentemente dal boss corleonese contro il sostituto procuratore palermitano Antonino Di Matteo, e che si è schierato contro la scarcerazione - il capo della efferata organizzazione criminale italiana, la Mafia siciliana, una piovra che già da decenni allunga i suoi tentacoli in gran parte del mondo e condiziona pesantemente la vita politica, economica e istituzionale italiana, quindi non è un detenuto qualsiasi, e proprio alla luce di ciò deve essere respinta ogni richiesta di sua scarcerazione per motivi di salute.
Inoltre, anche alla luce dell’ipotesi di una trattativa tra lo Stato e la Mafia di cui numerosi collaboratori di giustizia hanno parlato, la scarcerazione suonerebbe come un cedimento sospetto dello Stato e una dimostrazione di onnipotenza e di impunità che tale consorteria criminale potrebbe vantare davanti a tutti, per cui anche per tale motivo nessun segno di clemenza deve essere minimamente dato.
La questione della possibile scarcerazione del boss detenuto in condizione di massima sicurezza nel carcere di Bologna si è posta a seguito della sentenza n. 27776/2017 emanata il 22 marzo scorso dalla prima sezione penale della Cassazione, che per la prima volta ha accolto il ricorso del difensore di Totò Riina, che chiede il differimento della pena o, in subordine, la detenzione domiciliare per gravi motivi di salute dovuti all’età avanzata e alla salute malferma a causa di varie patologie, per cui ora il Tribunale di sorveglianza del capoluogo emiliano dovrà decidere sulla base della prescrizione dei giudici di legittimità, ossia "di considerare il complessivo stato morboso del detenuto e le sue condizioni generali di scadimento fisico ", tanto che la stessa Cassazione ha invitato il Tribunale bolognese a verificare e motivare adeguatamente "se lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza ed un'afflizione di tale intensità " da oltrepassare la "legittima esecuzione di una pena ".
Il Tribunale di sorveglianza di Bologna aveva già respinto una volta il ricorso del legale di Riina, in quanto non aveva ritenuto che vi fosse incompatibilità tra l'infermità fisica del boss con la detenzione in carcere, visto che le sue patologie venivano monitorate e quando necessario si era ricorso al ricovero nel reparto di sicurezza dell’ospedale di Parma.
Eppure la Cassazione ritiene di dover censurare l'ordinanza del Tribunale con la quale si negano i benefici al boss, nonostante non le siano sfuggite, ovviamente, le circostanze dell'altissima pericolosità e del gravissimo spessore criminale: in parole povere, la Cassazione è costretta a riconoscere che Riina è ancora il capo della Mafia, ma pur tuttavia rimprovera al Tribunale di sorveglianza di Bologna di non avere sufficientemente chiarito come tale pericolosità "possa e debba considerarsi attuale in considerazione della sopravvenuta precarietà delle condizioni di salute e del più generale stato di decadimento fisico ", sfuggendole evidentemente l’altissimo valore simbolico che tale scarcerazione avrebbe per tutti gli appartenenti alla più spietata organizzazione criminale italiana, e tutto questo nel nome di una morte dignitosa che comunque può essere assicurata al boss anche dietro le sbarre.
Una morte dignitosa che invece è stata sistematicamente negata dai suoi sicari a quelle centinaia di uomini, donne e persino bambini assassinati senza pietà: sono di questo avviso alcuni parenti delle vittime di Mafia, come i figli del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa assassinato con sua moglie e l’autista nel 1982, Sonia Alfano, figlia del giornalista Beppe Alfano assassinato nel 1993, e Franco La Torre, figlio del deputato del PCI Pio La Torre, che fu assassinato nel 1982 insieme al suo autista.

19 luglio 2017